La questione del personaggio Baumgartner, protagonista del romanzo Baumgartner dello scrittore Paul Auster, si pone a partire dalla domanda: “come parlarne?”. Si può rispondere al presente, cioè richiamando il tempo presente: Baumgartner è quello che, in questo momento, il personaggio che è Baumgartner fa, che è quello che vediamo / possiamo dedurre dalla prima riga del romanzo. Le considerazioni su quello che il personaggio Baumgartner fa, sono le considerazioni su quello che il romanzo Baumgartner è come truffa del romanzo, volendo impostare il discorso sulla letteratura. Il romanzo Baumgartner si può considerare come variazione della messa in gioco del personaggio nei romanzi di Paul Auster e di “Paul Auster” come personaggio che entra in scena nei romanzi di PA a fianco di altri personaggi interamente da lui creati.
Baumgartner come romanzo si determina secondo una struttura articolata in cinque capitoli che si svolgono secondo un andamento a zig-zag:
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Capitolo 1: i piccoli incidenti che capitano in una giornata qualunque al qualunque protagonista che ha nome Baumgartner.
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Capitolo 2: la telefonata dall’aldilà indirizzata al personaggio Baumgartner alla fine del capitolo.
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Capitolo 3: la Svolta che coinvolge il personaggio Baumgartner.
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Capitolo 4: indietro nel tempo, nei rami della razza – del personaggio Baumgartner.
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Capitolo 5: l’attesa, da parte del personaggio Baumgartner, dell’ospite che deve arrivare.
Il capitolo 2 e il capitolo 4 si presentano come rilancio della storia nell’improbabile (la telefonata dall’aldilà, le speculazioni di Baumgartner sul suo nuovo possibile matrimonio); il punto di svolta è rappresentato dal capitolo 3, che rappresenta il centro di una asimmetrica dispari architettura e rappresenta il punto di svolta, così come i capitoli 4 e 5 rappresentano la liquidazione del materiale portato alla memoria da parte del protagonista, mentre i capitoli 1 e 2 tengono insieme la costruzione del semplice personaggio Baumgartner, cioè la sua definizione.
I primi due capitoli si riferiscono ad avvenimenti del tempo presente; gli ultimi due capitoli comprendono un richiamo ad avvenimenti del tempo passato e un richiamo ad avvenimenti che si rivolgono a quanto potrebbe svolgersi nel tempo futuro, ed usano il presente solo per “ingannare il tempo comune”; il capitolo 3 funziona così come punto di svolta tra i due blocchi.
Il romanzo Baumgartner si compone come collegamento fra quello che il romanzo Baumgartner può dire del personaggio Baumgartner e l’inclusione di materiale eterogeneo, scritto prevalentemente da un altro personaggio (la moglie di Baumgartner) e poi dallo stesso Baumgartner – in quanto finzione di personaggio. È tutto materiale a cui Baumgartner accede solo in quanto materiale a cui ha adesso accesso. Questo comporta la messa in gioco, anche in questo romanzo, del personaggio “(Paul) Auster”, che nei romanzi di Paul Auster entra spesso in gioco, tra gli altri diversi personaggi del romanzo.
In questo romanzo questo conduce in un primo tempo alla sindrome dell’arto mancante (considerata nel capitolo 2 di quel romanzo), vale a dire ciò che conduce dagli incidenti come conseguenza della vicinanza alla teoria dell’altro come arto mancante – e quindi alla Svolta che è mostrata nel capitolo 3 del romanzo. La questione riguarda la funzione dell’altro. Il romanzo contemporaneo è di tipo piattamente minimalista, a differenza del romanzo precedente, che era di tipo serioso & massimalista per quanto riguardava le relazioni tra i vari individui di una stessa famiglia. Così l’individuo risulta atomizzato – mentre il romanzo meno che mai si avventura nella composizione subatomica, che è ciò che invece costituisce la Nuova Composizione Letteraria, basata sulla misurazione quantistica per quanto riguarda la determinazione dei personaggi. Il romanzo antecedente al modernismo poneva una griglia di vicinanza/lontananza tra i personaggi, mentre il romanzo postmoderno non pone griglia alcuna, affidandosi alla vicinanza tra tutti gli individui tratti in gioco – atomizzati – che è ciò che costituisce la società moderna.
Sindrome dell’arto mancante = sindrome di Calandrino. La questione di prendere la terra: ormai non è questione di prendere la terra, quanto di rilasciare la terra da una presa malandrina. Il meticciato è ciò che ruba terra. Qualunque presa della terra sarebbe stata allora tutto, fuorché rilascio della terra; questo perché, nell’epoca in cui non vi era più presa della terra, cioè nell’epoca in cui la presa della terra poteva solo essere articolo di pensiero, la terra non è stata presa. “La fine” è la storia con cui ha a che fare ciò che è rimasto, che determina chi è rimasto.
Per questa ragione il personaggio Baumgartner si definisce, nel primo capitolo del romanzo Baumgartner, come albero i cui rami vanno a sbattere contro altri alberi in una foresta diventata aliena per diversi motivi in quel tratto di terra a una classe di personaggi che il romanzo Baumgartner non considera, ma per i quali il personaggio Baumgartner si trova ad essere in vicinanza, e che, nell’ultimo capitolo, va a sbattere contro un albero con la sua automobile, quando un cervo, individuo animale autoctono in quel luogo considerato dal romanzo Baumgartner, gli sbarra sull’istante la solida sua stretta strada. Fra i due estremi si pone la Svolta, che è ciò che porta il personaggio Baumgartner a riflettere sulla propria origine allogena rispetto a quel luogo – perché da una struttura che considerava la possibilità di sopravvivenza di un albero isolato si passa allora al giardino che contiene l’albero. La prima metà del nome è ciò che definisce la funzione del personaggio; il totale delle due metà è ciò che definisce il romanzo, che corrisponde al caso del cognome fatto protagonista; mentre nel romanzo il punto di svolta è un capitolo redatto al presente, nel nome il punto di svolta è un punto irrazionale che separa solo due sole sorgenti differenziate.
L’albero non è l’albero che si trova nella proprietà del narratore, ma è l’albero che il narratore raggiunge facilmente allontanandosi da casa.
Questo romanzo parte da piccoli incidenti del caso che coinvolgono tante cose e persone a partire dal personaggio Baumgartner, ma il romanzo Baumgartner non è l’epica del rapporto tra le cose e le persone, bensì la relazione di ciò che lega un simpatico individuo colto a caso e coinvolto a forza in questa relazione, tra tante cose e persone qui, per caso, di nome Baumgartner – per questo si può dire che il romanzo è, per costituzione sua propria, proprio niente più che una truffa bella e buona.
Il romanzo Baumgartner ribalta la messa in scena del personaggio “Paul Auster”, presente in altri romanzi di Paul Auster, presentandola come messa in scena di una famiglia di nome “Auster”, che il protagonista Baumgartner, a un certo punto, nel corso del romanzo, si trova a dover chiamare, come famiglia dalla quale egli proviene dal lato materno (e che non impone al personaggio “Paul Auster” una entrata in scena – perché la questione che chiama in causa non è tanto il nome proprio dell’autore, quanto l’autore in quanto nome comune).
L’arte del racconto nasce dall’inciampo di luoghi comuni diffusi, come mostra il Decameron del meticcio italiano Boccaccio, forse il libro più brutto mai impastato a forza tutto insieme con la volontà malefica di trarre fuori un libro qualunque sia, un libraccio, un libro nero della razza, che è l’antirazza; l’arte del racconto è poco più che un’arte del pettegolezzo impastato a forza tutto insieme – ma l’arte del racconto è ciò che è – a questo punto – perché Boccaccio, che era un meticcio (un meticcio italiano, se proprio vogliamo precisare), a un certo punto è entrato nel gioco: e potremmo dire che cosa sarebbe, adesso, l’arte della narrazione se non fosse stata inquinata dal meticciato?
Ciò che il romanzo Baumgartner chiama è l’inutilità della letteratura, ma ogni romanzo ben riuscito deve chiamare l’inutilità della letteratura, che è ciò che chiama la forma “romanzo” in quanto ciò che la mette in dubbio.
Il problema è la frattura nell’arte del racconto, che determina la profondità dell’arte del romanzo. Heidegger, che ha riconosciuto in Hölderlin la possibilità massima della poesia pensante, non ha mai riconosciuto la possibilità di una prosa pensante, che è ciò che pure costituisce Hyperion di Hölderlin, così come non ha mai considerato i saggi scritti da Hölderlin, per quanto la letteratura debba collocarsi come qualcosa che coinvolge la Dichterberuf – in qualunque caso – e quindi la parola che nella poesia ha la sua massima esaltazione, ma che chiama la lingua come tesoro della razza, per cui anche la prosa come parte del tesoro della razza. Per questo ci troviamo, una volta di più, ad avere a che fare con i meticci, che sono ciò che impesta il mondo.
La storia di Baumgartner, che è la storia di Baumgartner, può essere raccontata a partire dalla sindrome dell’arto mancante, che porta alla ricerca dell’altro come sostituzione della mancanza, che è la costituzione della mancanza, cioè dell’arte venuto a mancare, per poi passare alla ricerca che porta all’inabissamento nella propria linea familiare, per poi rispondere a una nuova insperata chiamata dell’altro, che porta a sbattere contro l’albero, per non andare a sbattere contro il cervo.
Ciò su cui il romanzo Baumgartner ruota intorno è la messa in scena dell’inutilità della letteratura; ciò su cui il romanzo ruota attorno è ciò che il romanzo chiama: ogni romanzo ben riuscito chiama l’inutilità della letteratura – il congegno, la storia bene organizzata è ciò che, salvando l’inutilità della letteratura, insieme svela la storia come congegno inutile, se si considera il personaggio Paul Auster, che è sempre andato a caccia di storie (come nel caso di Auggie Wren a proposito della possibilità di un racconto di Natale come lavoro proposto a caso allo scrittore Paul Auster). Così la letteratura si determina come congegno e la storia come rispetto della storia in quanto congegno: ogni testo della letteratura è infatti un gioco, che è il gioco delle perle di vetro, vale a dire il giochetto di una storia più che ben congegnata.
Consideriamo Auggie Wren: lo scrittore è a caccia di una storia, cioè di una gabbia per singole parole delimitate allora bene (in questo caso relative a un “racconto di Natale”), che deve portare a un effetto preciso, perché non crede nella lingua come tesoro della razza, che è ciò che costituisce la verità delle parole, che è ciò che lo attraversa lungo tutta la vita; ma quando un informatore gli offre una storia “come lui la voleva”, non può che porsi, alla fine, la domanda sulla verità di questa storia in quanto storia realmente accaduta: la storia esiste come storia o è ciò che viene confezionata come “storia” da parte di colui il cui obiettivo era solo raccontare una storia a colui che, non solo chiedeva una storia, ma chiedeva anche che venisse soddisfatto il suo preciso concetto di “storia”, cioè di racconto, in questo caso di “racconto di Natale”? Quindi l’informatore ha inventato parte del racconto che trasmette come pura verità. Lo scrittore pone la domanda sulla veridicità, ma non pone la domanda sulla razza che ha posto la questione sulla veridicità, che è la questione sulla razza, che è invece ciò che proprio la sua scomparsa deve portare in scena.
I giovani che si incrociano adesso nelle città del sud dell’Europa (limite che è ciò che non ha a che fare con la razza bianca) rispondono sempre più al modello latino americano, che non ha nulla a che vedere con la razza bianca. Ma questo dipende dal fatto che si è lasciata vivere l’Italia, cioè che si è dato spazio al meticciato (= che si è permesso al meticciato di vivere), che per sua natura è il nemico della razza bianca. L’uomo non sarà mai padrone del mondo finché non avrà accettato il gioco del mondo, che consiste, di volta, nell’assumersi la decisione relativa a chi spetti il diritto di vivere e a chi spetti il diritto di scomparire. L’uomo non sarà mai padrone del mondo finché non avrà deciso a chi spetti il diritto di vivere e a chi di scomparire. Questo è ciò che è chiamata la razza, per cui l’andare nella terra è solo l’inciampo.
Le strategie del racconto determinano ciò che, nel racconto, è di volta in volta stato reso possibile. Il congegno è ciò che, nella letteratura, non deve più porsi come ciò che deve essere per mantenere quel tipo raggiunto di congegno del racconto.
Consideriamo il caso di un’arte del romanzo tesa alla più estrema forma sintetica: Lovecraft, il Commonplace Book; Orrore, da una parte; Caso, dall’altra. È possibile collegare Lovecraft e Paul Auster? forse tramite Il taccuino rosso di Paul Auster, che è una specie di Commonplace Book di Lovecraft; ma è una possibilità comune pensare la svolta di un’arte narrativa verso l’aforisma, dopo la svolta vecchia massimalista; a separare è la documentazione, che coinvolge entrambi gli scrittori, – ma ora si può dire che Kafka aveva visto giusto. Nel germe della letteratura c’è il nucleo; al nucleo dell’individuo c’è la razza. Quindi nessuna evoluzione.
Il discorso su Lovecraft come autore deve essere impostato come tipologia di tre diversi sistemi di composizione del testo (escludendo l’epistolario e la saggistica): prosa (i racconti per cui è generalmente conosciuto), poesie, appunti confluiti nel Commonplace Book; la prosa sviluppa a livello di congegno un nucleo basato sul puro orrore, a cui la razionalizzazione indica il percorso attraverso un sistema di passaggio da un momento all’altro; la poesia non ha bisogno di razionalizzazione: infatti esprime il momento del massimo orrore escludendo i vincoli narrativi; il Commonplace Book si presenta come quaderno di appunti, che richiama l’aforisma, ma la prossima forma che attende il romanzo sarà la forma del romanzo aforistico, nella quale siamo già implicati, e che butterà all’aria la forma del romanzo come noi la conosciamo. La Nuova Composizione Letteraria metterà la storia di un linguaggio, che – casualmente – crea personaggi, al posto di una storia di personaggi su cui è basata ancora oggi la narrazione, per cui possiamo seguire la storia di Baumgartner come storia della sindrome mancante che cerca la sua soluzione.
Il paroliere usa solo slogan. D’Annunzio è un esempio di uso degli slogan nel modo di parlare degli italiani, che non è una lingua. Ma ogni paroliere del meticciato italiano (impropriamente chiamato “poeta italiano”) usa le parole, che sono la sua forza, perché il poeta usa la lingua, non si piega mai all’umiltà delle parole, che è ciò che usa lo spettro contraffatto del poeta del meticciato, cioè il paroliere, perché il meticciato non ha mai un poeta perché non ha una lingua, ha solo un paroliere, così come il meticcio non ha un compositore nel campo della musica, ma ha un musichiere: Dante, Boccaccio, d’Annunzio sono stati i parolieri del meticciato (meticciato italiano, in questo caso), così come Vivaldi, Rossini, Verdi sono stati i musichieri del meticciato (meticciato italiano, in questo caso). Questo deve essere detto, in una volta, in segno di disprezzo verso il meticcio italiano Dante Alighieri e verso il meticcio italiano Gabriele d’Annunzio, in una volta detto in più in segno di disprezzo verso queste due cose, e verso il meticciato italiano – che è un insieme di tante cose che non dovrebbero più essere lasciate essere, perché è ciò a cui dovrebbe essere tolta la vita: questo perché si deve riconoscere ciò che non ha diritto di vivere.
Paul Auster, Baumgartner, traduzione di Cristiana Mennella, Einaudi 2023.