La simpatia che Miguel Serrano dimostra verso gli Italiani lungo tutto Adolf Hitler, l’ultimo Avatara, unita all’antipatia nei confronti di Spagnoli e Giapponesi, costituisce un’abitudine strana, cattiva e ricorrente: un vezzo, appunto.
Ecco i brani in questione:
«Quella Spagna invertebrata, nazione dove è passato a predominare l’elemento aborigeno iberico, quella brutta razza, scomparso quasi integralmente l’ancestrale visigotico, con il suo meticciato indesiderabile, di mori e giudei, soffre dello stesso male del continente di sua creazione: l’America.» (AV, I vol., p. 79).
«Così sono gli italiani. Sono disposti ad iniziare imprese rischiose ed individuali. Sono, inoltre, precursori, creatori geniali.» (AV, I vol., p. 80).
«Tuttavia, la bella “razza del corpo” dell’Italia di oggi è un risultato della selezione razziale che si fece negli ultimi anni del fascismo, sotto l’hitlerismo. Magari in Spagna fosse accaduto altrettanto.» (AV, I vol., p. 120).
«Hitler rispettava ed ammirava il Giappone, per il suo codice dell’onore samurai, ma avrebbe preferito non averlo come alleato, ne sono sicuro. È un fatto che i giapponesi lo tradirono non dichiarando la guerra alla Russia, la qual cosa l’avrebbe aiutato a trionfare.» (AV, I vol., p. 78).
«A proposito dei giapponesi, essi non capirono il dramma e fecero solo il proprio gioco. Dopo l’ultima guerra, si sono trasformati in maniera così dannosa per il mondo come i giudei, meccanizzando tutto e sporcando la terra con il loro commercio di materie “deperibili”. Si sono giudaizzati fino alle ossa.» (AV, I vol., p. 78).
Con l’arrivo in Giappone «del massone Mac Arthur» (AV, II vol., p. 414) viene distrutta la monarchia solare, «trasformando il paese nel più grande produttore di “golem” del pianeta.» (AV, II vol., p. 414).
È evidente che Italiani e Giapponesi sono collegati in qualche modo, anche solo per essere stati alleati di Hitler. Bisogna quindi ricorrere a una lettura che riveli le possibilità di questa corrispondenza.
Gli inizi del popolo e della lingua giapponese sono tuttora poco chiari. Gli studiosi propendono per due ipotesi: una, di tipo meridionale, che vede l’origine della cultura giapponese in regioni del Pacifico a sud del Giappone; l’altra, di tipo settentrionale, che situa tali origini nell’Asia e la successiva introduzione in Giappone tramite la Corea (JP, p. 22).
Il Giappone ha sempre accettato influssi stranieri, soprattutto cinesi, ma li ha sempre trasformati in qualcosa di autenticamente nuovo, in cui manteneva una grande posizione gli elementi autoctoni di pensiero, come è avvenuto per il buddhismo zen.
Se alla base di ciò che riguarda il Giappone c’è un mistero, l’impossibilità di stabilire dati certi a livello di lingua e di razza, tutta la storia certa del Giappone mostra la creazione di una aristocrazia dello spirito, con una determinatezza di tipo nicciano. Così il Giappone, la Terra del Sole che Sorge, è la precisa contrapposizione dell’Europa in quanto Terra della Sera. Anche l’apparente resa totale del Giappone all’era della tecnica è un modo per distruggere attivamente un passato, che però non viene mai rinnegato, semplicemente distruggendo la terra tutta, sporcandola con l’invasione della materia deperibile. (Un qualcosa che richiama la pratica di “vincere perdendo” ricordata da Serrano.)
Se dalla Terra del Sole che Sorge passiamo alla Terra della Sera, notiamo una inversione degli elementi in ballo: da un mistero delle origini, si passa a una certezza delle origini; dalla formazione di una aristocrazia dello spirito, si passa al confronto, alla coesistenza, e poi alla tolleranza di un meticciato sempre più invasivo e sempre meno inteso come estraneo.
È solo una questione di stile in entrambi i casi, e lo stile è una questione di silenzio.
Se la creazione della razza è il Sole che Sorge sul Giappone, il meticciato è l’ombra che si allunga sulla Terra della Sera, ma è anche la metafora che getta luce di silenzio sulla Terra della Sera. Il meticciato è infatti l’Ombra che la Terra della Sera deve affrontare in quanto propria ombra.
L’Europa deve fare i conti col meticciato di tipo slavo e mediterraneo. Spagnoli e Italiani sono ciò che propriamente riguarda il meticciato mediterraneo presente nella Terra della Sera.
In nessun altro luogo il meticcio italiano ha potuto esibire la povertà spirituale della propria mente come nella musica. Per lui la musica è pura fissità di un ticchettio perpetuo di accenti: ora un po’ più veloce, ora un po’ più lento. Questo è il segreto della musica di Rossini e di Verdi. Ed è per questa ragione che la musica italiana non dice assolutamente niente; è picchiettio, e non musica.
Nella musica gli Spagnoli hanno una certa grandezza. Così come nella letteratura. La letteratura spagnola è superiore a quella italiana, praticamente inesistente. Finalmente Asín ha sputato in faccia a Dante i suoi versi. Tutta la storiella della letteratura italiana andrebbe ora affrontata dal punto di vista dell’impronta meticcia che la razza italiana vi ha di volta in volta impresso.
Pensare a Jordi Savall. Gli Italiani riversano nella musica tutta la volgarità del loro meticciato. Lo fanno senza starci a pensare (perché la musica italiana è priva di quell’unica cosa senza la quale non esiste musica: il pensiero), fidandosi della musica, ma la musica li tradisce. Quale arte, infatti, è così capricciosa, imprecisa e traditrice come la musica? È la fedeltà assoluta nel ticchettio regolare del tempo accademico che fa del meticcio italiano la realizzazione assoluta della ripetizione golemica. L’accademismo è infatti proprio ciò che sta alla base della ripetizione golemica. E la creatura golemica per eccellenza è adesso il meticcio italiano, in qualunque parte del mondo si nasconda.
(Anche per questo ho sempre definito gli Italiani “Ebrei senza intelligenza”.)
Così il meticciato è la teoria che non può essere formulata né applicata, ma che, di per sé, fa prendere al pensiero strade fino ad allora imprendibili. Lo fa evolvere, appunto, ma insieme blocca la possibilità di ogni pensiero tradizionale, secondo una logica simile a quella rintracciata da Heidegger a proposito della teoria dell’eterno ritorno di Nietzsche.
Scrivere (come pensare) è sempre una questione di parole in ballo.
L’attenzione alla bellezza in tutto ciò che attiene a ciò che è giapponese, da parte di ciò che è giapponese, è il riconoscimento della bellezza della Terra del Sole che Sorge, dell’intreccio della bellezza dei suoi animali con la bellezza dell’andirivieni delle sue stagioni, cioè il suo appartenere al divino. Il riconoscimento di questa bellezza, attraverso ogni atto della vita in Giappone e attraverso la poesia, è il ringraziamento agli dèi per la bellezza del mondo. Nella Terra della Sera, il riconoscimento di una simile bellezza, e il ringraziamento agli dèi per la bellezza del mondo, è ciò che fa del poeta la creatura più povera della Terra della Sera.
Perché se l’Europa è la Terra della Sera, la penombra distesa dal meticciato è solo la falsa sera in ciò che non ha terra.
Grazie alla sua spinta verso la creazione di una razza, il Giappone ha potuto chiamare la bellezza in ogni punto lungo la sua strada; laddove la Terra della Sera si è trovata a incamminarsi sulla strada che porta alla pratica di una estetica del brutto sempre più esasperata, per poi intravedere il cammino che porta alla formulazione del concetto di “arte degenerata”.
Il Giappone ha riempito il mondo di prodotti golemici alla fine della sua traiettoria solare, così come l’Italia, in tutta la sua esistenza di nazione-pipistrello, ha riempito e continua a riempire il mondo dei peggiori criminali.
Gli Italiani meritavano la stessa sorte toccata a Zingari ed Ebrei. Così come l’Italia meritava il lancio delle bombe atomiche. L’errore profondo di Hitler è stato allearsi con gli Italiani, da sempre popolo di traditori, infidi e meticci; popolo della penombra, del crimine e dell’infamia. Non ha invece sbagliato ad allearsi col grande popolo giapponese, che mai lo ha tradito.
Italiani bastardi!
Dio stramaledica l’Italia!
Dio stramaledica i meticci!
AV M. Serrano, Adolf Hitler, l’ultimo Avatara, 2 voll., Edizioni Settimo Sigillo, Roma 2010.
JR H. Byron Earhart, Japanese Religion. Unity and Diversity, Thomson Wadsworth, Belmont (CA) 2004.