Indirettamente, le opere di H.P. Lovecraft possono servire a indicare quanto i pregiudizi guidino, ancora adesso, il modo di pensare, nascondendosi a noi proprio in quanto pregiudizi; così noi giudichiamo “pregiudizi” quanto in quell’opera cataloghiamo come esempi di razzismo e di intolleranza dovuti all’epoca nella quale quell’opera è stata scritta, senza accorgerci che, proprio in questo nostro modo di pensare, noi non facciamo altro che soggiacere ai pregiudizi della nostra epoca – e che tutto ciò che, per noi, è fondamentale per la vita degli umani, per un’altra epoca, anche prossima, potrebbe essere cosa da considerare appena con un accenno di sorriso, che è tutto quello a noi dovrebbe invece indicare un altro modo di scrivere, pensare, leggere. Che io sappia, Hegel e Nietzsche hanno avuto questa abilità di scrivere ciò che, in quello che si scrive, preme per vedere oltre ciò che si scrive.
Leslie S. Klinger (Prefazione a “Edizione annotata H.P. Lovecraft”, in H.P. Lovecraft, Edizione annotata, a cura di Massimo Scorsone, Mondadori 2014, pp. 19-84) fa notare la falsità della formula “Mitologia di Cthulhu” per indicare il tratto comune che collegherebbe alcuni racconti di Lovecraft nella formula comunemente attribuita a Lovecraft, ma in realtà, secondo quanto egli sostiene, da attribuire al solo August Derleth.
Anche se H.P. Lovecraft non ha pensato un sistema coerente di mitologia per la propria opera, o per una parte di essa, analogo a quello utilizzato da Tolkien per la propria, Lovecraft ha lavorato su principi costanti attraverso diversi racconti; così questo sistema comprende due stati diversi che hanno a che fare con la terra: 1) Gli strati più lontani occupati dai nativi d’America, che hanno impresso alla terra particolari vibrazioni, che la rendono tanto facilmente occupabile quanto difficilmente abitabile, a seconda di ciò che si pone a sostare sulla superficie, stando in contatto costante con quelle vibrazioni; 2) lo strato che rende tali vibrazioni avvertite con favore dal meticciato, che tendono a favorire il risveglio di ciò che giace nel profondo addormentato ma non mai morto, mentre viene avvertito come orrore da scampare, entro una terra maledetta, da parte della razza bianca, per quanto, razionalmente, sia poi visto come ciò che è destinato a ritornare. Il meticciato, secondo H.P. Lovecraft, riguarda la degenerazione di quella parte d’Europa che non è più l’Europa della razza bianca (comprendente gli ammassi spagnoli, italiani, francesi, greci, slavi, che hanno invaso l’America costituendola spazio ideale del melting pot); mentre la razza bianca riguarda il nucleo autentico d’Europa, che è l’Europa della razza bianca (riguardante i popoli tedeschi, scandinavi, olandesi, celti, che ha costruito l’America, che è allora l’America della razza bianca).
Maisha L. Wester (The Gothic and the Politics of Race, in Jerrold E. Hogle (ed.), The Cambridge Companion to the Modern Gothic, Cambridge University Press 2014, pp. 157-173) nota la componente dei toponimi indiani presente in molti racconti di Lovecraft come marchio in grado di segnare la terra in quanto terra maledetta, ma non procede oltre. Indipendentemente dalla questione legata a Lovecraft, Miguel Serrano ha indicato la direzione rispetto alla terra, cioè in cui la terra va pensata: «La terra è un essere vivo, animato; ogni zona ha il suo proprio magnetismo e le sue proprie vibrazioni, attraverso cui essa agisce sugli esseri che l’abitano, modificandoli, trasformandoli.» (Miguel Serrano, Il Cordone dorato. Hitlerismo esoterico, traduzione di Nicola Oliva, Edizioni Settimo Sigillo, Roma 2007, p. 85). Che la terra possa diventare protagonista di una storia è la situazione che H.P. Lovecraft ha esposto nel breve racconto La strada (pubblicato nel 1920), dove la terra pronuncia e infine esegue la condanna a morte nei confronti di un gruppo di meticci slavi, che, ad un certo punto, si sono trovati ad occupare il tratto di terra su cui sorge la strada protagonista del racconto, progettando un grande attentato terroristico. Il meticciato può occupare la terra; il meticciato non abita mai la terra; il meticcio occupa la terra in quanto occupante, sempre abusivo, sempre appena tollerato, mai bene accolto, così come una pietra occupa una porzione di terra; oppure il meticcio scorre la terra in quanto migrante, così come una frana scorre attraverso un tratto di terra, distruggendola anche solo parzialmente; questo perché il meticcio non abita mai la terra, perché il meticcio non è mai ciò che la terra chiama come suo abitante.
Il toponimo indiano è ciò che, in diversi racconti di H.P. Lovecraft, svela la terra tanto agli occhi di un osservatore esterno quanto agli occhi del lettore, rendendo il personaggio consapevole riguardo a ciò che quella terra occupa e obbligandolo a delle scelte, oppure a ciò che quella terra abita, cioè a ciò che è il meticciato oppure la razza bianca; nei racconti di H.P. Lovecraft la terra occupata dai nativi americani, di cui rimangono i toponimi, è la terra segnata dagli orrori che coinvolgono la Miskatonic Valley, entro cui sorge Arkham, sede di incursioni e attacchi diretti da parte di ciò che non si conosce, la valle del Pawtuxet che è al centro della vicenda del racconto Charles Dexter Ward, della foce del Manuxet, dove si svolge la vicenda del racconto La maschera di Innsmouth.
Compito dello scrittore, in quanto cellula del destino della razza, è indicare il cammino che porta a riunire quanto è terra della razza bianca d’Europa a quanto è razza bianca d’Europa – che è ciò che ha portato a costituire l’America come qualcosa di europeo, nel momento in cui l’Europa non è più la terra degli europei.
Il cosmo è gelido sguardo indifferente alla sorte umana dentro quello che ha scritto Lovecraft, (ma nulla a che vedere con quanto diceva, nei suoi vecchi mucchietti di parole, il vecchio Giacomo Leopardi, paroliere giocoso, saltimbanco gibboso, marchigiano pulcinella, già sghembo meticciato italiano), ma proprio per questo terreno del gioco del mondo, che attende il pensatore della razza bianca, ruolo che nei racconti di H.P. Lovecraft non compare mai, perché la scienza perde anche lì la propria credibilità, per quanto il racconto di Lovecraft si basi proprio su una insistita razionalità e Lovecraft basi i suoi racconti su personaggi, quando invece, scientificamente, appare come siano le teorie a creare i personaggi, basati così, questi, su nient’altro che un niente: così vediamo che Leopardi è un paroliere del meticciato; mentre Lovecraft è uno scrittore della razza bianca – perché il meticciato ha solo parolieri, e la razza ha lo scrittore in quanto detentore della parola, che si rende allora parola della poesia o parola della storia, cioè della saga, che porta alla lingua.
Michel Houellebecq ha notato la scomparsa del tema del razzismo nello sviluppo della mitologia di Cthulhu ad opera dei continuatori di quella mitologia: «Tra gli scrittori più direttamente legati all’orbita lovecraftiana, nessuno ha mai ripreso le fobie razziali e reazionarie del maestro. È anche vero, però, che questa strada è pericolosa e offre uno sbocco molto limitato. Non è solo una questione di censura e di impopolarità. Probabilmente gli scrittori del fantastico sentono che l’ostilità a ogni forma di libertà finisce per generare ostilità alla vita. Lovecraft lo sente quanto e meglio di loro, ma, essendo un estremista, non si ferma certo per così poco.» (Michel Houellebecq, H.P. Lovecraft. Contro il mondo, contro la vita, Bompiani, Milano 2001, traduzione di Sergio Claudio Perroni, p. 65) – perché appunto non si tratta di «fobie razziali e reazionarie», tantomeno di ostilità alla vita, ma di restituzione di ciò che è della razza bianca alla razza bianca d’Europa.
A differenza del dio della scienza, perché di due dèi si tratta, quello dello scrittore gioca a dadi – perché lì egli avverte, lì, il campo del suo divertimento, si tratti di Europa o di America; ma perché la terra della razza bianca non deve essere terra per il nemico della razza bianca, che è la degenerazione della razza bianca; così noi vediamo adesso la terra solo come terra dove andare, terra da occupare con insediamenti dettati dal capriccio, oppure terra da trascorrere in quanto migranti, per andare in altre parti della terra, e non vediamo mai la terra come ciò cui spetta il diritto di scegliere il suo abitante, perché non abbiamo più la parola della saga che lancia i suoi há-sæti fuori dal bordo quando formula il suo pensiero, per attendere il momento di andarli a rintracciare, là dove noi siamo stati chiamati.