Una prova?

Al di là del bene e del male, § 251: «Risulta assodato che gli Ebrei, se volessero – o se vi fossero costretti, come sembrano volerli costringere gli antisemiti –, potrebbero già in questo momento avere la preponderanza, anzi il vero e proprio dominio sull’Europa; ed è altrettanto certo che essi non lavorano e non fanno piani a questo scopo.» (p. 165).
Gli Ebrei, continua l’aforisma, vogliono soprattutto essere assorbiti dall’Europa. Accettando allora gli Ebrei in Europa si potrebbe migliorare l’aristocrazia europea, unendo il senso ereditario del comando – tipico dell’aristocrazia europea – al gusto per la pazienza e per il denaro – tipica degli Ebrei (p. 165). Quindi perché non farlo?
Così si finisce per toccare il problema fondamentale su cui insiste, senza consistere, l’aforisma: quello «di una nuova casta governante d’Europa» (p. 165).
Insistere senza consistere apre la questione alla domanda che viene così lacanianamente aperta. Domanda che suona secondo il tipo: “È possibile collegare questo aforisma al tema dei nuovi dominatori del mondo, tema tanto importante in Nietzsche, quanto da sempre sottovalutato dagli studiosi di Nietzsche?”
Di che cosa si discute, in questo aforisma, se non della possibilità di mischiare le razze per tentare di creare un nuovo tipo umano? Ma questo nuovo tipo umano non viene identificato come il tipo fondamentale, bensì soltanto come un primo tentativo. Questo nuovo tipo viene immaginato, nell’aforisma, a partire dalla possibilità di mischiare l’aristocrazia (indo-)europea con gli Ebrei.
Se questo fosse un tentativo che, secondo Nietzsche, la nuova epoca a venire dovrà trovarsi ad affrontare? Se fosse uno dei primi dei tanti tentativi che potrebbero aprirsi all’apertura della nuova epoca?
Solo uno dei primi, perché solo il primo a presentarsi?
Se fosse invece solo un modo per divertire i veri dominatori del mondo, incrociando tipi fino ad allora inconciliabili tra loro, per vedere che cosa ne potrebbe venire fuori? Se fosse solo l’avvio di un modo di procedere per tentativi?
È certo che i veri nuovi dominatori del mondo saranno soprattutto degli sperimentatori e degli appassionati dello spirito del gioco. Un gioco che però non li coinvolgerà e non li tratterrà più di tanto. Niente a che fare col giocatore di Dostoevskij! Essi saranno soprattutto dei burloni, dei pagliacci… (ma mai dei guitti sopra il carrozzone).
Infatti essi faranno tutto per gioco con una grande e smodata serietà, e osserveranno i risultati con occhi molto seri.
Tutta l’Europa e tutta la terra diventeranno così un campo di gioco per il superuomo.

F. Nietzsche, Al di là del bene e del male. Genealogia della morale, in “Opere di Friedrich Nietzsche”, volume VI, tomo II, Adelphi, Milano 1976.

Caricature

Alcuni primi piani del profilo di Lukács ricordano le caricature dell’Ebreo in voga nella Germania nazista.
Non si è mai considerato il volto di un intellettuale in rapporto alle sue teorie. (Che Lukács fosse un usuraio del pensiero?)
Da qualche parte, Lombroso aveva analizzato i volti dei capi della Rivoluzione francese dal punto di vista dell’antropologia criminale…
Nel Diario di un genio Salvador Dalì contrapponeva i suoi baffi, leggeri e rivolti in alto (indice, a suo avviso, di carattere euforico), a quelli di Nietzsche, pesanti e rivolti in basso (indice, a suo avviso, di carattere depresso).
Pasolini aveva i lineamenti sottili e scattanti della checca nevrotica. Umberto Eco ha l’aspetto di un lumacone che sbava sugli scaffali delle biblioteche su cui striscia con parsimonia. In certe fotografie, Bertrand Russell sembra una scimmia. Heidegger ha quasi sempre l’aspetto di un mastro birraio bavarese.
In Arcipelago Gulag Solženicyn accusava Sartre di avere idee molto confuse sul comunismo. In una fotografia, che lo sorprende, insieme a Foucault, nel corso di una dimostrazione a Parigi nel 1972, Sartre ha l’aspetto di un vecchio un po’ confuso, capitato lì per caso. (La fotografia si può vedere e gustare in G. Gutting, A Very Short Introduction to Foucault, Oxford University Press, Oxford 2005, p. 22.)
Una antropologia della persona e delle idee è ancora tutta da fare, ma probabilmente è possibile. E riserverebbe anche delle belle sorprese. Con quali risultati? Sorprese tutte da ridere!
In certi casi il rapporto tra volto e opera è fin da adesso già plausibile; in altri rivela invece un qualcosa che stride.
L’intellettuale è infatti qualcuno che non è ancora pienamente di casa qui. È un qualcosa che si muove confusamente, che non ha una vera terra su cui poggiare.

Due aforismi di Nietzsche

I due aforismi che concludono il terzo capitolo, L’essere religioso,  di Al di là del bene e del male di Nietzsche, il 61 e il 62, sono strettamente collegati tra loro e complementari. Riguardano la religione, ma lo fanno in due modi diversi: il primo affronta la religione da un punto di vista dei vantaggi che essa può offrire all’interno di una società; il secondo la considera a partite dagli svantaggi che essa può concretamente provocare.
Più precisamente: l’aforisma 61 affronta la religione come mezzo per dominare gli uomini, quindi la religione come strumento di plasmazione in mano a una élite; il 62 indaga invece le conseguenze che si manifestano quando una cosa come la religione viene lasciata a se stessa, libera di agire tra gli uomini senza alcun tipo di controllo sociale: il risultato è, in molti casi, quello di permettere ai malati, intesi come persone non degne di vivere, di continuare a vivere e di impedire la formazione di un tipo superiore di uomo.
Questi due aforismi rivelano come in Nietzsche ci sia tutta una parte di pensiero che sovente l’esegesi nietzscheana ha tralasciato o ha considerato con sufficienza, giusto quanto basta per permettersi di tralasciarla.
È chiaro a chiunque che qui non si tratta di appunti abbozzati da Nietzsche in uno dei suoi tanti taccuini, in attesa di una rielaborazione e di una collocazione finale, come ad es. gli appunti che dovevano confluire nella Volontà di potenza – progettata e mai realizzata – ma di testi completi, inseriti all’interno di una delle opere fondamentale di Nietzsche e del pensiero occidentale, dove essi svolgono la loro piena funzione.
Ecco l’inizio del primo aforisma: «Il filosofo come lo intendiamo noi, noi spiriti liberi –, come l’uomo che ha la responsabilità più vasta e per cui il completo sviluppo dell’umanità è un fatto di coscienza: questo filosofo si servirà delle religioni per la sua opera di plasmazione culturale ed educativa, allo stesso modo con cui utilizzerà le condizioni politiche ed economiche del momento.»
Questo è invece l’inizio del secondo aforisma: «Indubbiamente, per mostrare anche il bilancio negativo di tali religioni e di mettere in luce la loro sinistra pericolosità, occorrerà infine dire che si paga sempre a caro prezzo e in maniera terribile il fatto che le religioni non siano nelle mani dei filosofi come strumenti di plasmazione culturale e di educazione, bensì governino a loro talento e in guisa sovrana, e vogliano essere per se stesse gli scopi ultimi e non mezzi accanto ad altri mezzi.»
Ad una prima lettura, sarebbe giusto chiedersi: “Veramente la religione può essere ridotta a una cosa di questo tipo?” È probabile che qui Nietzsche sia troppo riduttivo nel considerare le religioni. Le religioni non possono essere solo strumenti in mano a poche persone, «mezzi accanto ad altri mezzi», poiché hanno una loro storia e una loro vita. Ma è un atteggiamento giustificabile, nel senso che Nietzsche era premuto da una cosa molto importante, per lui, da esporre. Che cosa? Il fatto che una élite avrebbe dovuto padroneggiare una ideologia a esclusivo consumo di certe masse. E, contemporaneamente, il fatto che una religione era dilagata talmente nel mondo moderno in un modo tale da impedire la formazione di tipi superiori e di mantenere in vita ciò che invece doveva essere condannato a morire.
Allora che cosa indicano queste considerazioni di Nietzsche sulle religioni? Semplicemente uno spostamento. Il discorso non riguarda tanto le religioni, che Nietzsche dimostra qui di non comprendere come fenomeno antropologico inscindibile dal fenomeno umano, ma la creazione di gruppi umani tenuti in vita per uno scopo preciso (quello di svolgere certi compiti) e ai quali deve essere fornita una ideologia particolare, costruita in modo tale da fare accettare loro una sorte estremamente gravosa. Questa, più che essere la religione che noi conosciamo, è un qualcosa che viene creato a modello della religione, perché è provato che la religione ha anche un effetto palliativo verso i dolori del mondo, ma che non è, in tutto, una religione. È infatti un pensiero creato “a tavolino”, e il “filosofo” citato da Nietzsche in questi due aforismi non è un filosofo a sé stante, come, ad es., poteva essere il filosofo Nietzsche, che componeva i suoi libri e se li faceva stampare a proprie spese, in totale solitudine, ma un componente attivo di un gruppo dominante (sia essa una élite o una nuova casta). Ma componente di quale gruppo dominante?
L’attenzione deve quindi spostarsi sui due punti estremi della catena: i creatori di questa “religione” e i fruitori della stessa. Il discorso può essere meglio affrontato se si parte da ciò che permette il lancio della catena.
Il pensiero di Nietzsche è un pensiero antidemocratico. Questa affermazione è stata fatta molte volte in diverse occasioni, sempre con intento di biasimo; più con l’intenzione di chiudere, anziché impostare un discorso. Infatti raramente si è cercato di pensare che cosa possa significare un “pensiero antidemocratico” e che cosa possa mettere in gioco come nuovi valori, alternativi a quelli del presente. Questo perché non si vede niente di sano al di fuori della presente modernità democratica.
Dal punto di vista della modernità il cristianesimo, prima di essere una religione, è l’ideologia che massimamente riproduce e tiene insieme tutta la modernità. È l’ideologia più rappresentativa della modernità. Il cristianesimo è quindi quella ideologia la quale, una volta avviata, ha fatalmente trascinato con sé tutto il pensiero e tutti gli esseri umani nella modernità nella quale, ancora adesso, essi si trovano invischiati e sballottati.
Il discorso di Nietzsche sul cristianesimo è quindi un discorso che, in Nietzsche, trascina con sé il discorso sulla modernità. Affrontando così il discorso sulla religione, Nietzsche poteva affrontare nello stesso modo il discorso sulla modernità
Il pensiero di Nietzsche è antidemocratico perché riconosce nel cristianesimo l’ideologia più dannosa per il genere umano, e perché riconosce questa estrema dannosità nel fatto di essere la vera ideologia dispensatrice del concetto di “uguaglianza” tra tutti gli esseri umani, concetto cardine della modernità. Il superamento del cristianesimo è quindi possibile, nel pensiero di Nietzsche, attraverso progetti che devono suonare come inconcepibili nella compagine cristiana. E – di riflesso – in tutta la modernità. Questa fase e la fase dell’affermazione “Dio è morto!” sono quindi inscindibili.
Il primo aforisma mostra la situazione della religione quando essa è dispensata da una élite, cioè dai nuovi dominatori del mondo; la seconda mostra il funzionamento in occasione dell’assenza dei nuovi dominatori.
Il guaio è che si vuole adattare Nietzsche alle proprie convinzioni: un Nietzsche “di sinistra” per Foucault, un Nietzsche “epurato” per Heidegger… In realtà bisognerebbe cominciare a cercare il pensiero di Nietzsche in un terreno sconosciuto, dove si sgretola e frana senza fine il bozzolo angusto della modernità.
Quello che costituisce lo sfondo del pensiero di Nietzsche è un uso diverso del pensiero, diverso da quello cui la modernità ci ha lentamente e inevitabilmente abituati. Su questo sfondo, cioè su un pensiero che funziona in base a una diversa ripartizione dei gruppi sociali rispetto alla modernità democratica, tutti i grandi temi del pensiero nietzscheano – volontà di potenza, eterno ritorno, superuomo – sono progettati e articolati. Quindi in questo aspetto andrebbero analizzati.
Ma seguire questo pensiero non vuole dire seguire un pensiero che urta la democrazia, quanto seguire un pensiero che cerca di farsi pensiero a partire da una uscita della democrazia così come è praticata nell’Occidente della modernità. Tutto il pensiero maturo di Nietzsche si costituisce infatti a partire da uno “sfondo” frattale che prevede l’avvio di una nuova epoca. Questa nuova epoca è caratterizzata grazie alla fissità di lampi frattali. Ma questi lampi fissano come punto fermo il possibile ritorno di ciò che la nostra modernità non può più accettare per nessun motivo e che il cristianesimo, germe suo malgrado della modernità, ha avuto come suo principale nemico. Tutto il pensiero di Nietzsche è sostenuto dalla certezza di un possibile quanto inevitabile ed auspicabile ritorno della forma della schiavitù: di una formazione di nuovi schiavi da una parte, e di nuovi proprietari di schiavi dall’altra; dall’innalzamento e dall’inabissamento di gruppi umani. Quindi di una forma di pensiero sbiadito, sia esso religioso o no, per gli schiavi. E questo non avverrà per sopraffazione, ma per consolidamento di un nuovo modo di pensare, preciso e leggero come il passo di una colomba.
Non è questo un modo più complesso di leggere Nietzsche, un modo che evita le insidie dei “nietzscheani inselvatichiti” quanto quelle di un “Nietzsche epurato”?
Soprattutto, non è questo ciò che porta a rivelare ciò che Nietzsche ha intravisto come futuro dell’Occidente e come sua più grande prossima fase? C’è da chiedersi perché non ci sia stata una riflessione filosofica seria su questi temi e su altri del tutto analoghi. Perché Heidegger non si è mai soffermato su questi due aforismi? Probabilmente, tutta l’interpretazione di Heidegger di Nietzsche è da ripensare a partire da considerazioni del genere.

F. Nietzsche, Al di là del bene e del male. Genealogia della morale, in Opere di Friedrich Nietzsche, volume VI, tomo II, Adelphi, Milano 1976, pp. 66-70.

Groviglio di parole

“Banalità del male” è un concetto che può essere funzionale, e quindi opportuno da osservare nelle sue capillari articolazioni, nell’arco di un progetto di sterminio (a ben guardare: realmente deprecabile?), ma che si sgonfia in mille altri rivoli di occasioni.
Cosa resta della banalità del male in ciò che lega la fissità dello sguardo del Negro omicida alla smorfia sprezzante del meticcio italiano mafioso? Forse la banalità della degenerazione della razza? (Mi sa proprio di sì!) Ma è legittimo, poi, parlare ancora di “banalità”, in questo caso? Il cinema ha fissato più volte, tanto lo sguardo quanto la smorfia, sornionamente, in modo da immortalarli,  l’uno e l’altra, nel volto, sempre disponibile, dell’attore più di moda in quel momento, ma – essendo questa settima arte stramalefica un esempio dell’arte della degenerazione di tutto ciò che è stramoderno – li ha, lì, al contempo, elevati a qualcosa, di volta in volta, giustificabile e degno sempre di “umana” comprensione.
Contro tutto ciò si contrappone la grandiosa frase del Mein Kampf: “combattendo l’Ebreo, io miglioro l’opera della creazione divina”.
Rimane il ghigno sottile, la malvagia stupidità che unisce il desolante Negro omicida al tronfio meticcio italiano mafioso, che sembra ghignare qualcosa di vero – ma solo una piccola verità da tenere bene nascosta – verso tutti i “bianchi” di sinistra: il male è prima di tutto questione di razza inferiore.

Romanzo del giorno e romanzo della notte

Romanzo della modernità.
Finnegans Wake vi è largamente implicato.
Non sapere come uscire da un luogo, non avere ricordo di come ci si è entrati: questo è il sogno della razza. L’avere razza è proprio ciò che sveglia da un sogno in cui ci si trova intenti a muoversi in un luogo – tanto estraneo quanto familiare – non avendo idea di come ci si è entrati.
Ulisse è il romanzo della razza straniera che va e che viene e che occupa l’Europa. Finnegans Wake è il riscatto della razza nel campo della razza. Cioè solo nel sogno. È il sogno stesso della razza che sogna se stessa in quanto farsi sogno e farsi razza del sogno. Non in quanto “soggetto che ha un sogno”, ma in quanto interpretazione dei sogni del gioco. Per questo era necessario dissolvere una lingua tra tutte.
Romanzo del giorno e romanzo della notte.
Il romanzo del giorno è il romanzo della razza straniera che è presente in Europa. È il suo andare in una terra  straniera per non ritornare mai a casa che si fa romanzo. Ma non si possiede mai casa, se l’alingua non è la casa dello scrittore.
Il romanzo della notte è il romanzo del riscatto della razza. È il sogno della razza che sogna l’eterno ritorno della razza del sogno.