Cacciatori di nazisti

A volte Emmanuel Faye mette proprio di buonumore: «L’uso della parola Negerkral [da parte di Heidegger] è la cifra di un razzismo profondamente radicato. Raramente utilizzato, il termine tedesco Kral deriva da Kraal, parola olandese che sta per “villaggio”, che ritroviamo nell’inglese corral e che, in Sudafrica, designa il recinto per il bestiame: non siamo lontani dal “parco zoologico umano” di Peter Sloterdijk. Negerkral significa dunque “villaggio di negri”, o peggio: “recinto per negri”. Evidentemente, per il profondo razzismo di Heidegger il fatto di accostare l’Acropoli a un villaggio africano costituisce di per sé uno scandalo che non c’è nemmeno bisogno di commentare. La connotazione razzista di questo brano ci ricorda cosa già diceva dei “negri” e dei Bantu nei corsi del 1934.» (p. 360).
I cacciatori di nazisti fanno sempre più l’effetto degli sgangherati cacciatori di vampiri messi in scena in un film di qualche anno fa. Ma anche di quelli che si vedono caracollare nella pellicola dell’italo-americano Tarantino. È gente che fa sempre un po’ pena, ma pure non ha fatto il suo tempo.
Il nazismo aveva una ideologia favorevole alla formazione di un grande pensiero filosofico. Come dimostrato dal pensiero di Heidegger, che pure Faye non riconosce come pensiero. Egli infatti, quando deve parlare della filosofia di Heidegger, lo fa ponendo il termine filosofia tra virgolette, e la stessa cosa quando parla del filosofo Heidegger. Nel paragrafo “Il pericolo dell’opera di Heidegger e la sua discendenza negazionista” del nono capitolo discute sulla possibilità che l’ammirazione per il pensiero di Heidegger possa condurre di riflesso a una ammirazione per il nazismo, che quel pensiero ha prodotto.
Il nazismo era già di per sé “un altro inizio”. Qualsiasi altro inizio deve porsi sotto il segno di una opposizione assoluta al mondo giudaico-latino. Questo mondo, pur agendo come tale, non si riconosceva in quanto mondo, poiché si appellava a un vuoto dove i pensieri potevano manifestarsi. Tantomeno si riconosceva come razza. Il nuovo inizio, in quanto mondo germanico, riconosce il nuovo mondo e la razza che lo abita come insieme di caratteristiche indispensabili per la formazione del nuovo pensiero. È quanto Heidegger riconosce nel saggio Perché restiamo in provincia?, che Faye liquida come ideologia völkisch. Il nazismo si proponeva concretamente come l’alternativa germanica. Il nazismo non ha prodotto Heidegger, tanto meno Heidegger ha fatto in modo di “introdurre” il nazismo nella filosofia, ma opporsi alla visione del mondo giudaico-latino a favore della nuova visione del mondo germanica doveva per forza provocare un insieme che – per semplificare – comprende tanto il nazismo quanto Heidegger.
La domanda è fino a che punto sia ancora utile rimanere attaccati ai vecchi giudizi sul nazismo. Questi giudizi nascono invariabilmente dalla visione giudaico-latina del mondo e dalla sua difesa.
Che cosa è che spinge il pensiero di un filosofo? Tante cose. Se una di queste fosse la razza? Faye sembra a disagio davanti a questa possibilità, che pure la sua indagine sembra intravedere. Dall’io al noi. Ma anche l’io ha avuto le sue genealogie plurali.
Nel paragrafo “Dal revisionismo della risposta a Marcuse al negazionismo ontologico delle conferenze di Brema” (capitolo nono), giustamente Heidegger pone la domanda se le persone soppresse nei campi di concentramento nazisti siano mai realmente morte, visto che per la sua filosofia solo attraverso il raggiungimento dell’essere si può accettare autenticamente la morte. Nella filosofia la nozione di essere umano deve avere una valenza filosofica. Per cui, grazie a tale valenza, si può arrivare a dei paradossi se giudicati con il senso comune: l’individuo è immortale, come afferma certo idealismo, ad esempio quello di Gentile; certi uomini non muoiono mai, anche se vengono uccisi, come Heidegger può affermare in base al suo pensiero.
Faye precisa molte volte che l’intento di Heidegger sarebbe quello di distruggere la filosofia. Ma ogni innovatore fa piazza pulita. Nietzsche ha fatto lo stesso. «Io sono dinamite» diceva di se stesso. Nietzsche fa una vita randagia, nascosta, tutta ripiegata sulla sua opera segreta. Heidegger occupa un’altra posizione: carriera brillante, notorietà, conferenze, visibilità, ma il principio è lo stesso: distruzione del vecchio modo di pensare; apertura verso un altro tipo di pensiero, filosofia dell’avvenire. La filosofia di Heidegger può sembrare accademica, mentre quella di Nietzsche può spaziare verso l’antifilosofia, la lirica, il libro profetico. Ma l’intento è lo stesso: è un nuovo pensiero, sconcertante, che si fa avanti. Nel suo modo di affrontare “il problema Socrate” Nietzsche si scaglia contro la dialettica, l’arte di convincere con le argomentazioni del discorso ordinato proprio perché egli vede in essa la fine dell’aristocrazia, della razza greca. E infatti vede in Socrate il non greco, lo straniero, l’eversore di una grande tradizione. Giustamente dal suo punto vista, Faye rimprovera a Heidegger di non considerare mai Socrate: «Non sorprende quindi che nelle decine di migliaia di pagine che Heidegger ha lasciato non si trovi pressoché alcun riferimento a Socrate. Alla dialettica, che a partire da Platone permette la vitalità del dialogo filosofico e fonda l’esigenza intellettuale dell’interrogazione sui concetti, egli ha sostituito l’uso dittatoriale della parola ed esaltato la lotta, da condurre fino all’annientamento del nemico.» (p. 448), ma questo dimostra appunto che la questione è affrontata da Faye a rovescio.
Compito della filosofia è favorire un nuovo pensiero. È essere il nuovo, nonostante tutti i paradossi e le contraddizioni che questo nuovo, non ancora comparso appieno, possa portare nel pensiero ereditato dalla tradizione.
A volte Faye ha l’incanto di lasciare di stucco: «[…] in seguito alla sconfitta della Germania nazista Heidegger modificherà ancora una volta il suo discorso secondo il corso dell’‘evento’, affermando da quel momento in poi che “questa guerra mondiale non ha deciso nulla”. Eppure si tratta di una guerra che ha liberato l’Europa dalla dominazione nazista.» (p. 381).

Emmanuel Faye, Heidegger, l’introduzione del nazismo nella filosofia, L’Asino d’oro, Roma 2012 (I ed. Albin Michel, Paris 2005)

Gramsci e il superuomo

1) Quel piccolo burocrate del pensiero che era Gramsci faceva una distinzione tra il superuomo che compare in Nietzsche e il superuomo a cui si rifacevano quelli che, nella sua nota, venivano definiti «nicciani»; Gramsci, tuttavia, non specificava chi egli intendeva col termine «nicciani». Solo il superuomo dei nietzscheani sembrerebbe così derivare dai protagonisti dei romanzi d’appendice, anziché derivare dalla filosofia di Nietzsche. (Quaderni dal carcere, vol. III, pp. 1879-1882, ved. anche vol. III, p. 1685).
2) Tuttavia il riferimento potrebbe funzionare anche per Nietzsche. Bisogna però togliere la puntualizzazione circa i romanzi d’appendice. Il superuomo potrebbe derivare dai protagonisti di alcuni romanzi, non solo dai protagonisti del sottogenere dei romanzi d’appendice.
3) In un frammento del novembre 1882-febbraio 1883, Nietzsche caratterizza il superuomo in questi termini: «Nel superuomo si trovano per sovrabbondanza di vita le stesse manifestazioni che si conoscono nei fumatori di oppio e la follia e la danza dionisiaca: il superuomo non soffre delle conseguenze.» (F. Nietzsche, Frammenti postumi 1882-1884, in Opere, VII/1/1, 4 [75], p. 125.)
4) Questo aspetto del superuomo è stato sempre ignorato, soprattutto da Heidegger.
5) Il superuomo di Nietzsche, partendo dal frammento sopra riportato, sembra caratterizzarsi come decostruzione dei protagonisti dei romanzi (non necessariamente dei soli romanzi d’appendice). Questa decostruzione investe il personaggio che compie azioni trasgressive, azioni che non lo vincolano in nessun modo per quanto riguarda le conseguenze. Si ha quindi un abbandono del naturalismo tipico del romanzo?
6) Ma Heidegger fornisce qui la migliore definizione del superuomo: «Per questo noi ci possiamo appena rappresentare il modo in cui devono ‘essere’ – e devono invero appartenere all’Essere e alla fondazione della sua verità – ‘qualcosa’ e qualcheduno che non ‘producano effetti’ e non si lascino alle spalle alcunché di compiuto.» (M. Heidegger, Ernst Jünger, Bompiani, Milano 2013, p. 477). Così Heidegger affossa quello che può collegare ad un progetto. A quanto di vecchio c’era nel progetto.

Civiltà messa a nudo

Donatella Di Cesare, Heidegger e gli ebrei (Bollati Boringhieri, Torino 2014), imposta bene la questione dell’antisemitismo in Nietzsche.
Ma gli Ebrei non hanno fatto tutto da soli. Al loro fianco hanno sempre trovato gli Italiani. Sbagliata l’impostazione di Nietzsche: “Giudea contro Roma”. È la civiltà germanica a contrapporsi all’insieme che comprende Giudea, Roma, Italia. E giustamente Lutero combatteva gli Italiani in quanto sede della menzogna papale.
Il progetto filosofico di Derrida è il segno di una sradicatezza. Tutta la decostruzione della metafisica, come intesa da Derrida, segna un capovolgimento del progetto di Heidegger. Con Heidegger una civiltà veniva messa a nudo. Non c’era soltanto il progetto di una nuova fondazione, vale a dire di un nuovo inizio della filosofia grazie a un rinnovato radicamento razziale, ma la possibilità di intendere la filosofia precedente come progetto razziale che ha sempre negato la propria origine di razza. In questo atteggiamento Heidegger continuava Nietzsche. Con Derrida tutto questo intreccio di possibilità si interrompe.
In Heidegger e gli ebrei Donatella Di Cesare delimita il contorno del progetto seguendolo da Nietzsche a Heidegger, passando attraverso Hitler.
Il progetto filosofico di Derrida è un progetto votato alla sradicatezza, cioè alla ripresentazione del progetto della decostruzione della metafisica inaugurato da Heidegger sotto il segno dell’assenza dell’appartenenza al suolo, del radicamento a un suolo d’origine. Progetto che in Heidegger prevedeva un nuovo inizio della filosofia a partire dalla civiltà germanica come modo di pensiero che autenticamente abita una terra, e uno smascheramento del precedente inizio della filosofia, appena tramontato, cioè della filosofia giudaico-romana, come metodo di pensiero che fraudolentemente nasconde la propria origine sulla terra.
Purtroppo, nemmeno Heidegger andava sino in fondo, cioè in fondo al primo inizio; in fondo alla Grecia.
L’Europa ha bisogno di un  nuovo antisemitismo. Di un antisemitismo rifatto da cima a fondo. Tale da comprendere Giudea e Roma, Ebrei e Italiani.
La filosofia di Derrida spoglia la filosofia di Heidegger del richiamo alla terra. Si configura come un richiamo alla deterritorializzazione. Heidegger e gli ebrei di Donatella di Cesare identifica il richiamo alla terra presente nella filosofia di Heidegger. Che passa inevitabilmente attraverso l’antisemitismo. L’Europa ha adesso bisogno di un diverso e più completo antisemitismo. Questo perché l’Europa o sarà antisemita o non sarà.
O l’Europa sarà antisemita o non sarà. Rivolgersi verso ciò che è antisemita è per l’Europa ritrovare il proprio cuore. Antisemitismo, cuore d’Europa. Rivolgersi a questo vuole dire fare i conti con il dio semita che dal Medioevo abita l’Europa con l’inganno, come un clandestino; vuole dire fare i conti con le razze che hanno facilitato e permesso l’ingresso in Europa del dio semita: Greci e Romani prima, Italiani dopo.

Momenti d’ozio

Henry Miller notava come, in privilegiati momenti d’ozio, passino nella mente libri perfettamente formati, con la rapidità e la sicurezza che raramente si riesce a raggiungere quando, nella realtà, si cerca di combinare i temi. Forse questi momenti solo amano illudere e solamente scorrere… dove?

1) Dall’operaio di Jünger al superuomo di Heidegger. Heidegger sbaglia a interpretare la figura del superuomo di Nietzsche. La timidezza di Heidegger. Heidegger non considera i passi “scomodi” di Nietzsche. Dà una lettura edulcorata del pensiero di Nietzsche. Nietzsche, se potesse, osserverebbe che ciò dipende dal carattere di Heidegger, prima di tutto, e poi dal fatto di essere sposato: un filosofo sposato appartiene alla commedia. Inizia la commedia del superuomo.

2) La realtà in trasparenza. La lettura di Faye, che vede parte dell’ideologia nazista all’opera nel pensiero di Heidegger.

3) Il fallimento della lettura da destra di Nietzsche. Che cosa è che rende impossibile una nuova lettura di Nietzsche? Dal superuomo all’oltreuomo e di nuovo all’oltreuomo (con lo Zarathustra tradotto da Giulio Sézac). Vattimo e l’occhio per gli attributi del superuomo. Infatti Heidegger includeva nella sbagliata interpretazione del superuomo anche una superattività sessuale.

4) Il superuomo di d’Annunzio. Limiti: il superuomo come miglioramento dello stato attuale delle  cose. La positività. L’ozio del meticcio italiano.

5) L’antiumanesimo di Heidegger. Il rimbalzo della Lettera sull’«umanismo». In realtà il rifiuto dell’umanesimo deve comportare anche il progetto di soppressione di intere razze umane. Una nuova poesia nascerà solo dalla ricostruzione di un nuovo Auschwitz. Chiamata in causa della dialettica negativa di Adorno. La solitudine di Heidegger. Il rifiuto di Roma e del Rinascimento. Heidegger evita l’errore di Nietzsche: confondere Roma e l’Italia con la Grecia. Un grande passo avanti.

6) Il caso Losurdo. Non si vuole accettare che un grande pensatore abbia costruito un grande sistema di pensiero basato sulla possibilità di un ritorno della schiavitù e sulla necessità di sopprimere le razze inferiori.

7) Il revisionismo: una storiografia patetica? Non è in grado di accettare la possibilità che il nazismo abbia veramente messo in atto un progetto del genere. Anche Miguel Serrano definiva le notizie sui campi di sterminio nazisti delle calunnie.

8) Il canto della terra alleviata. L’accettazione della possibilità di intervenire sulla vita umana in quanto coronamento del raggiunto dominio del mondo da parte dell’uomo. Il superuomo inizia i suoi giochi.

Socrate e il sacerdote

La figura del sacerdote, così come viene composta nella prima dissertazione della Genealogia della morale, riprende e completa la figura di Socrate composta all’epoca della Nascita della tragedia. Il bersaglio di Nietzsche non è l’ebreo, come nel caso degli antisemiti da lui tanto detestati, ma ciò che gli Ebrei hanno rappresentato in un arco di tempo storico, e soprattutto l’importanza che essi hanno avuto nella formazione della modernità, da Nietzsche tanto detestata. Quindi il bersaglio di Nietzsche è ciò che di autenticamente razziale c’è nell’ebreo. «I due valori antitetici, “buono e cattivo”, “buono e malvagio” hanno sostenuto sulla terra una terribile lotta durata millenni; […] Il simbolo di questa lotta, espresso in caratteri che sono restati sino a oggi leggibili al di sopra di tutta la storia degli uomini è “Roma contro Giudea, Giudea contro Roma”; – non c’è stato fino a oggi alcun avvenimento più grande di questa lotta, di questa posizione del problema; di questa contraddizione pervasa d’inimicizia mortale. Roma sentì nell’ebreo qualcosa come la contronatura stessa, per così dire il suo monstrum antipodico; in Roma si considerava l’ebreo “un provato colpevole di odio contro l’intero genere umano: a buon diritto, in quanto si ha un diritto di ricollegare la salvezza e l’avvenire del genere umano all’assoluta supremazia dei valori aristocratici, dei valori romani.». Nietzsche abbozza subito dopo uno schema di questa lotta: col Rinascimento tende a prevalere Roma, ma con Lutero si ha il trionfo di Giudea; con la Rivoluzione francese trionfa ancora Giudea e con Napoleone trionfa Roma.
Ora si può dire: “Roma è Giudea”; ora si può dire: Roma e Giudea sono il meticciato. Poiché il nemico che si faceva avanti, nella lotta intravista da Nietzsche, era il meticciato. Meticciato che è Roma. Se Nietzsche vedeva negli Ebrei la razza pura, Roma rappresentava proprio il trionfo del meticciato, che si stava avventando sull’Europa con tutta la sua potenza. Il meticciato è ciò che avvelena l’Europa.
Ora si può dire che lo scontro che Nietzsche ha soltanto intravisto non è tra Roma e Giudea, ma tra razza nordica europea e meticciato.
Gli eredi naturali di Roma, della Roma meticcia, come dimostra il Rinascimento, sono gli Italiani.

          F. Nietzsche, Genealogia della morale, in F. Nietzsche, Opere VI/2, Adelphi, Milano 1976, p. 250.