Marcello Veneziani, Nostalgia degli dei

Soltanto in previsione di un lungo periodo di guerre a venire, che, inevitabilmente, servirà a riportare alla rivalutazione dell’odio e del disprezzo tra i popoli, quanto poi di una comunità che accetti la nuova conformazione in base ai tempi, ma anche in base a ciò che riguarda la misurazione quantistica, si può pensare di scrivere, rivolgendosi a chi abbia finalmente chiara tale possibilità, altrimenti non si fa che ripetere cose perdute via via, strada lungo facendo; per cui sembra giusto partire dalla domanda: “qual è il conflitto?”, domanda che dovrebbe portare alla stesura di ogni nuovo libro, mentre la domanda che si pone adesso non è nient’altro che ciò che porta alla inadeguatezza di ciò che ci si ostina a definire come cultura di destra e cultura di sinistra.

Al di qua di questa possibilità, sembra stia giungendo la formazione di un centro destra culturale, che si conferma cultura come calma schietta sciatta scialla, che comporta la composizione di un libro quale opera di catechesi linda e blanda, mentre invece un libro non deve insegnare né tanto meno chiarire, quanto spandere energia dissonante attraverso la linea di un conflitto – infatti la serietà va bene solo quando riguarda la serietà del bambino che gioca, altrimenti è teatro, carnevalata, scherzo occasionale in costume, cioè salotto culturale.

Ma la questione che torna adesso è la composizione del testo, nei confronti di chi sarà chiamato a leggere il testo. Da quel maestro dell’analogia che era Novalis ricaviamo: «Il vero lettore dev’essere l’autore ampliato. Egli è l’istanza superiore che riceve la cosa già preliminarmente dall’istanza inferiore.», che è ciò che comporta la differenza tra Novalis, che vedeva nei lettori una continuazione dell’opera dell’autore, che è ciò che apre a Finnegans Wake, e l’intento di un libro che si ferma ad un intento di catechizzare.

Per il resto, il pensiero ordinato è ormai tanto di destra quanto poi di sinistra. Non lo avete mai notato? – ma questa è una cosa che non ci interessa e che facciamo bene a lasciare andare via al più presto.

Le regole sono sempre le stesse. Non potrà mai esserci il Nord come cultura operante finché esisterà il meticciato, perché esisterà solo qualcosa che identificherà la freccia che punta al Nord, che indica l’esistenza di ciò che è vita indegna di vivere, che è ciò con cui, prima o poi, qualcuno sarà chiamato a regolare i conti. Noi non sappiamo che forma potrà mai avere il nuovo pensiero, abbiamo solo la Freccia che punta al Nord, come aveva riconosciuto Heinrich Himmler nel modesto palazzotto di stile italiano reperito in terra germanica: un meticcio italiano può solo intrecciare storielle in un palazzetto tirato su altri da meticci italiani, come ha fatto il meticcio italiano Basile o il meticcio italiano Ariosto o, nell’ambito della musica, il meticcio italiano Monteverdi e così via via, strada lungo facendo; ma solo chi torna all’origine del pensiero della razza bianca può trovare, nel palazzotto tirato su dai mediocri meticci italiani, la Freccia che punta al Nord, che appartiene, alle parole che comprendono la nostra eredità, cioè le parole che abbiamo ricevuto in quanto nostra eredità, che è ciò che riguarda ciò che è giunto in eredità alla razza bianca, questo quando il pensiero torna a pensare il pensiero della razza bianca in quanto ciò che è da pensare, ma che non riguarda più ciò che è portato a nascere nel luogo in cui qualcosa ha la spinta di andare via da dove è nato andando nel mondo solo come terra dove andare – ed è per questo che è ormai tempo di passare dal bit al qubit, abbandonando la vecchia stratificazione della cultura. Il meticcio può fare giochi di parole, battute di spirito e raccontare barzellette in saloni bene illuminati dagli architetti del meticciato italiano, ma solo alla razza bianca spetta il compito di articolare l’arte del pensiero in ciò che il meticciato ha finora combinato.

Ma se vogliamo restare alla cultura di destra e di sinistra, alla cultura di destra compete allora il ricordo della razza bianca; mentre alle altre culture spetta invece il compito di cancellarne il ricordo; questo perché solo la razza può chiamare il poeta, che sarà allora il poeta della razza bianca, così come solo la razza può chiamare il compositore, che sarà allora il compositore della razza bianca, mentre il meticciato può avere soltanto un paroliere e soltanto un musichiere: il grande scrittore violenta la lingua, il piccolo scrittore è tanto se riconosce di avere a che fare con l’alingua come sua materia e fama e focaccia.

Ma rimane il concetto di Altro e di essere umano. Quello che l’andare per il mondo adesso consegna, è l’incontro con il meticcio: che deve essere separato da ciò che è l’incontro con l’altro, che allora è l’incontro con la terra. Noi pensiamo alla terra solo come terra dove andare, non pensiamo più alla terra come ciò cui spetti il diritto di stabilire chi abbia il diritto di abitare la terra; per cui pensiamo alla terra solo come terra dove andare, o come turisti, o come migranti, mentre ciò che comporta l’andare nella terra è solo andare nella Terra del Sacro, per incontrare la sacralità della terra, che è ciò che comporta colui che risponde alla nostalgia degli dèi, che deve allora incontrare ciò che, avendo avuto nascita nella terra del sacro, nel momento in cui esisteva soltanto terra, diventata poi terra del sacro, ne può redimere l’atto vergognoso di nascita, perché andare nella terra è allora possibilità di incontro con il sacro, che noi ormai non riconosciamo più come possibilità legata all’andare nel mondo, che questa recensione in negativo, una delle prime del genere, credo, tende ad esporre, nella forma di Dono della terra, che è l’incontro con l’Altro, che meno di tutto è l’altro come ciò che a caso si affaccia spaurito dal tientibene.

Così come il libro è allora ciò che sempre vuole vivere, tramite l’autore, che ne è soltanto tramite e letame, il mondo è ciò a cui si deve dare forma, perché la terra chiama il suo abitante, ma ponendo sempre la domanda: “Sono gli umani, adesso, in grado di dare forma al mondo, cioè la muova forma, di cui il mondo ha bisogno?”, così come la domanda che si presenta a chi si appresta alla composizione di un nuovo libro, perché è ciò che comporta, ad un tempo, le due cose che ne fanno una: struttura del libro e sacralità della terra.

Ancora una volta, “Incipit Zarathustra”: L’Europa alla razza bianca d’Europa! Restituire l’Europa alla razza bianca d’Europa!

Marcello Veneziani, Nostalgia degli dei. Una visione del mondo in dieci idee, Marsilio, Venezia 2019

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