Heidegger su Jünger

Una obiezione alla interpretazione di Heidegger del lavoratore di Jünger: Heidegger non sembra accorgersi che Jünger non vede il fattore decisivo del superuomo per quanto riguarda la sua teoria del lavoratore. Vale a dire: il voler creare, da parte del superuomo, in quanto superuomo. Il lavoratore è costretto ad un lavoro che non lo rappresenta. Stelio Èffrena, il protagonista del romanzo Il fuoco di d’Annunzio, potrebbe essere considerato più nietzscheano di quanto non lo sia il lavoratore di Jünger: Stelio Èffrena, infatti, forgia il mondo secondo la sua volontà.
Il superuomo di Nietzsche sceglieva il gioco, dava una meta al mondo e lanciava il tutto (mondo e superuomo) in quella direzione, pur essendo consapevole del carattere fittizio di ogni meta, compresa la sua, poiché il mondo è appunto ciò che non ha – né deve avere – senso alcuno. È questo un tratto tipico di Nietzsche, che puntualmente manca nella letteratura a lui ispirata: la facoltà di non prendersi mai fino in fondo sul serio; manca nel protagonista del Fuoco e, su un piano diverso, manca nella teoria dell’anonimo lavoratore di Jünger. Nel Fuoco il protagonista si prende troppo sul serio, sapendo di essere il superuomo; in Jünger il lavoratore si lancia nel lavoro che sovverte il mondo, senza sapere di essere il superuomo.
Nemmeno Heidegger considera in questa occasione l’unicità del superuomo. E il superuomo continua ad aggirarsi per il mondo, adesso degradato a lavoratore (un po’ Wotan, un po’ Siegfried, come in una sgangherata e nietzscheana messa in scena di periferia del Siegfried). Si ha così una ricomparsa del concetto formulato da Marx nel luogo a lui più propizio: è l’uomo a creare la propria storia, trasformando attivamente tutto il mondo, ma lo fa in una condizione di alienazione, quella appunto dell’operaio.
Solo il superuomo dà senso al mondo. E Nietzsche aveva presente questa differenza.

Heidegger, Ernst Jünger, Bompiani, Milano 2013.

Il peso del postmoderno

Che cosa dice il sogno della notte più lunga del meticcio italiano? Niente notte della veglia dei Finnegan, in Italia. Gli unici pasticciacci sono quelli di Gadda e di Camilleri. Pasticciacci da salotti. Infatti, Ombre Rosse e Ombre Nere costituiscono il pasticcio che più piace agli italiani Bianchi di Sinistra. Con occhio massonico il meticcio italiano guarda il mondo.
Il romanzo buonista postmoderno italiano rappresenta il peso del romanzo postmoderno messo a nudo, che però ne evidenzia l’aspetto fondamentale: cioè la nudità che lo veste.
In Italia i romanzi postmoderni dell’Eco lumacone hanno il merito di far luce, una volta per tutte, sul profondo senso di colpa che pervade ogni aspetto della triste vita del meticcio italiano. Permettono di rivedere la letteratura italiana, e non solo. Nella letteratura, nella politica, e poi in ogni aspetto della vita quotidiana, il meticcio italiano rivela un forte senso di colpa che dirige e pervade infatti i suoi tanti gesti miseri e volgari. È come se il meticcio italiano si riconoscesse da sempre irretito in una situazione angosciosa, dalla quale egli si è più volte risvegliato, passando da un accenno di incubo a un dormiveglia subdolo e colpevole, ma situazione dalla quale egli è ben conscio di averne sempre tratto profitti enormi, costanti e casuali – da qui il suo bisogno finale di espiazione.
È evidente che, in queste condizioni, il meticcio italiano debba volgersi verso gli strati sociali e le parti del mondo che più si dibattono per tentare di sopravvivere. E che debba pensare di dedicare a loro il suo discorso-manifesto, celato nelle spoglie di un romanzo strategicamente postmoderno. Egli può pensare così che da quelle plaghe arrivi infine a lui la chiamata. Ma chi chiama il meticcio italiano? Chi mai ha interesse a chiamarlo? Il meticcio italiano è ben diverso dal tormentato meticcio slavo, che almeno ha avuto il suo Dostoevskij. È però qui in gioco un meccanismo testardo, testardo come il meticciato, che in parte soddisfa – e in parte inchioda – il senso di colpa del meticcio italiano. Si è mai notato che ogni cosa che fa il meticcio italiano deve rispondere a una domanda del tipo: “Cosa hai fatto, tu, per impedire questo sopruso? e cosa pensi di fare ora, tu, che ne sei a conoscenza?” È questa ansia di bilanci che rende tanto falsa e pesante la letteratura del meticcio italiano. Letteratura sempre soppesata sul bilancino. Ma solo perché non si ha a fuoco il personaggio da cui tutto parte: il meticcio italiano, personaggio picaresco a tutto sfondo. Peccato che l’Italia non abbia avuto una letteratura picaresca, anziché pittoresca, come più o meno ha avuto. E peccato non abbia avuto un Dostoevskij. Ma poteva, l’Italia, avere una letteratura? Penso proprio di no!
La questione è: da dove proviene il senso di colpa del meticcio italiano? In che cosa può esso consistere? C’è qualcosa che il meticcio italiano sa e che lo tormenta? Se sapesse di non essere un europeo e di non avere diritto di stare in Europa? Se sapesse che tutta la sua storia, così fraudolentemente messa insieme, è un imbroglio? Il meticcio italiano rappresenta la comparsa aggiornata dell’uomo più brutto nella catena del ritorno, secondo quanto si legge sull’eterno ritorno nello Zarathustra. Il meticcio italiano sa di dover tornare in eterno nella catena delle ingiustizie e sa di essere parte integrante di questa ingiusta catena. Per questo il meticcio italiano è quell’essere che, nella letteratura, medita, macina e sputa infinita tristezza. Se il meticcio italiano sapesse che non potrà mai andarsene dal luogo dove non ha nessun diritto di stare, e se proprio questo fosse il suo pensiero più colpevole?

Superuomo e postmoderno

La narrativa postmoderna rappresenta una scollatura del rapporto tra il soggetto e gli infiniti oggetti del mondo tutti ormai a sua disposizione. Il soggetto non si riconosce più come superuomo in quanto esponete della compiuta manifestazione dell’epoca della metafisica, e fa un balzo indietro rispetto a quanto formulato in proposito da Nietzsche.
Nietzsche aveva individuato nel superuomo l’esponente della compiuta manifestazione dell’epoca della metafisica.
Ma come portare a rappresentazione il dominio effettivo del mondo? E, a livello di letteratura, come rappresentare la realizzazione del dominio effettivo del mondo? Gli appunti, risalenti al 1888, sui nuovi futuri padroni del mondo, stesi da Nietzsche, sono ancora tutti da pensare – perché, troppo velocemente, sono stati liquidati come argomenti che non meritano di essere pensati. Ma forse, per quanto poco considerati, danno vita a un qualcosa, ancora non considerato, nel campo della sotto-letteratura e del cinema. Ma da proprio da questi campi, sotto-letteratura e cinema, si fa vivo il postmoderno.
Ogni frase, scritta nell’epoca del compimento della metafisica, porta con sé il paradiso, porta con sé l’inferno.
L’ipotesi del superuomo di Nietzsche andrebbe articolata secondo due possibilità:
1) l’ipotesi del superuomo vero e proprio (con esito verso un pensiero disantropomorfizzante);
2) l’ipotesi dei futuri padroni del mondo (con esito verso il ripescaggio di un pensiero antropomorfizzante di tipo tardo-romantico).
Il postmoderno presenta una narrativa dell’epoca della compiuta realizzazione della metafisica attraverso l’esclusione dell’ipotesi del superuomo. Così qualunque soggetto è un soggetto in balia della totalità degli oggetti del mondo, ma tutti a sua completa disposizione. È in questo bilanciamento ciò che porta alla biforcazione del caso Italia e del caso Giappone.
Per quanto riguarda la possibilità di una narrativa basata sul superuomo (come esponente dell’epoca della compiuta manifestazione della metafisica), l’Italia ha mostrato le due possibilità antitetiche: la narrativa di Gabriele d’Annunzio, nella quale il superuomo era tutt’uno con il protagonista (Il Fuoco); la narrativa di Umberto Eco, nella quale il superuomo non è considerato come ipotesi degna di attenzione, e il romanzo può sorgere, appunto, grazie alla negazione concreta del superuomo.
Nel romanzo postmoderno ogni cosa del mondo, compresa la stessa letteratura, diventa qualcosa simile a un parco giochi; diventa la stesura letteraria di un video-game, e anche la stesura letteraria di un gioco di ruolo. Il postmoderno è una sosta confortevole, la sosta nel luogo in cui si atterra alla fine del balzo che porta – adesso – a situarsi nel luogo prima della formulazione della teoria di Nietzsche circa il superuomo.
Per avere una reale contrapposizione a questo “caso Italia”, è necessario ricorrere, ancora una volta, al “caso Giappone”.
La questione che così viene posta al romanzo, è del tipo: “Se il romanzo è storiografia, di che cosa si fa allora storiografo il romanziere? ”
L’odiosa ideologia “buonista”, che il postmoderno ha rappresentato tramite i romanzi di Umberto Eco, non è l’unica manifestazione della narrativa postmoderna. La narrativa di Murakami Haruki ne ha infatti presentato tutta un’altra possibile forma. Ugualmente detestabile. Così, in Giappone il postmoderno ha dato origine a una geometria del caos e a una parallela geometria del caso; mentre ha dato origine, nella maledetta Italia dalla tormentata anima massonico-risorgimentale, a un impegno sociale, centrato sulla infinita e nascosta predica buonistica. La differenza può consistere in ciò che fa del Giappone il più grande produttore di golem del pianeta, secondo le parole di Miguel Serrano, e che invece ripiega l’Italia in un ridicolo progetto di mobilitazione globale dal fine vagamente utopistico e rosato, progetto che mette in berlina il grande senso di colpa che lo anima e lo istupidisce.
Ma si tratta sempre di tutta la stessa forma che, di soppiatto, mette le mani in tasca per borseggiare.
Il Giappone si pone come il più grande produttore di golem del pianeta. Il più grande produttore di prodotti che sporcano il mondo. Prodotti fatti per giocare, come quelli che provengono dagli Stati Uniti. Il cinema prima di tutto. Prodotti fatti per non pensare. L’Italia si pone su tutto un altro piano della replicazione golemica: spassionata dichiarazione di adesione alla propria malinconica ideologia in quanto unica ideologia delle diverse ideologie del passato. Ma ideologia del senso di colpa, prima di tutto. Nella Terra della Sera, quanto sbandierato dalla maledetta Italia è solo lo straccio di ciò che rimane delle ideologie cristiano-ebraico-socialiste, straccio a brandelli in un mondo senza vento.
La differenza è che il Giappone è l’artefice della replicazione golemica che sporca il mondo, mentre l’Italia è la sporcizia stessa della replicazione golemica, ma ad arte creata apposta per ripulire la propria coscienza – mai affrontata da uno sguardo non compiacente.
Il postmoderno è la ricaduta verso una antropomorfizzazione di tipo tardo-romantico.
Al di fuori del postmoderno, l’aspetto più emblematico verso cui il pensiero può essere condotto è quello che ne permette l’articolazione in termini del tutto disantropomorfizzanti. Si avrebbe così un pensiero la cui caratteristica fondamentale sarebbe – appunto – la disantropomorfizzazione a livelli attualmente inimmaginabili. Questo pensiero sarebbe il pensiero più adatto per la nostra epoca.

L’agone omerico di Nietzsche

Nietzsche affronta la Grecia in un modo diverso. Ma questo impegna la modernità circa domande improponibili.
«Così i Greci, gli uomini più umani dell’epoca antica, hanno in sé un tratto di crudeltà, di desiderio di annientamento che li rende simili a tigri; un tratto che è assai visibile anche nell’immagine grottescamente ingrandita dell’uomo greco, cioè in Alessandro Magno; un tratto, peraltro, che in tutta la storia greca, come pure nella sua mitologia, reca un turbamento a noi, che ci accostiamo ai Greci con il molle concetto moderno di umanità.» (p. 245).
Ciò che si vede della Grecia in questa immagine di Nietzsche è qualcosa di diverso dall’immagine che l’uomo vuole riconoscere come proprio passato. Ma si va ben oltre Foucault, che pure aveva riconosciuto in Nietzsche la capacità di andare oltre le soglie delle grandi fratture.
La Grecia di Nietzsche è una terra di gente abituata al sospetto, alla difesa, all’attacco.
1) In Nietzsche manca una riflessione sull’abitare. Nietzsche è il pensatore dell’arte di trascorrere il mondo, di darsi al mare. Nietzsche è comunque il fondatore del sigillo del luogo di nascita dei pensieri. I suoi pensieri nascono dalle passeggiate sulle vette. I pensieri dei cattivi filosofi nascono dalla puzza di chiuso delle loro cellette monacali. Nietzsche non è riuscito a stabilire l’origine nazionale dei pensieri. Ci si è appena avvicinato con la precisazione che il cristianesimo ha in sé la puzza del deserto.
2) Nietzsche determinerà in seguito il concetto di “aristocrazia dello spirito”, ma in questo scritto giovanile sfiora una questione fondamentale: il modo in cui è stato creato il miracolo artistico greco. Miracolo basato sull’invidia, sulla diffidenza, sull’insofferenza reciproca. L’Europa ha creato parte della sua civiltà su queste fondamenta, cioè sul miracolo greco. E ora più che mai c’è da chiedersi: “È questa Europa?”
Infatti l’uomo moderno deve affrontare due questioni fondamentali:
Prima questione: “L’Europa non è più la terra degli europei.”
Seconda questione: “Perché l’Europa è, adesso, questa Europa?”
In Grecia si è avuto il primo inizio del pensiero in Occidente. Ma questo implica “con la Grecia”. Il pensiero e le arti occidentali hanno sempre dovuto confrontarsi con quanto accaduto in Grecia in quei tempi aurorali. Nietzsche ha gettato una luce diversa su quell’aurora. Eppure la questione è ancora più sfuggente di quanto non abbia pensato Nietzsche. Bisogna avere chiaro quanto quell’aurora sia estranea a ciò che si è delineato come terra della sera. E la Terra della Sera deve sentire come estranea alla sua natura quanto accaduto in quell’aurora. Solo così, in un nuovo canto della sera, potrà avere luogo un nuovo pensiero.

Cinque prefazioni per cinque libri non scritti, Agone omerico, in La filosofia nell’epoca tragica dei Greci e Scritti dal 1870 al 1873. Volume III, tomo II delle “Opere di Friedrich Nietzsche”, Adelphi 1980, a cura di Giorgio Colli, pp. 207-255.