Ascolto

Si può definire questa epoca come epoca dell’ascolto. La psicoanalisi ne è forse la dimostrazione meno evidente, ma sempre a favore della definizione proposta. L’epoca dell’ascolto, l’epoca più impacciata per quanto riguarda il movimento, con il suo passo da oca zoppa è però in cammino da molto tempo. Viene infatti da lontano. Nel Viaggio in Italia Goethe la rintracciava nella forma del recensire, in opposizione a quella del fare.
Le epoche vanno viste nell’ambito di lunghi e lunghi, e sempre ancora più lunghi tempi. Quindi un’epoca dell’ascolto chiamerebbe un’epoca passata, o tutta ancora a venire, dove l’ascolto non era e non sarà importante. Ma non è certo che si avrà di conseguenza una nuova epoca del fare. Una nuova epoca potrebbe anche scegliere il non fare come un non fare che non si oppone più ad un fare, e che quindi non avrebbe niente a che fare con un’epoca dell’ascolto. Quindi a quella nuova epoca mancherebbe l’attimo della decisione fondante. Ma resterebbe caratterizzata, nella sua origine, da una scelta di fondo, che resterebbe come una scelta di non fare.

Losurdo: due note

Nota 1: «Come sappiamo, in Nietzsche il richiamo alla grecità autentica, pensata in contrapposizione anche con la romanità, cede progressivamente il posto al richiamo al mondo greco-romano nel suo complesso, travolto dalla sovversione ebraico-cristiana. È per questo che, sul finire della seconda guerra mondiale, Heidegger rimprovera al filosofo di essersi ispirato non già alla Grecia bensì a Roma. E la celebrazione della prima in contrapposizione alla seconda è ben presente anche in intellettuali e personalità più direttamente legati al nazismo. Non così in Hitler, che bolla il cristianesimo in quanto responsabile della “fine di un lungo regno, quello del luminoso genio greco-latino”. Roma è tutt’altro che sinonimo di decadenza: “L’impero romano non ha mai avuto l’eguale. Essere riusciti a dominare completamente il mondo! E nessun impero ha diffuso la civiltà come quello”. In questo senso ha ragione lo Heidegger che comincia a prendere le distanze dal Terzo Reich a rimproverare congiuntamente al nazismo e a Nietzsche di essersi lasciati affascinare dall’opzione romana.» (pp. 845-6).
Temi: Roma ha dunque affascinato Nietzsche e Hitler? Heidegger ha riconosciuto in Nietzsche e in Hitler la presenza di questo fascino e ne ha preso le distanze? Domanda fondamentale: che cosa era la Grecia? Perché la Grecia (e poi Roma), anziché il Nord?

Nota 2: La denuncia e la critica della Rivoluzione francese costituiscono l’unico modo per intendere il pensiero di Nietzsche come coerente unità (p. 897). «Solo non rimuovendo l’elemento che l’attraversa in profondità, solo tenendo ben presenti la critica e la denuncia militante della rivoluzione e della modernità, è possibile cogliere l’unità del pensiero di Nietzsche e la sua interna coerenza.» (p. 900). È più esatto dire che il pensiero di Nietzsche è un pensiero autenticamente aristocratico, che non scende mai a compromessi con i pregiudizi democratici della modernità. Il carattere autenticamente aristocratico di questo pensiero è contenuto in una frase, e in una fase, del giovane Nietzsche in riferimento a Socrate: “l’aristocratico comanda; il democratico deve convincere”. Tutto il pensiero di Nietzsche si svolge a partire da questo nucleo, subito intravisto. La difficoltà di comprendere Nietzsche dipende dalla nostra difficoltà ad accettare un principio del genere, espresso con questa (per alcuni) semplicità sconcertante. Ma la formulazione di questo principio è ciò che chiama in causa la possibilità di stendere testi. Il fatto che su Nietzsche la modernità ritorni sempre, dimostra che Nietzsche è ciò a cui noi, in quanto partecipi della modernità, siamo chiamati. Ma siamo chiamati in quanto chiamati a trovare una via d’uscita dalla modernità. La comparsa di questo libro di Losurdo ne è una dimostrazione. Il libro, infatti, sarebbe divertente, se non fosse soporifero.

C’è però da chiedersi: è giusto riunire il discorso di Nietzsche sotto la categoria del “politico”? Losurdo collega il discorso di Nietzsche alla critica della Rivoluzione francese, ma è giusto questo predominio? Il discorso di Nietzsche, con tutta probabilità, avrebbe potuto articolarsi anche senza l’incidente della Rivoluzione francese. La Rivoluzione francese isola infatti dei temi, ma non li origina da un nulla di idee. E nelle idee si annida la degenerazione. Collegare Nietzsche al “politico” vuole capziosamente dire che Nietzsche deve rispettare le basi di ciò che adesso è attinente – secondo noi – alla politica, cioè alla democrazia, alla quale siamo tutti incatenati. Dire che il pensiero di Nietzsche è un pensiero anti-democratico non è schierarsi politicamente, ma è ricollocare il pensiero di Nietzsche in una sua sfera d’origine al di là della nostra origine in quanto facoltà di pensare il politico. Prima di essere una categoria della politica, il “democratico” è una degenerazione del pensiero, che appunto Nietzsche ha contribuito a mettere ampiamente in luce.

Della novità del pensiero di Nietzsche, Losurdo affronta diversi temi finora non recepiti: il pensiero aristocratico; la possibilità di un pensiero “diverso” ai margini, completamente staccato dal tracciato democratico, alla fine dell’Ottocento; la possibile tendenza di un pensiero, fra i massimi dell’Occidente, verso il tema della eliminazione finale delle razze inferiori. È logico che Losurdo vi si muova un po’ spaesato. Infatti questo libro potrebbe essere molto divertente… se solo non fosse così soporifero.

          D. Losurdo, Nietzsche, il ribelle aristocratico, Bollati Boringhieri, Torino 2004 (I ed.: 2002).

Un sistema fatto in casa

È probabile che una filosofia, prima di essere la risposta ad altre teorie di filosofia, sia un modo per imbrigliare con parole un insieme composito che prevede un sistema di vita e un ambiente comune, una parte di terra dove della gente abita, e quindi anche delle parole. Così la filosofia di Heidegger sarebbe proprio quel sistema “fatto in casa” che irritava Bernhard. Ma lì non ci sarebbe niente di male; anzi, più le caratteristiche del “fatto in casa” dovessero accentuarsi, più la filosofia potrebbe essere di alto livello, giungendo sempre più attentamente a imbrigliare in parole – strettamente – cose e persone e parole. (Questo, per inciso, costituirebbe poi un modo diverso di affrontare la filosofia – e a ben guardare avrebbe anche poco a che fare con la stessa filosofia.) Infatti la filosofia così considerata si avvicinerebbe a cogliere l’unicità di parole e cose strette insieme, attraverso l’uomo, nell’abitare.

Dialogo filosofico e polifonia

Il dialogo filosofico contiene il principio attivo di ciò che Bachtin, affrontando i romanzi di Dostoevskij, ha concentrato nella ricetta della “polifonia”. Si ha un senso unico, che traghetta i dialoghi di Platone, con Socrate come protagonista, verso i dialoghi di Heidegger, passando per l’arte del romanzo. L’arte del romanzo cosa può fare? Nietzsche riconosceva nella dialettica di Socrate il principio plebeo che si sostituisce a quello aristocratico: “il plebeo cerca di convincere richiamandosi alla ragione; l’aristocratico comanda!”
Ma dialogo filosofico e romanzo sono un rimedio galenico che non contribuiscono a farla finita con la replicazione golemica.
Eppure nel dialogo filosofico c’è qualcosa di vero, o anche solo una piccola verità. Cosa è che il dialogo filosofico, riconoscendolo, sembra mettere da parte (oppure viceversa)? L’alternativa tra convincere e comandare. Questi testi sembrano voler convincere intorno a qualcosa, e in realtà sono essi stessi assediati da ciò che è ad essi estraneo, cioè dall’arte del comando.
Quando l’arte del comando non suona come un’arte, allora stride come un richiamo.
In questo consiste l’insistenza della polifonia. Ciò  che viene richiamato è appunto la resa dei conti di ciò che non ha voce per giungere a chiamare. Quindi: che cosa è che chiama nei dialoghi filosofici? Chiama appunto ciò che non ha canto; cioè ciò che non ha terra dove potersi porre in un canto.
Nel dialogo è appunto ciò che non ha canto che fa da contrappunto.
Nietzsche aveva capito perfettamente l’opposizione: plebeo/aristocratico, tentativo di convinzione/comando. Ma anche la domanda è chiara: che cos’è che assedia il dialogo filosofico, plebeo e democratico, e che si replica nel romanzo? Che cosa parla infatti tutto attorno ai bordi della costruzione del dialogo, sia esso dialogo filosofico o romanzo, per richiamare infine a che cosa?

Pensiero antidemocratico

Pensare il pensiero di Nietzsche vuole dire affrontare la possibilità di un pensiero antidemocratico, ponendosi – finalmente – in cammino verso la creazione di un pensiero in grado di funzionare su basi  antidemocratiche, anche solo in quanto pensiero.
Un pensiero libero, condizione indispensabile per qualsiasi nuovo pensiero, non può fare a meno, a partire da adesso, di avere l’aspetto di un pensiero antidemocratico, riconoscendo nella qualifica di “democratico” l’elemento fondamentale di tutti i mali e di tutte le cose da superare, cose che fanno capo a ciò che può essere definita la modernità, e ad essa connessi, aggirando quelle leggi che, non presenti da nessuna parte, condizionano il pensiero.
Non si è ancora concretamente pensato Nietzsche sotto l’aspetto del pensiero antidemocratico, cioè del pensiero nuovo. Questo perché non si è mai pensato Nietzsche integralmente. Eppure, la migliore e più convincente manifestazione di pensiero antidemocratico la si è avuta – finora –  con il pensiero di Nietzsche.
Niente è più difficile che essere l’artefice di un pensiero antidemocratico.
Nietzsche lo è stato, ma poi quanti altri lo sono stati?
Si può dire che il pensiero di Mishima fosse autenticamente antidemocratico? Quanto vecchiume del romanzo occidentale si è trasferito in quella arte “giapponese” della narrazione? Pensare in modo antidemocratico vuole dire creare una forma artistica inusitata, paradossale, che faccia sempre sorgere la domanda alla quale, per ora, non c’è risposta: “Che cos’è questa cosa che abbiamo davanti?”
Infatti sono le certezze più solide che devono franare, anche solo quelle che fanno riferimento a una forma consolidata.
Se la domanda si sposta al punto di passaggio tra pensiero non libero e pensiero libero (“fino a che punto il pensiero può essere libero?”), bisogna allora ricordare Sade: l’uomo più incarcerato della sua epoca e insieme l’uomo più libero tra tutti quelli della sua epoca.
Ma il pensiero antidemocratico è la possibilità che non cessa di minacciare continuamente la modernità.