Si parla tanto della corruzione presente nella politica italiana. Si cerca di trovare un rimedio; si cerca, cioè, di trovare un modo attraverso il quale la politica italiana non sia più afflitta dalla corruzione.
Si cerca di affrontare in modo morale, anche facendo leva su una questione generazionale, una questione che ha invece radici schiettamente antropologiche.
Il meticcio italiano è, per sua natura, strettamente portato al crimine; verso ogni tipo di crimine: dal crimine più grande, quello, ad esempio, di tipo mafioso, che prevede la grande criminalità organizzata, a quello che passa attraverso tutti i tipi di truffe, generalmente considerate “simpatiche” dal meticcio italiano, fino alla corruzione politica. Quest’ultimo tipo di crimine sembra poi fatto apposta per soddisfare il carattere sempre vile e malizioso del meticcio italiano, soprattutto di quello che ha raggiunto un certo potere.
E quindi la diffusione della corruzione nella vita politica italiana non deve stupire; la questione è infatti sempre la stessa: non bisogna pensare a migliorare – né a come migliorare – il meticcio italiano; bisogna pensare a come sopprimerlo.
Categoria: Antropologia
Un’altra razza
Al suo arrivo in Italia, Goethe è colpito dal colore bruno della pelle degli Italiani. A volte lo collega a un effetto della malnutrizione: «Appena si fece giorno, dopo che fui sceso dal Brennero, notai un netto cambiamento nei visi; specialmente sgradevole mi parve il colorito bruniccio pallido delle donne: i loro lineamenti denotavano miseria. […] Credo che la causa di tale salute malferma risieda nell’uso continuo del granturco e del grano saraceno.» (p. 37). Altre volte lo collega invece a questioni climatiche: «Sul lago di Garda ho trovato gente dalla pelle molto bruna e senz’ombra di rosso alle guance, ma tuttavia per nulla malsana all’apparenza, bensì fresca e ben portante. Può darsi che ciò dipenda dai vividi raggi solari cui sono esposti ai piedi dei loro dirupi.» (p. 38).
Quello che in realtà Goethe notava era una differenza di tipo razziale: gli Italiani non sono di razza bianca, almeno non lo sono nello stesso modo in cui lo sono i Tedeschi. All’interno di questa constatazione trovano posto i dettagli ulteriori. C’è una differenza, che noi oramai, sia per fattori ideologici, sia per questioni legate al nostro tipico modo di vivere, che prevede grandi e facili spostamenti, e insediamenti di diversi tipi razziali pressoché in quasi tutti i paesi del mondo, non siamo più in grado di cogliere, ma che i primi attenti viaggiatori, ancora immuni dall’ottundimento dei piccoli intervalli, coglievano. A noi farne l’uso più proficuo.
J.W. Goethe, Viaggio in Italia, Mondadori, Milano 1990.
Caricature
Alcuni primi piani del profilo di Lukács ricordano le caricature dell’Ebreo in voga nella Germania nazista.
Non si è mai considerato il volto di un intellettuale in rapporto alle sue teorie. (Che Lukács fosse un usuraio del pensiero?)
Da qualche parte, Lombroso aveva analizzato i volti dei capi della Rivoluzione francese dal punto di vista dell’antropologia criminale…
Nel Diario di un genio Salvador Dalì contrapponeva i suoi baffi, leggeri e rivolti in alto (indice, a suo avviso, di carattere euforico), a quelli di Nietzsche, pesanti e rivolti in basso (indice, a suo avviso, di carattere depresso).
Pasolini aveva i lineamenti sottili e scattanti della checca nevrotica. Umberto Eco ha l’aspetto di un lumacone che sbava sugli scaffali delle biblioteche su cui striscia con parsimonia. In certe fotografie, Bertrand Russell sembra una scimmia. Heidegger ha quasi sempre l’aspetto di un mastro birraio bavarese.
In Arcipelago Gulag Solženicyn accusava Sartre di avere idee molto confuse sul comunismo. In una fotografia, che lo sorprende, insieme a Foucault, nel corso di una dimostrazione a Parigi nel 1972, Sartre ha l’aspetto di un vecchio un po’ confuso, capitato lì per caso. (La fotografia si può vedere e gustare in G. Gutting, A Very Short Introduction to Foucault, Oxford University Press, Oxford 2005, p. 22.)
Una antropologia della persona e delle idee è ancora tutta da fare, ma probabilmente è possibile. E riserverebbe anche delle belle sorprese. Con quali risultati? Sorprese tutte da ridere!
In certi casi il rapporto tra volto e opera è fin da adesso già plausibile; in altri rivela invece un qualcosa che stride.
L’intellettuale è infatti qualcuno che non è ancora pienamente di casa qui. È un qualcosa che si muove confusamente, che non ha una vera terra su cui poggiare.
Chi è?
È il tipico Italiano: antipatico, arrogante, presuntuoso, irascibile, losco. E soprattutto ha il tratto fisico tipico degli Italiani: il naso da Ebreo nel ceffo da zingaro.
L’intavolatura di Martin Lutero
I Discorsi a tavola di Martin Lutero costituiscono un testo che ruota attorno a un qualcosa che, proprio i Tedeschi, hanno capito appena; hanno capito solo a metà.
In Italia si può vedere la traduzione (parziale) di Leandro Perini (Giulio Einaudi Editore, Torino 1969).
Questo qualcosa può riassumersi in una frase del tipo: “L’Europa ha due grandi nemici: gli Ebrei e gli Italiani!”.
Ma quello che è importante, in questo testo, è che Lutero, per la prima volta, ha compreso perfettamente la relazione che esiste tra Ebrei e Italiani.
Preghiamo Dio affinché ci liberi dai falsi Tedeschi!
Preghiamo Dio affinché ci liberi da Ebrei e Italiani!
Preghiamo Dio affinché ci liberi dal Dio semita!