Ci si taglia quando il coltello non taglia.
I filosofi di Hitler di Yvonne Sherratt (2013, Yale University Press; 2014, Bollati Boringhieri) è un libro che dimostra uno strano taglio. Il titolo lo esprime: non “nazionalsocialismo e filosofia”, ma “Hitler e i filosofi”. Persone e non questioni.
Puntare alla persona è attualmente il modo più semplice per fare a meno di parlare della terra. La terra diventa così solo terra dove andare, palcoscenico per personaggi messi a sfilare in base a una epicizzazione che viene dall’alto.
Ciò che della filosofia viene detto nel libro, proponendosi come libro che vuole trattare di filosofia, si riduce a una serena serie di tagli biografici, che suonano con la taglia ridotta di molti piccoli aneddoti. Perché questa preponderanza del dato biografico sul pensiero, proprio quando si dovrebbe parlare, stando al titolo, solo di filosofi? È come se si evocassero ombre di filosofi per nascondere ciò che nei filosofi è stato il dato più importante: il pensiero. Perché dunque questo taglio?
Eppure ciò che qui viene tagliato è qualcosa di diverso: il rapporto tra terra e filosofo.
Filosofia è trovarsi prigionieri di una domanda o di una frase che non suona come domanda, ma che non implica l’andare per la terra.
Il libro introduce questa sfilata tramite una lista di persone del dramma che può richiamare il prologo della degenerata Lulu.
Come nella Lulu le trasformazioni e gli omicidi avvengono all’improvviso. Solo scheletri che vengono di colpo su dalla terra. Così si profila la figura di Jack lo squartatore, che chiude orizzontalmente il dramma; ma si profila la figura del domatore – che, aprendo il dramma, chiama a sfilare i personaggi.
È un peccato che l’edizione italiana del libro non riproduca le quattordici illustrazioni dell’originale, subito dopo la lista delle persone del dramma. Un “ostinato” che può richiamare quello che fornisce l’ingresso alla Filmmusik della Lulu. Notevole l’immagine di Adorno colto quasi di sorpresa di schiena davanti ai suoi vecchi mobili. Mobili passati dal vecchio al nuovo mondo.
Si tratta forse di un libro che potrebbe piacere al vecchio Umberto Eco, l’italo sporcaccione della letteratura d’avanzo?
Peter Kolosimo è il paradiso perduto dei Wu Ming, così come il romanzo sporcizia praticato da Umberto Eco e dai Wu Ming è, per l’uno e per gli altri, il paradiso perduto della letteratura. Ma la letteratura sporcizia chiama sempre alla resa dei conti con la sporcizia razziale.
Ma questo rimanda a una “letteratura” cresciuta sull’ipotesi del dopo-bomba. Letteratura di sporcizia, ma di una sporcizia lasciata dalla bomba. Quindi di una letteratura che si riconosce come “ricostruzione”.
Un libro irritante, appunto, in quanto libro che parla di filosofi senza mai porsi la spina della filosofia. Ma alla fine un libro che, tolta la spina, lascia una domanda d’antico taglio.
Quindi un libro che attende al varco il proprio lettore. Il varco che attende il lettore di un libro è sempre ciò che lo attende alla fine della lettura.
“Perché nella Germania dell’immediato secondo dopoguerra i sistemi teorici di Heidegger e di Carl Schmitt (cioè di alcuni dei filosofi favorevoli al nazionalsocialismo) hanno avuto più ascolto dei sistemi di Adorno, Kurt Huber, Benjamin (cioè di alcuni dei filosofi che hanno segnato la resistenza al nazionalsocialismo)?”
È questa la domanda che ci riguarda in quanto lettori. La storia insegue. Ma in quanto nella posizione di inseguiti, ci si può chiedere: “la storia di chi?”
Lunghi sono i tempi e lunghi sono ancora di più i discorsi.
Salti all’indietro, ritaglia la filosofia della Resistenza. Vive solo di questo. Quanta malinconia vi cade, appena chiara come neve. Tanto complicata quanto vecchiotta, un poco simile alla musica di Mahler, questa filosofia ha un poco il taglio sottile dell’arabesco di profumi, che incanta e attira – ma sempre meno convince.
Prima di tutto risveglia la mummia dell’umanesimo. Ma una diversa selezione del pensiero chiama a una selezione razziale per un pensiero diverso. Nietzsche insisteva sulla necessità di una casta di schiavi come elemento imprescindibile alla costituzione di qualunque civiltà. Solo una smorfia basta a Losurdo per fare a meno di considerare questa parte del pensiero di Nietzsche.
Ma la selezione che delinea il meticciato trascorre sempre lì.
Il nazionalsocialismo ha reso possibile un taglio nel nodo di pensare tradizionale. Un risultato del nazionalsocialismo è stato l’impulso alla lotta tra civiltà germanica e civiltà latina. Il tema della fine dell’epoca della metafisica di Heidegger vi si allinea così in modo naturale. Va a Heinrich Himmler il merito di aver affrontato questo tema nel progetto dell’Ahnenerbe. Ma è un tema che taglia da lontano. Già Fichte lo aveva configurato nei Discorsi alla nazione tedesca. Esso è contemporaneo alle prime formulazioni di quella scienza che poi sarà nota come “indoeuropeistica”. La comparsa dell’indoeuropeistica ha chiamato a rendere conto della domanda: “Che cosa fare dello straniero che ha imparato a mescolarsi così bene tra noi?”. Lo straniero che aveva imparato a mescolarsi così bene tra noi, all’epoca delle prime formulazioni dell’indoeuropeistica, era solo l’ebreo. Ma prima ancora, lo straniero che aveva imparato a mescolarsi in Europa era il portatore del cristianesimo. È tramite l’indoeuropeistica che l’Europa scopre lo straniero sul proprio territorio e, sempre tramite l’indoeuropeistica, l’Europa può identificarlo come straniero di razza semita. Identificarlo sempre come razza semita. Ma parlare di razza è qualcosa che va ben oltre la ricerca della verità, perché questo nuovo parlare non implica solo il richiamo alla verità. Questo parlare chiama prima di tutto il disprezzo come taglio di giudizio. La ricerca del giusto disprezzo viene prima della ricerca della verità. È una ricerca che impegna nel profondo. Posto che ciò che si cerca non sia la verità, ma il disprezzo.
Qual è allora la funzione della filosofia? La filosofia è qualcosa che può suonare quindi come scienza pilota. In quanto scienza pilota, la filosofia ha il compito di pensare il concetto di essere umano. Ma il concetto di essere umano, da noi ricevuto in eredità da una vecchia filosofia, è un vecchio concetto pilotato da una vecchia filosofia, che è ormai tempo di mettere a tacere.
Faye mostra tutta la difficoltà nel riconoscere ciò che ha il tipo di un nuovo taglio di pensiero.
Che è quello che, con la sua semplicità, nemmeno fa I filosofi di Hitler di Yvonne Sharrett. Il nazionalsocialismo è quanto la modernità vuole tagliare da sé. Quello con cui non vuole più avere niente a che fare. Ma forme di questo pensiero, stagliandosi come la filosofia di Heidegger, continuano a distrarre con l’insistenza di fuochi fatui. E si stagliano su un orizzonte da cui incutono timore – come nuvole in un cielo che, colto come ospiti di passaggio, ci si ostina a riconoscere straniero. Come la filosofia di Nietzsche. Questo perché riguardano ciò verso cui l’uomo è destinato, cioè verso il nuovo modo di pensare – nel quale però l’uomo si sente estraneo. Cioè tagliato fuori. Ma l’Europa ha rinunciato alla determinazione della propria figura quando, tagliandolo da sé, ha rinunciato al proprio cuore. Antisemitismo: cuore d’Europa.
Quello che attrae in Heidegger è la svolta verso il nuovo inizio. Ma questo “nuovo” non viene per noi da qualcosa imprecisato.
Di spalle Adorno può solo intagliare pensieri come mobiletti dentro il vecchiume della filosofia, quando questo vecchiume è proprio quello con cui è venuto il tempo di disfare i conti. Cioè di disfarsene. La terra non è mai terra dove andare. Ma avere terra dove andare è ciò che ha caratterizzato i filosofi della Resistenza, che, trovando davanti a sé solo terra dove andare, ha permesso loro di racimolare stracci di pensiero. Questo perché non c’è terra dove andare, se non c’è Terra del Sacro. Perché questo è ciò che costituisce il taglio.