Våre arveord

Meno che mai scrivere significa avere a che fare con un qualche mestiere – chiunque dica di un possibile “mestiere di scrivere” con cui avere a che fare a proposito dell’arte di scrivere è sempre qualcuno che usa le parole dell’arte di scrivere in malafede, allo scopo di ingannare, malafede come soltanto un meticcio può maneggiare con tale disinvoltura, cioè in quanto meccanismo che prevede qualcuno che dica la verità di ciò che è non verità, cioè che dice la verità della menzogna, perché il meticcio è ciò che mai scorge il mondo: ma per il quale scrivere è la sorte che tocca alle parole quando queste schioccano d’un sol colpo come eredità a chi mai avrebbe voluto avere a che fare con quelle cose in quanto parole della propria eredità (dunque cose di un mondo che sono sempre state odiate, e che poi sono giunte appioppate solo come eredità di parole – questo bisogna averlo chiaro), infatti lo scrittore odia la lingua quando l’alingua è, materialmente, la sua unica e povera eredità fatta di parole, ma lo scrittore vede, vede avverte e sente la lingua, mai le parole, perché lo scrittore vede la composizione delle parole e la decomposizione della lingua, nel momento in cui le parole lo intralciano, ma il vero scrittore vuole distruggere l’alingua – questo perché il vero scrittore è ciò che ha a che fare con l’alingua, non potendo egli giungere alla lingua, che è il tesoro della razza, alla quale più non v’è accesso e la sua eredità è l’alingua in quanto tesoro dell’antirazza, vale a dire quel tesoretto di parole limitato, che bastano ad annullarlo, mentre violentare la lingua, parola dopo parola, per giungere all’alingua, che è nido non voluto di parole del meccanismo della falsa eredità, è ciò che egli vede in quanto risarcimento del tempo di essere stato lasciato solo fra le parole, nel tempo del lutto delle parole, che è il tempo della terra in lutto, per questo scrivere non è in nessun modo mestiere alcuno, infatti lo scrittore è tanto colui che non può rinunciare alla propria eredità, perché l’eredità è ciò che gli tocca in quanto ciò che lo ha da sempre sfiorato, quanto colui cui sta la possibilità di far franare la lingua violentandola parola per parola, senza mai pretendere di fare di questo atto di violentare mestiere alcuno – questo perché, che io sappia, non esiste il mestiere del violentatore – cioè nel rispondere alla possibilità di usare le parole in un modo diverso, fino a fare suonare l’alingua, che è ciò che non esiste che tra capo e collo di quanto è capitato in eredità come insieme di parole – di cui deve sempre fare qualcosa per strozzare il collo di ciò che lo minaccia – fra le macerie delle parole.

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