«La libertà di narrazione, sembra, in Occidente, non avere più limiti, se non forse quelli posti dalla democrazia stessa. Un racconto che in tutta serietà esaltasse il razzismo o auspicasse i campi di concentramento, avrebbe anche da noi vita difficile.» (W. Siti, Il romanzo sotto accusa, in AA.VV., Il romanzo. I. La cultura del romanzo, Einaudi, Torino 2001, p. 154.)
Questo è appunto il libro che deve venire.
Dopo Auschwitz
«Bisogna insomma rovesciare la frase di Adorno: “come è possibile la poesia dopo Auschwitz?”, e intravedere la nuova poesia che nascerà dalla ricostruzione di Auschwitz. E anche la nuova epica. Il teatro no. Quello non tornerà più.»
L’epoca delle macchine
È probabile che Gli anni di viaggio di Wilhelm Meister di Goethe e il Faust di Goethe costituiscano una coppia di opere complementari. Uno spinge il teatro alle sue estreme conseguenze, l’altro spinge il romanzo alle sue estreme conseguenze. Per quanto riguarda il teatro, nel Faust il teatro viene ricondotto alla sua origine non europea, passando attraverso la fase romantico-europea. Proprio in quanto opera teatrale, il Faust può intravedere l’epoca delle macchine, cioè la subordinazione dell’Europa a un pensiero che non le appartiene. Gli anni di viaggio si svolgono invece in un mondo non ancora toccato dalla previsione di quell’epoca. Infatti il teatro può guardare nell’epoca delle macchine perché è esso stesso una macchina: il palazzo rinascimentale italiano è la macchina che darà vita all’Orfeo di Monteverdi e il Faust stesso ripresenta il mito di Orfeo nell’episodio di Elena. In quanto elemento non europeo il teatro può presentare la visione dell’Europa nell’epoca delle macchine, cioè dell’epoca in cui l’Europa non è più la terra degli europei. Il romanzo, che deriva dall’epica, non può anticipare l’epoca delle macchine poiché la sua natura, a differenza di quanto accade col teatro, ne è immune.
Schiavi
La teoria di Heidegger che vede nel pensiero di Nietzsche il compimento della metafisica in quanto padroneggiamento assoluto del mondo non tiene conto di ciò che Nietzsche riteneva indispensabile per lo sviluppo di una civiltà: la presenza di uno strato di schiavi e, nel caso particolare intravisto da Nietzsche, la necessità di prevedere la creazione di una nuova schiavitù. Senza la presenza di una nuova schiavitù il raggiungimento del completo dominio tecnico del mondo non è sufficiente; non solo: tale dominio puramente tecnico del mondo rischia di ricadere su se stesso. Da questo punto di vista, la deriva estetico-dannunziana, variamente aggiunta alla figura del superuomo, è assolutamente non pertinente, ma per un motivo ben diverso da quello comunemente accettato: il richiamo alla necessità della schiavitù non implica una tale deriva. Essa tuttavia segna il tonfo burlesco di una tale ricaduta. Segno che è un insegnamento. La cecità su ciò che in Nietzsche riguarda la nuova schiavitù può così condurre alla messa a punto della rappresentazione di una attività compulsiva e cieca nei confronti del dominio del mondo, che è quanto Heidegger riconosce nell’operaio di Jünger. A sua volta Jünger non medita sulla necessità di una nuova schiavitù. Nietzsche può arrivare a un nuovo pensiero andando coerentemente oltre il cristianesimo: Nietzsche aveva infatti compreso che lo strappo con il cristianesimo doveva comportare l’accettazione del ragionamento intorno all’arrivo, ineludibile, di una nuova schiavitù. Perché la schiavitù è il fondamento di qualsiasi civiltà. Fatto che avrebbe comportato la messa a punto di un nuovo sistema di organizzazione del mondo basato sulla schiavizzazione di una parte degli abitanti del mondo. Nessun altro pensatore si è posto al di là del cristianesimo attraverso una tale prospettiva. Al contrario, quando la possibilità di una schiavizzazione è stata riproposta questa si è presentata con i tratti caricaturali di una estetizzazione, cioè con i tratti di chi è rimasto prigioniero di una visione che non poteva prevedere realisticamente il ritorno di una cosa così compromessa con la storicità cristiana come la schiavitù. E si è scelto così la caricatura al posto della previsione, della utopia, della narrazione.
Bisogna prima di tutto comprendere che l’epoca del superuomo sarà l’epoca della completa realizzazione del nichilismo.
Il sogno di una cosa
Nell’epoca del completo dominio di tutte le risorse della terra, e quindi del completo dominio della Terra stessa, il “tabù del genocidio” dovrebbe essere avvertito come qualcosa di antiquato e di imbarazzante, tale da suonare solo come un fossile della (più o meno in via di conclusione) epoca cristiana. L’uomo dovrebbe così ora solo accorgersi – ora più che mai, perché ora o mai più – di avere il sogno di una cosa.