Gnosticismo – In Tolkien è fondamentale il concetto di subcreazione – cioè la sottocreazione che, in origine, viene fraudolentemente compiuta da un demiurgo, che, nel Silmarillion, segna l’origine della polifonia, perché il demiurgo si intromette nell’opera della creazione, si nasconde così come poi l’artista, secondo la teoria di Tolkien, crea un altro mondo – che comporta, secondo le regole della grammatica, chiamare *un’altro mondo, che è l’azione di chiamare la lingua in quanto presenza di ciò che è *l’alingua, che è ciò si pone in quanto Ecclesia di tutto un popolo che non c’è: l’apostrofo è allora ciò che si pone come differenza in tutti e due i casi, vale a dire ciò che fa la differenza, essendo, in entrambi i casi, pura differænza di ciò che non c’è, che mostra come il fantasy nasca da tale ambiguità d’ombra resa ombrosa nel tratto d’apostrofo. Chiamare la lingua in quanto ciò che è l’alingua comporta chiamare l’imbastardimento, cioè il meticciato, anche solo in quanto tratto grammaticale ricomposto attraverso lo spazio di un piccolo apostrofo. L’apostrofo è ciò che pone ciò che parla come ciò che non ha diritto alla parola in quanto essere umano, bensì in quanto cosa vivente, che è ciò che gli orchi esprimono nel loro dissonante clangore di suoni, che, comunque, secondo Tolkien è ciò che comporta la possibilità di una trasmissione di ordini, per quanto mai di una storiografia. È una parata di imbecilli.
Il piccolo fascino del male – In duale forma, sì frapposta, ravvisasi, penso, pure puer per paro-paro collegamento fra meticcio e delinquente, che Lombroso Cesare aveva di suo già prima posto tutto a suo comprendimento; posto che meticcio e delinquente siano, attualmente, forme le più interessanti tra tutte le – da qui la sfioritura ampia & fioritura di romanzi magri visti giallo su gialli (dico romanzi gialli, come pure romanzi neri, secondo quanto informa Sciascia su copertine, paro paro), visto che, se di delinquenza si può liberamente parlare e straparlare, di razza non si deve più ciarlar giammai in modo alcuno.
Il pericolo – Ma canto d’altro & punto di vista altro tutto apposto, l’incontro con il punto del mito è ciò che costituisce il pericolo, così come l’omicidio, come uccisione di uno o molti ancora più individui, in quanto trasgressione di uno individuo, è ciò che si oppone al genocidio, come impegno di ciò che lo Stato ha lasciato cadere, omicidio di una fascia intera di cose, perché l’umano è ciò che è chiamato ad incontrare, di suo da sempre, il pericolo – Grazie al dio della razza bianca, non al Dio del nemico, a cui meno che mai rispondiamo.
Le tre forme viventi – Tolkien considera tre tipologie di forme viventi, nella propria sua picciola sì tanto dispersa opera, che ricordano tre le forme possibili di esseri viventi secondo teoria nomata “gnosticismo”: forme passibili di spirituali, forme di psichici, forme di ilici: che in Tolkien comporta successione de le forme via via nomate come: forma di elfi, forma di umani, forma di orchi. Siamo allora sicuri di conoscere quello che Tolkien ha scritto e che poi ci è stato presentato?
Il cristianesimo dimenticato – Alessandro Dal Lago (Eroi e mostri. Il fantasy come macchina mitologica, Laterza 2017) richiama l’attenzione su di un punto del Beowulf in cui Grendel è l’essere della stirpe di Caino che non è stato accolto, ma che invece è stato rifiutato dalla comunità degli umani, quando Grendel era solo la deforme forma che solo chiedeva accoglienza, pari pari ne lo istesso modo in cui accoglienza chiedeva la creatura di Frankenstein – o qualunque migrante adesso in Europa.
Annientamento – Nel romanzetto di fantascienza di Charles Stross Annientamento (2015), una cosa parvi certa: quando ampiamente dal mito siamo passati al romanzo – vi siamo passati *ampliamente. Ma ciò che questo romanzetto di fantascienza esprime è l’inclusione verso tutte le forme che mito e romanzo avevano presentato come ciò che deve essere escluso: cioè il mostro. Nel romanzetto di Charles Stross queste forme di mostri (si tratti di vampiri o di sirene) sono solo le rappresentanti forme di minoranze che devono essere accolte all’interno delle comunità di normodotati e non si parla mai di “vita indegna di vivere”, che è invece ciò che muoveva ancora la narrativa di Tolkien, rendendola pure così viva e affascinante.
Fiabesco – Considerare il carattere fiabesco presente in Tolkien vuole dire confrontarsi con l’antirealismo presente in quel suo tipo di letteratura. Il fiabesco è l’impossibilità del nuovo pensiero, cioè il cristianesimo che ha invaso ogni settore del pensiero. L’impossibilità ha la sua espressione nelle tre forme viventi indicate. Tolkien ricorre al fiabesco per dire quello che, una letteratura di stampo realista, non avrebbe più potuto dire: le razze umane non sono tutte uguali e alcune razze “umane” hanno meno che mai diritto di vivere, essendo nient’altro che vita indegna di vivere – perché le razze non sono tutte uguali. Dumézil e Lévi-Strauss hanno parlato del passaggio dal mito al romanzo, cioè del romanzo come di ciò che segna la fine del mito; Tolkien vuole invece rinnovare il mito tramite il romanzo – questo è quello che Eroi e mostri ha indicato come elemento originario del fantasy. Tolkien ha cercato di rivivificare il mito attraverso il romanzo, ricorrendo a diversi generi (poesie, narrazioni), ma non ha considerato quello che doveva essere la cosa principale: la storia del linguaggio come storia autentica che doveva subentrare alla storia fasulla dei personaggi, rintracciata nella psicologia, che è la carta falsa del personaggio in quanto ciò che fa la carta falsa della narrativa. Tolkien si è invece accontentato di un incontro di stile alto con uno stile basso all’interno della forma-romanzo. Rimane però sempre la domanda implicitamente posta da Eroi e mostri: perché proprio il tempo del Medioevo? Quando si parla di Medioevo, si intende sempre il Medioevo latino, mai quello germanico; Medioevo romano vuole dire impero Europa, ovvero cristianità – senza salto di lingua; medioevo germanico vuole dire nordisk hedendom – con salto di lingua. Tolkien è rimasto fra i due mondi stretto, infatti pensava al romanzo Il Signore degli Anelli come una incursione degli hobbit nel mondo eroico.
Dare forma al mondo – Acquisita che è stata la polifonia come forma novella possibile di espressione, si accetta la possibilità di “dare forma al mondo”, che, una volta acquisito il numero delle razze del mondo, pone la questione di porre in primo piano la possibilità del Gioco del mondo – che però niente altro è se non il gioco de le perle di vetro, cioè il GPS che stabilisce nient’altro che la posizione in una misurazione che è misurazione quantistica, in quanto ciò che chiama la decoerenza, come dimostra ampio nel suo modo già il Silmarillion: «Ma giunti che furono nel Vuoto, così Ilùvatar parlò: “Guardate la vostra Musica!”. Ed egli mostrò loro una visione, conferendo agli Ainur vista là dove prima era solo udito; ed essi scorsero un nuovo Mondo reso visibile al loro cospetto, e il Mondo era sferico in mezzo al Vuoto, e in esso sospeso, ma non ne era parte.» (J.R.R. Tolkien, Il Silmarillion, traduzione di Francesco Saba Sardi, Rusconi 1985, p. 14).
Eroi e mostri di Alessandro Dal Lago – Tolkien ripete nella sua opera una cosa che la sua morale cristiana non gli avrebbe mai permesso di formulare compiutamente: le forme viventi non sono tutte uguali, meno che mai davanti al Signore, alcune non meritano considerazione alcuna, né da vivi né da morti, come gli orchi. Queste considerazioni si trovano esposte nel libro di Alessandro Dal Lago, Eroi e mostri. Il fantasy come macchina mitologica, il Mulino 2017). «Allora gli elfi lo legarono [Thorin] con delle cinghie, lo chiusero in una delle caverne più profonde dietro una massiccia porta di legno e lo lasciarono lì. Gli diedero da mangiare e da bere, tutte e due le cose in abbondanza, anche se non di qualità sopraffina; perché gli Elfi dei Boschi non sono goblin, e si comportano in modo civile anche con i loro peggiori nemici, quando li fanno prigionieri. I ragni giganti sono le uniche creature per cui non hanno alcuna pietà.» (J.R.R. Tolkien, Lo hobbit, traduzione di Wu Ming 4, Giunti/Bompiani, Firenze-Milano 2024, p. 182). È importante il fatto che, per alcune creature viventi, in quel testo, non debba esserci pietà – cioè per le cose viventi, che non sono esseri viventi a pieno diritto; le cose per cui la vita è solo un peso che altri devono trascinare, cioè la vita indegna di vivere.
Mito e romanzo – La questione è che il romanzo svincola l’uomo delinquente, mentre il mito non svincolava mai il trickster in tutte le sue piccole varie forme in cui si è interrato. Il meticcio italiano Dante è stato il primo caso, in letteratura, di homo delinquente, essendo stato il primo caso di islamista lasciato libero di agire con i suoi turpi progetti criminali. Le parole usate dal meticcio italiano Dante non riguardavano né il mito né il romanzo. Il meticcio russo Dostoevskij è stato l’ultimo caso di homo delinquente, teorizzato in Delitto e castigo, la cui domanda, lasciata libera di agire, ha portato a la domanda pulsante da parte del filosofo di razza bianca Nietzsche. Alcune razze hanno inciso dalla nascita il marchio della propria eliminazione: guai a chi salva in sé il marchio del deserto.
La terra viva – Non c’è idea del Sacro senza disprezzo per il meticciato e senza disprezzo per il meticcio che la terra inquina con sua propria diretta presenza (cioè ciò che “quella terra”, vale a dire la Terra del Sacro, il meticcio porta alla fine). L’Idea della terra viva, Sacro, meticciato e terra sono tre cose saldamente collegate fra tutte loro, almeno per ora, e l’una deve richiamare sempre le due altre, tutte altre due.
La questione Tolkien – Tolkien ha cercato di portare a vita novella il mito attraverso il romanzo, destinando l’arte sua a tanti difformi generi diversi di poesie e narrazioni, ma non ha considerato quello che doveva essere la cosa che si poteva configurare nella narrazione come storia del linguaggio, adesso, al posto di ciò che costituiva la vecchia narrativa, relativa a intreccio & personaggi. Invece si è accontentato di un incontro di stili come incontro di stile alto e stile basso – di romanzo. Questo è appunto ciò che divide Tolkien e Joyce. Sempre rimane la domanda posta da Eroi e mostri: perché proprio e sempre il Medioevo? Si potrebbe avanzare questa ipotesi: quando si parla di Medioevo, si intende sempre il Medioevo romano, mai quello germanico; Medioevo romano vuole dire cristianesimo; medioevo germanico vuole dire nordisk hedendom. Tolkien è rimasto imperlagato fra li mondi due, infatti ha pensato il Signore come la incursione degli hobbit nel mondo degli eroi: ha creato il gioco delle perle di vetro sfuggendo ciò in cui si era trovato semplicemente ma prosaicamente impelagato.
Razza e disprezzo – La diversità de le razze, razze due (ciò che la lingua norvegese espone con la felice espressione “begge to”) chiama il disprezzo perché il modo in cui una razza parla di un’altra razza è la manifestazione di un disprezzo verso quel germoglio di diversità – il GPS è ciò che indica il posizionamento nel gioco del mondo, nel momento in cui il gioco del mondo è tutto il gioco de le perle di vetro cioè il GlasPerlenSpiel attuato di colpo in una volta come salto di vetta in vetta.
Anticristianesimo in Tolkien – Nella narrativa di Tolkien c’è una componente tanto autenticamente cristiana quanto fortemente anticristiana, che è ciò che può rendere Tolkien un grande scrittore, che si manifesta nella componente gnostica, che implica la creazione come ciò che è una cosa avvenuta in più fasi, comportante l’intervento di un Demiurgo; la presenza di varie forme viventi, fra cui una forma che è nient’altro è se non “cosa vivente”, cioè gli orchi, che devono comunque essere cancellati dall’opera della creazione. In Tolkien gli orchi sono solo il prodotto di un incrocio cristallizzatosi a malefici fini nascosti bene, per cui gli orchi sono sempre ciò che va cancellato in quanto forma la vivente, cioè in quanto quella anomalia che è la cosa vivente e ciò che deve essere annullato con il fuoco quando appunto se ne ha a che fare soltanto nella forma di un mucchio di carcasse accatastate al termine di una battaglia.
La Terra del Sacro – Come ciò che, nel testo, deve rimanere in quanto ciò che deve rimanere in quanto vuoto – senza alla fine esserci punto
J.R.R. Tolkien, Sulle fiabe, in Id., Albero e foglia, Rusconi, Milano 1984, pp. 7-100. Traduzione di Francesco Saba Sardi.