Un luogo vicino al centro dello stadio si chiamava Valaskiálf. Era una zona squallida e deserta, sempre infuocata dal sole e fredda la notte. Non vi cresceva nulla, non c’erano alberi, non c’era erba, sicché, al di fuori di sabbia, non si trovava altro. Una creatura l’abitava. Era uno strano essere. Il naso era largo e prominente come il pugno della mano, gli occhi guardavano fissi e obliqui sotto una piega della palpebra che li proteggeva dalla troppa luce, i capelli scendevano folti a ondulati a coprire la testa e parte della schiena, mentre tutto il grande corpo era adagiato in riposo sulla sabbia.
Uno spettatore si chiamava Geirríðr e abitava la parte di gradinata che si chiamava Tydal, ma egli veniva da Iötunheimr. Geirríðr era alto, vestito con un grande mantello scuro che gli saliva sulla testa coprendogli parte del volto. Girava lo stadio in qualità di viandante e un giorno si fermò sulla sabbia di Valaskiálf. Dietro di lui non c’era niente, dal suo lato destro non c’era niente e neppure dal lato sinistro c’era qualcosa, ma davanti a lui si poteva vedere il grande corpo coricato della creatura, e oltre quello non si poteva vedere altro.
Questo accadde molto tempo dopo la conclusione della parabola itinerante dell’eroe, e i cieli sembravano di nuovo essere tornati tranquilli. Le stelle ruotavano in cerchio sopra la testa della creatura, come se un bastone sostenuto dalle zampe dell’animale ne reggesse lo sfarzoso movimento.
Poi il Viandante pensò: «Nella prima parte del viaggio non volevo mettermi in viaggio; giunto a metà credevo di poter fuggire; ma alla fine ho capito che ero in trappola e da quel momento non sono più stato quello di prima. Mi chiedo che cosa ho attraversato durante il mio viaggio.»
La creatura pensò: «Semplicemente il Mondo. Il Mondo è tutto attorno allo stadio e continuamente vi entra. Quando la casa era piccola e trasportabile per mezzo delle ruote, il Mondo era una cosa ruotante in cima alla casa, perché la casa ne era il centro. E il Mondo era una cosa che attrae a girare ma non si gira a lungo, per questo poi si fissa la casa, e attorno alla casa il Mondo era tutto attorno, tanto che scorrendone le parti gli si dava il nome. Lo stadio è un altro più ampio centro del mondo perché è fisso, ma dentro di esso tutto il Mondo scorre attraverso tutti i nomi della storia. Eppure anche lo stadio ha una fine. A Thule la casa è stretta e fredda per la festa dell’inizio del nuovo tempo della vita.»
«Dunque “Mondo” era la risposta», pensò il Viandante.
E fra il Viandante, la creatura accovacciata ed il centro lo spazio era diminuito, ma la creatura era adesso più vicina al centro ed il Viandante poteva vedere le grandi colonne che ne annunciavano la solenne costruzione.
Il Viandante pensò: «Più viaggiavo, meno ero infastidito dal Mondo. Quanto resisteva a farsi girare, all’inizio, il Mondo! Ora posso dire che poter girare sempre di più il Mondo è sempre di meno sentire la grandezza del Mondo!»
La creatura scosse la testa, e nello scuoterla, come un bisonte preso dal sonno, puntò il naso contro il Viandante, a disagio.
«Io non so che cosa sia questa grandezza del mondo perché non so che cosa sia la paura» pensò poi prima di acquietarsi.
Ma subito pensò il Viandante: «”Paura”, era la risposta!»
Adesso fra il Viandante, la Creatura accovacciata ed il centro lo spazio era diminuito, ma la creatura era ancora più vicina al centro e il Viandante poteva vedere il vuoto aprirsi dietro il grande manto morbido disteso.
Allora pensò il Viandante: «Come è nato questo stadio che tutti protegge? e come è stato possibile arrivare sin qui quando ancora lo stadio non c’era, e quindi senza gli effetti della sua protezione?»
Pensò la creatura: «Arrestando la casa sulle ruote si è formato lo stadio, e attraverso la casa con le ruote si è arrivati fin qui. Dalla prima casa si riceveva quella protezione che adesso si ottiene dallo stadio.»
Pensò allora il Viandante: «Ma oltre la vastità e le traiettorie del Mondo, che pure sono disagevoli, è disagevole il Sonno, perché durante il suo tempo ognuno è indifeso. Che cosa protegge durante il Sonno?»
La creatura pensò: «La stessa casa.»
Pensò il Viandante: «Eppure si sa di molti casi in cui la casa non ha funzionato e la casa ha imprigionato nell’Altro che la occupava il Sonno.»
Pensò la Creatura: «L’Altro si ferma.»
Pensò il Viandante: «È la casa che lo ha imprigionato.»
Pensò la Creatura: «Non era la casa che non andava. La persona era morta.»
Pensò il Viandante: «Dunque “morte” era la risposta!»
Adesso fra il Viandante, la Creatura accovacciata ed il centro lo spazio era molto diminuito e il Viandante poteva vedere la Creatura precipitare nel vuoto del centro, e poi le costruzioni del centro raggiunto dello stadio alzarsi spoglie e alzarsi primordiali sopra e davanti a lui, tutte intorno a lui.
Categoria: Estetica
Il posto del soggetto
Il romanzo è il genere delegato alla rappresentazione del soggetto e delle sue vicissitudini. È cioè il luogo letterario dove il soggetto trova la sua massima possibilità di espansione.
Nel Primo cerchio di Solženicyn il soggetto trova la propria collocazione come “posto” al termine della narrazione e questa trovata collocazione si presenta:
– come dichiarazione di guerra contro lo stato socialista,
– come apertura alla decostruzione del romanzo in quanto forma superiore di romanzo. Forma che verrà attuata in Arcipelago Gulag.
Il posto del soggetto è riconosciuto al termine di una catena di sequenze incatenate tra loro. La concatenazione di sequenze comprendente pochi capitoli è il tratto distintivo della struttura del Primo cerchio perché proprio in una teoria di catene il soggetto può trovare il proprio posto a partire da una teoria della catena.
Tale romanzo si pone come ricerca del posto del soggetto che è in tutto un Ricercare, ma che si compone come messa a fuoco di un soggetto solo in quanto tale soggetto si pone come dichiarazione di guerra contro lo stato socialista. I rapidi accenni a Ojmjakon e alla terra oltre il Circolo Polare dell’ultimo capitolo hanno l’inconsistente spavalderia dei canti di battaglia popolari.
Ufficialmente, il posto del soggetto è raggiunto dopo la sequenza che orchestra l’arresto di Innokentij Volodin (capp. 82-4). Considerando che alle diverse tecniche dell’arresto messe in opera nello stato socialista è dedicato il primo capitolo di Arcipelago Gulag, si vede come il tema dell’arresto incateni la comparsa del soggetto in un punto preciso, che a sua volta chiama in gioco la rappresentazione del sistema dei campi di lavoro dello stato socialista.
Nella conta dei campi dello stato socialista, infatti quello che manca è appunto il soggetto. Questo proprio perché ciò che manca è la mancia lasciata ad arte dalla narrazione. Questa mancia che manca è appunto ciò che marca il soggetto in quanto vacanza ad un posto. Nessuno infatti è saggio, se lascia qualche traccia e il soggetto è solo il lampo di un tramonto limpido.
Poiché la mancia che manca è appunto ciò che manca al soggetto come mancia per porsi come ciò che manca alla teoria della mancia in quanto ciò che manca a ciò che manca al soggetto. Che è ciò che pone la decostruzione del romanzo, in quanto mancia di ciò che manca al soggetto, come ciò che marca ciò che manca alla mancia lasciata, cioè la posizione del soggetto.
Il posto del soggetto così raggiunto in questo romanzo è ciò che lascia vacante il romanzo come posizione nella letteratura, aprendo perciò alla decostruzione del romanzo.
La fuga del soggetto apre la porta sulla fuga del punto di fuga in quanto messa in prospettiva: cioè prospettiva in quanto fuga di spazi e arte della prospettiva.
La posizione dell’autore si determina come posizione di un vero signore che lascia sempre la mancia che manca al suo impegno nell’essere un signore delle parole.
Disastrosamente trascinato
Leggere tutti i libri del mondo e scriverne uno che li contenga tutti è ormai l’impegno verso cui lo scrittore che rifiuta il postmoderno non può che non sentirsi disastrosamente trascinato.
Un testo del genere – se mai fosse possibile – non dovrebbe avere né inizio né fine, perché dovrebbe richiamare, in ogni suo punto, tutti i libri puntuali del mondo. Avrebbe quindi affinità con le storie della tradizione popolare. (Con un allineamento al Livre di Mallarmé.)
Il suo autore dovrebbe essere autore solo in quanto passo d’unione tra libri differenti e possibilità di vedere collegamenti tra sistemi fino ad allora pensati tra loro estranei.
La possibilità di un autore del genere (che consisterebbe soltanto nella capacità di vedere le relazioni e che quindi non dovrebbe insistere in un autore) sarebbe allora la fine dell’autore stesso, così come il suo libro sarebbe la decostruzione anticipata del concetto di libro.
Ma sempre la danza del dio a sera coniuga un bagliore d’esultanza allo spessore della notte.
Questo perché tutta l’estetica moderna deve partire dal naufragio intravisto da Nietzsche:
was liegt an Worten!
was liegt an mir!
Arte dell’avvenire
Qualunque previsione circa un’arte dell’avvenire, e anche circa una estetica dell’avvenire, non può che partire da queste due constatazioni di Heidegger:
L’eterno ritorno è un pensiero non antropomorfico e disantropomorfizzante per l’ente, che non si lascia spiegare in teoria né applicare in pratica. «Questo pensiero non si lascia né pensare “teoricamente” né applicare “praticamente”» (M. Heidegger, Nietzsche, Adelphi, Milano 1995, p. 319).
«Ciò che resta essenziale nella figura di Zarathustra è che il maestro insegna qualcosa di duplice, che però è intimamente connesso: eterno ritorno e superuomo. Zarathustra costituisce egli stesso, in un certo modo, questa intima connessione. In questa prospettiva resta anche lui un enigma, che non è ancora diventato per noi visione chiara.» (M. Heidegger, Chi è lo Zarathustra di Nietzsche?, in Saggi e discorsi, Mursia, Milano 1993, p. 81.)
La prima constatazione riguarda le possibili teorie estetiche dell’avvenire. La seconda constatazione riguarda le possibili costruzioni di un personaggio nelle teorie estetiche dell’avvenire.