È risaputo che la lettura di Finnegans Wake comporta difficoltà enormi di lettura.
Len Platt (Joyce, Race and ‘Finnegans Wake’, Cambridge University Press, Cambridge 2007) propone una semplificazione di queste enormi difficoltà di lettura suggerendo una presa di posizione univoca da parte di Joyce, valevole per tutta la stesura di Finnegans Wake. Presa di posizione che popone una precisa traccia degli eventi narrati in Finnegans Wake, e che riconoscerebbe il punto culminante di tale narrazione nell’evento della detronizzazione di HCE, Humphrey Chimpden Earwicker, oste di Chapelizod, da parte del figlio Shaun. Ma presa di posizione che avrebbe guidato tutta la composizione di Finnegans Wake. Tale presa di posizione, da parte di Joyce, sarebbe da riconoscere nella presa di posizione contro l’ideologia della razza da parte di Joyce; ideologia tanto malevola (e tale riconosciuta da Joyce) quanto prevalente in Europa nel tempo della stesura di Finnegans Wake.
Ma c’è da chiedersi: è sufficiente questa presa di posizione, evidenziata in Joyce, Race and ‘Finnegans Wake’, e, nel testo Joyce, Race and ‘Finnegans Wake’, attribuita a Joyce nella composizione di Finnegans Wake?
Questo perché la domanda fondamentale che deve essere posta sembra invece disporsi attraverso la forma: che tipo di romanzo si è infine presentato tramite Finnegans Wake?
La razza è ciò di cui è impossibile parlare: «Obsessed with all origins – the first building; the first city; the first act of sex; the first writing; ‘the first peace of illiterative porthery in all the flamend floody flatuous world’ (this being claimed of the prankquean tale at 23.9-10), and so on – the Wake is also famously concerned with originary language. But here the idea of the first ‘yew’ and ‘eye’ (23.36) is a matter of comic treatment rather than ‘science’. ‘Pure’ language is entirely compromised not just by the fact of cross-language puns and portmanteaus but inasmuch as the Wake revels so much in its own ‘contamination’. The genetic model of historical linguistics, which ignored what it constructed as irrelevancies or ‘unsystematic intrusions’ and focused on an essential ‘core’, is entirely undermined by the Wake.» (pp. 19-20).
Questo perché tutto è confuso all’origine. Nel romanzo che scruta all’origine. Solo la lingua è ciò di cui lo scrittore può disporre. Ma cosa succede quando lo scrittore rifiuta la lingua che dovrebbe determinare il suo ricordo nel tempo?
Solo la lingua è ciò che permette di parlare di razze. Così bisogna precisare che non esistono razze pure, così come non esiste lingua originale. Tutto è frutto di commistioni. La lingua è lo schiavo della razza.
Ma così si può aprire il discorso relativo alla differenza tra autentico e inautentico.
E proprio la razza, precisa Joyce, Race and ‘Finnegans Wake’ aprirebbe il discorso allo “sporco”; sempre ampiamente presente in Joyce. Ma questo perché, secondo l’intento di Joyce, Race and ‘Finnegans Wake’, lo “sporco” è ciò che si oppone alla teoria ufficiale della razza presente nel periodo in cui Finnegans Wake veniva composta.
Ciò che non si può pensare in modo razionale ha diritto di sfuggire alla comprensione nazionale. Quindi Finnegans Wake (che è un romanzo che parla del tonfo, da parte dell’individuo qualunque, nello stemma della razza) deve porsi come romanzo incomprensibile. Ma questo perché lo stemma della razza è il tonfo dello stemma. Cioè della razza. Finnegans Wake butta all’aria una delle certezze più comuni relative all’arte dello scrivere: la certezza relativa alla comprensibilità affidata da sempre all’arte dello scrivere da parte di colui che si pone come “autore”. Che è quello che non riguarda lo snobismo dell’artista d’avanguardia. È proprio quello che Umberto Eco non ha compreso – ma peggio per lui! (Dio stramaledica l’Italia!)
Finnegans Wake non si presenta come opera difficile da comprendere, quanto come testo impossibile da comprendere nella sua totalità. L’avere affrontato, come tema di composizione di Finnegans Wake, il tema del sogno comporta, da parte del testo di Finnegans Wake, l’accettazione della difficoltà che si presenta come ciò che non può essere accettato nel dire del tempo del risveglio. Poiché ciò che è fondamentale del sogno è appunto la sua incomprensibilità nel tempo che succede al sogno, cioè ciò che riguarda il tempo del risveglio. Che è il tempo della razionalità del dire. Che si è sempre esteso, prima della comparsa di Finnegans Wake, alla possibilità di dire razionalmente il sogno. Quindi di dire il sogno secondo ciò che non pertiene al modo di dire del sogno, ma ciò che è il modo di dire il sogno che è ciò che rimane del sogno – nel tempo del risveglio – del linguaggio del sogno.
Infatti Joyce, in Finnegans Wake, non sembra volere razionalizzare il percorso del sogno, o l’interpretazione del sogno, quanto riprodurre il meccanismo del sogno. Che, lacanianamente, è il linguaggio del sogno. Percorso che si manifesta nella immersione dei temi della razza. Che non devono condurre da nessuna parte. Poiché la razza è proprio ciò che non ha più parte.
Nella razza, in quanto tuffo impreparato negli archetipi collettivi, è proprio ciò che si nasconde, impreparato nella razza, ciò che sfugge al discorso razionale, che è il discorso nazionale così come noi lo intendiamo. Poiché razionale e nazionale è ciò che appunto può essere scambiato. Joyce, Race and ‘Finnegans Wake’ dimostra proprio come sia difficile, adesso, affrontare il tema della razza. Poiché la lingua che noi abbiamo come dato nazionale è proprio ciò che si è formato per non parlare di ciò che noi ancora chiamiamo “razza”. Che per noi è ciò che razionale, che forma ciò che è nazionale.
Notare infatti: la copertina del libro presenta Joyce in atto di avanzare. Ma avanzare chissà verso dove. Eppure nel disegno Joyce sembra avanzare con decisione. Ma avanzare con quello che è riconosciuto essere il “passo dell’oca”. Collegando immagine di copertina e titolo del volume (Joyce, Race and ‘Finnegans Wake’), si potrebbe supporre che il libro tenda a coinvolgere Joyce, almeno nell’epoca di Finnegans Wake, nella ideologia della razza presente in Europa nell’epoca della composizione di Finnegans Wake. Ma questo è proprio quello che Joyce, Race and ‘Finnegans Wake’ tende a mettere da parte. Anzi, a contrapporre. Eppure questo è ciò che viene lasciato al lettore, in quanto spazio libero di pensare, che solo il lettore può fare, nel momento in cui ha a disposizione un testo – Finnegans Wake – che si pone di raccontare la caduta a terra nel mondo degli archetipi collettivi della razza, quando il romanzo, nella forma finale di Finnegans Wake, si pone come romanzo che rifiuta la comprensione del suo dire come forma estrema di accettazione del proprio lettore. Poiché la domanda è: dove si va?