Biografia

Sulla biografia, in senso teorico e pratico, c’è ancora molto da affrontare. Smantellare innanzitutto l’idea del curriculum, cioè del riconoscimento di una o più mete raggiunte in un dato arco di tempo, che pure è la traccia che maggiormente la insidia, può essere un utile punto di partenza.
Si può scrivere la biografia di Agatha Christie: a vent’anni ha scritto questo, a trenta quest’altro, a x anni ha cessato di vivere. La biografia diventa così una estensione del curriculum. Questo va bene solo per la letteratura di massa. Nel caso di un grande scrittore l’approccio è diverso È solo per pigrizia intellettuale se non lo si è notato finora? Un grande scrittore compone quello che una data confluenza di temi e libri porta a dover essere finalmente composto. Compone quello che non si può più fare a meno di comporre. L’autore si determina così non in base a una continuità di carriera, quanto in base a discontinuità e scomposizioni di temi. Che io sappia, attualmente, questo metodo è stato applicato in modo soddisfacente solo da Hugh Kenner in L’età di Pound.
Un grande artista ha una profonda diffidenza verso tutto ciò in cui si può dare a riconoscere l’uomo. Egli, infatti, mira a una serena non umanità. In fondo, può dipendere dal fatto di vedere sempre la propria opera come già completa e compiuta (ed egli stesso come cosa in un canto). Ogni artista è; da sempre, e non ha bisogno di un apprendistato o di un divenire. Quindi una biografia dovrebbe partire proprio da questo?

L’opera futura

Una incognita grava sulla possibilità di un’opera futura. Soprattutto c’è da chiedersi: “ci sarà ancora l’opera?”
Nietzsche era consapevole che una parte del suo pensiero doveva essere comunicato solo oralmente: riguardava una parte che non poteva essere letta, ma che doveva vivere nelle persone che l’avevano udita dalla sua voce. «Insomma, per dire tutta la verità: in questo momento vado cercando persone che possano raccogliere la mia eredità; io porto dentro di me diverse cose che non si possono assolutamente leggere nei miei libri – e per queste sto cercando il terreno migliore e più fertile.» (F. Nietzsche, Epistolario, vol. IV. 1880-1884, Adelphi, Milano 2004. Lettera 249, a Lou von Salomée, pp. 199-200).
Una parte di un pensiero si determina così come rifiuto di un’opera, cioè della dell’opera scritta. Intesa in senso tradizionale. Il pensiero si oppone alla stesura scritta del pensiero. Esso deve essere movimento, e fare presa su persone in movimento.
Forse la letteratura, un giorno, avrà posto solo nel pensiero. Un pensiero allenato apposta per dare vita alla letteratura e a ogni forma di saggistica, o di filosofia. E non ci sarà più bisogno dell’opera scritta.

La mancanza di opera

L’ozio sulla spiaggia dell’animale marino, il piacere non affrettato del tempo di darsi al mare, sono sottili elementi che entrano in gioco in Aurora e nella Gaia scienza, come dimostrano le lettere di Nietzsche del periodo. E ne insinuano il testo. Nessuno storico della filosofia potrà mai stabilirne la concettualità, per quanto essi siano presenti. Ecce homo li richiama. L’opera si regola in un viluppo di stati d’animo attorno alla composizione di un testo che si dirama nella sua assoluta incomunicabilità. Ma l’opera così intesa apre alla mancanza di opera. Che è ancora tutta da determinare. La mancanza di opera in quanto culmine del processo creativo o ciò che essa avrebbe potuto diventare al di fuori del concetto stesso di opera – che è appunto ciò a cui si deve concretamente infine pervenire. Ma il risultato di questo compito non sarà meno una dissoluzione dell’opera quanto un riconoscimento dell’inutilità delle opere a noi note?

Partigianeria

Macedonio Fernández nel Museo del romanzo della partigianeria!
Uffa!
Ma quanto mai benvenuto!
La “partigianeria”, quale forma tipica dell’attuale eterno italiano di merda, specie nella sua attenta, più che attenta, letteratura, è un qualcosa che deve essere fatto oggetto di una distratta – ma non per questo meno feroce – oziosa decostruzione; vale a dire fatto oggetto circa quanto riguarda l’impegno di una decostruzione del romanzo.
Lo sbadiglio può cominciare con Beppe Fenoglio, Una questione privata.
E poi potrebbe estendersi a Visi celati di Salvador Dalì, poiché la “partigianeria”, adesso, non è più qualcosa limitato all’italiano di merda. In questo risiede il genio dell’Italiano di merda. Genio mai da disconoscere.
Ma niente genio; solo mafia.
Si potrebbe così tentare un primo discorso sulla “letteratura partigiana”, e poi è solo ecc.
Uffa!
Italiani di merda!