In Šostakovič il can-can è sempre dietro l’angolo. Lo dimostra, fra l’altro, l’Allegro della Decima sinfonia. È una musica che ha del pagliaccio. Il Golem che avanza a passo di can-can.
Solo musica d’effetto, niente sostanza. Ricordare quello che diceva Adorno sull’Adagetto di Mahler.
Musica sfiatata. Ma certamente Šostakovič, con la sua musica, continua qualcosa che è già nella musica di Čajkovskij. Si pensi, ad es. alla quinta sinfonia.
Categoria: Musica
Un’arte nichilista
La musica è un’arte nichilista. In nessuna altra arte si può esprimere un impulso nichilista così efficace e convincente come nella musica. (Ricordare quello che diceva Mishima.)
Qualcosa lega l'”Allelujah” del Messiah al rondò della nona sinfonia di Mahler.
Bachtin: la musica gira intorno alle parole, ma più le affronta, più la musica le fa esplodere. Bachtin vedeva nella polifonia letteraria la possibilità di inglobare più parole in una sola parola di personaggio; ma la musica dissolve la parola. In ogni occasione, anche attraverso la polifonia.
Il concetto di “Dio” è l’ultima arte possibile in grado di comportare un’opera d’arte offerta allo sguardo di uno spettatore.
Se la musica è nichilismo organizzato, un compositore può trasferire il potenziale nichilista della musica in una persona. Secondo il necrologio scritto da Donald Mitchell per la morte della figlia di Mahler Anna, ella aveva molto della musica del padre, quasi fosse una creazione della musica di lui. Il compositore avrebbe allora la capacità di trasferire la caratteristica della propria musica in campi completamente diversi? Ma qui c’è un’altra ambiguità: una creazione di Mahler o una creazione della musica di Mahler? È come la penombra di una discendenza gnostica.
La parola è suono, ma il suono dissolve la parola.
La poesia è musica in agguato.
La musica è pura struttura. Poesia e letteratura possono avvicinarsi alla musica.
La musica è un gioco nichilista proprio nel suo poter fare a meno delle parole senza poter fare a meno di un pensiero che richiama la parola per la sua completa espressione. Quello che viene scatenato è la traiettoria di un sistema complesso di pensiero. Ripensare a quello che diceva Mishima: la musica come bestia feroce in gabbia.
La musica gira sempre attorno alle parole: ma più le affronta, più le fa esplodere.
La letteratura si avvicina alla musica solo come cattiva letteratura: Umberto Eco come patetico caso di stravinskismo letterario.
Solo la vera poesia è invece musica in agguato.
Ma la musica è poi quella cosa che noi siamo abituati a conoscere come musica?
C’è un giudizio di Heidegger sull’ultima sonata di Schubert molto particolare: «Questo noi non possiamo farlo con la filosofia.»: è come se la musica aprisse nuovi campi al pensiero, in un mondo che il pensiero non può fare. Certa musica di Schubert colpisce per il suo tono divinamente compatto (il primo tempo della nona sinfonia, l’ultima sonata per pianoforte). Si avrebbe allora nella musica la coesistenza del pensiero e del suo annullamento. Un pensiero che procede per strappi. E la musica di Schubert sarebbe prima di tutto pensiero geniale. Il naturale impulso nichilista della musica può avvicinarsi alla genialità. Un pensiero geniale potrebbe attualmente essere un pensiero autenticamente in grado di strappare da sé il principio del terzo escluso.
Il necrologio di Donald Mitchell compare in A. Joseph, A. Mahler, M. Mahler & D. Mitchell, Mahler’s Smile: A Memoir of his Daughter Anna Mahler (1904-1988), in D. Mitchell & A. Nicholson [Edited by], The Mahler Companion, Oxford University Press, Oxford 2002, pp. 593-6.
Nello stesso volume c’è anche il giudizio sul rondò della nona sinfonia sopra ricordato: S.E. Hefling, The Ninth Symphony, in D. Mitchell & A. Nicholson [Edited by], op. cit., pp. 483-4: «But Mahler’s compositional tour de force of negativity is the Rondo-Burleske. Originally dedicated “To my brothers in Apollo”, it is the most syntactically untraditional, contrapuntally complex, and riotously sardonic movement in all Mahler’s oeuvre – as La Grange comments, Mahler never ventured further into nihilism than here.»
Il giudizio di Heidegger sulla sonata di Schubert è riportato in R. Safranski, Heidegger e il suo tempo, Longanesi & C., Milano 1996, p. 402.
Le riflessioni di Mishima sono tratte da E. Ciccarella, L’angelo ferito. Vita e morte di Mishima, Liguori Editore, Napoli 2007, p. 105: «In realtà la distanza che lo scrittore prendeva dall’universo musicale era il frutto di un profondo terrore inconscio, che poi diventerà invece molto cosciente quando confesserà: “Provo un terrore inusuale per questa cosa informe chiamata suono”; o quando paragonerà la musica ad una bestia feroce imprigionata in una gabbia, un gabbia inaffidabile che poteva cedere da un momento all’altro.»
Per quanto riguarda lo “stravinskismo”, vedere G. Gould, L’ala del turbine intelligente, Adelphi, Milano 2007, pp. 303-6.
Musica primitiva
La musica degli Italiani è un esempio di musica primitiva. “Primitivo” definisce qui non ciò che è all’origine, ma ciò che suona sempre come degenerato. Si pensi alla musica di Vivaldi, Rossini, Verdi, Puccini: in questa musica c’è sempre un qualcosa di fastidiosamente primitivo. Lo si nota nel ritmo e nell’orchestrazione.
Nell’Estetica di Hegel si riporta un giudizio molto preciso a proposito della musica di Rossini (può essere esteso a tutta la musica italiana): «un vuoto solletico dell’orecchio».
La musica di Šostakovič è una musica che non risuona mai vuota. Richiama altre musiche. È una musica che suona come già ascoltata.
Se si considera che ha la strana caratteristica di ricordare il cancan, si carpisce qualcosa di più della modernità: Orfeo nell’Inferno dell’arte degenerata.
La musica di Šostakovič è stata considerata nella sua specificità di formarsi come musica in grado di richiamare altre musiche.
In Šostakovič il cancan è sempre dietro l’angolo. Si ascolti l’Allegro della Decima sinfonia.
La sua musica è la mummia della musica occidentale. La musica di Šostakovič non è solo lo spettro che si aggira per l’Europa, ma è soprattutto la mummia che ballonzola, con andatura di Golem, per l’Europa.
La Settima (Leningrad), l’Ottava e la Nona costituiscono un gruppo omogeneo e una specie di Trilogia della Guerra. Sono composte nel periodo della seconda guerra mondiale. La Settima è dominata dalla marcia del primo tempo. L’Ottava, composta nel 1943, è la più drammatica, ma i due Allegretti contengono ritmi ironici e grotteschi. La Nona, composta nel 1945, dura poco meno di mezz’ora, è in cinque movimenti e allude a Rossini e Offenbach. Il primo tempo ricorda, però, Mahler. Il gruppo delinea qualcosa di strano: marcetta, dramma, celebrazione grottesca.
G.W.F. Hegel, Estetica, 2 voll., Einaudi Editore, Torino 1997, vol. II, p. 1061.
Ch.F. Gibbs, “The Phenomenon of the Seventh”: A Documentary Essay on Shostakovich’s “War” Symphony, in L.E. Fay (ed.), Shostakovich and his World, Princeton University Press, Princeton, New Jersey 2004 (pp. 103-4).
Per essere precisi, con musica primitiva si intende una musica assolutamente in grado di fare a meno del pensiero.
Una musica che non c’è più
Certa musica moderna (Lontano di György Ligeti, Spiegel im Spiegel di Arvo Pärt, A Midsummer Night’s Dream di Benjamin Britten, In tempus praesens di Sofija Gubajdulina) andrebbe analizzata dal punto di vista della persistente e suadente evocazione di una musica che non c’è più. Anche il Rake’s Progress di Stravinsky si fonda su un analogo artificio. È come se questa musica richiamasse la capacità di evocare qualcosa di una musica che, nella sua completa struttura, semplicemente, ormai non c’è più. Sotto certi aspetti, l’avanguardia più radicale (Cage, ad es.) ha avuto dalla sua qualcosa di più onesto: la volontà di rompere a tutti i costi con una musica del passato.
Sarebbe da precisare il ruolo svolto da Mahler nella formazione di questa particolare musica moderna. Adorno diceva che l’Adagetto della quinta sinfonia è musica inconsistente. Mahler avrebbe così aperto a questo tipo di musica inconsistente, a questo tipo di musica di puro effetto? (Pensare anche all’Adagio della quarta sinfonia. È l’aspetto “sehr ruhig” della musica di Mahler che dovrebbe far pensare.)
Ma è comunque possibile vedere il doppio aspetto della musica di Mahler: musica di strada (erede della musica dei giardini di Mozart); musica di pura sensazione (proiettata, appunto, verso questi aspetti della musica di Britten, Ligeti, Pärt, ecc.).
In questa musica possibile ha la sua posizione imponente Šostakovič. Notare i ritmi con le percussioni.
Alcune cose devono essere chiarite:
1. Qual è questa musica che non c’è più? Perché questa musica è così familiare, anche solo tramite un rapido accenno?
2. Qual è il luogo dove questa musica, posto che la si possa precisare, può essere definita come “musica che non c’è più”? E, soprattutto, qual è il luogo dove questa musica era familiare, prima che diventasse “musica che non c’è più”?
3. Qual è il rapporto tra lo “spettro” che si aggirava per l’Europa, la figura del Golem, e questa musica, che, con passo d’avvoltoio, viene dai vecchi Paesi Comunisti (Šostakovič, Ligeti, Pärt, Gubajdulina). Qual è il rapporto tra tutto questo e la musica germanica?
È probabile che qui si richiami una differenza fondamentale: quella tra “arte elevata” e arte di consumo. Lo stato socialista ha spesso contrastato questa differenza.
(Ma tutto questo è, probabilmente, una delle facce del postmodernismo.)
Confini
Nietzsche non amava la musica di Haydn: «contadino, forse sangue di zingaro (nero); “pagano”».
Molte sinfonie di Haydn hanno una costruzione del primo tema del tipo: “motto + estensione”.
Sinfonia 104. Primo tempo: battute 17-24: “motto” (ripetuto nelle sette battute successive); battute 33-39: “estensione”.
Quello che mi ha sempre dato fastidio in Verdi è la fissità di quella sua “musica” (?). Mi ha sempre dato fastidio proprio ciò che di irritante c’è in quella cosa primitiva che del ritmo ha solo la regolarità dello schiocco ossessivo, che addormenta o innervosisce. Non ho mai avuto dubbi: “Questa è musica negroide!”
Un ricordo d’infanzia: l’asino che con lo zoccolo batte sul terreno: Tòc!… Tòc!… Tòc!…
Furtwängler giudicava Toscanini solo un battitore di tempo.
(Italiani bastardi!)
Nella musica gli Italiani sono come i Negri di Gobineau: possono scandire un ritmo con i loro tamburi di negri, ma non possono mai comporre le sinfonie dell’austriaco Haydn, del tedesco Beethoven, dell’austriaco Bruckner. E nemmeno quelle di Mozart.
Nietzsche non amava la musica di Haydn: «contadino, forse sangue di zingaro (nero); “pagano”». A lui contrapponeva Mozart: «cittadino, socievole, cortigiano».
La struttura “motto + estensione” può essere accostata a quella “Capo + Scorta”, nucleo della funzione guerriera secondo Dumézil. Esterháza avrebbe allora la funzione di una Ultima Casa Accogliente.
La sinfonia 36 di Mozart è nota per essere composta secondo lo schema delle sinfonie di Haydn. Presenta anche la struttura “motto + estensione” nel primo tempo. Battute 22-29: motto; battute 30-37: estensione. Ma come classificare le battute 20-21, al termine dell’adagio introduttivo? La struttura c’è, ma funziona in un modo diverso. Manca proprio la struttura “Capo + Scorta”. Siamo in un ambiente cittadino, cortigiano. In un ambiente diverso.
L’Estetica di Hegel riporta un giudizio preciso e perfido sulla musica di Rossini: “un vuoto solletico dell’orecchio”. La musica italiana è tutta in questo grande raccolto di uva passa.
Monteverdi: la sua musica è solo un soffio aggiunto alle parole. Ma questa musica contiene già ciò che sarà il destino futuro della musica: andare per riportare in vita ciò che è stato sottratto alla vita.
Nietzsche non amava la musica di Haydn.
Rüdiger Safranski riporta un giudizio di Heidegger sull’ultima sonata di Schubert: «Questo noi non possiamo farlo con la filosofia.»
Ma la civiltà germanica non ha ancora mai pensato fino in fondo aldilà della civiltà latina e se stessa come aldilà della civiltà latina.
Libri in contrappunto:
F. Nietzsche, Frammenti postumi 1884, Adelphi, Milano 1976 (Opere di Friedrich Nietzsche. Volume VII, tomo II), fr. 25 [419].
Hegel, Estetica, 2 voll., Einaudi Editore, Torino 1997, vol. II, p. 1061.
R. Safranski, Heidegger e il suo tempo, Longanesi & C., Milano 1996, p. 402.