Larry McMurtry, Le strade di Laredo

Lonesome Dove e Le strade di Laredo di Larry McMurtry rappresentano le due forme tipiche del romanzo: il romanzo epico e il romanzo psicologico. Il romanzo epico è la forma di romanzo che spiega la formazione di uno stato di cose – ponendo in relazione passato e presente e mostrando come le cose stanno insieme, che è il compito fondamentale del romanzo; mentre il romanzo psicologico è la forma di romanzo che è seguita alla forma del romanzo epico, senza porre la domanda dell’Origine, ma mostrando le relazioni psicologiche che si tracciano tra tipi diversi che si trovano ad occupare uno stesso ambiente, assunto come mondo intorno al quale non si pone la domanda dell’Origine. Ma il romanzo psicologico si trova ad avere a che fare con la questione della vicinanza, che è la questione che riguarda il meticciato. Infatti il romanzo psicologico affronta la vicinanza di tipi psicologici diversi ma che si trovano poi ad essere vicini. Così noi, lettori del romanzo Le strade di Laredo, passiamo da un personaggio all’altro, potendo saltare da personaggi di “razza bianca”, a personaggi che sono meticci messicani e meticci indiani. Questo non toglie che i due romanzi siano pensati secondo ottiche diverse. Se il romanzo epico è la forma naturale del romanzo quale evoluzione dell’epica, il romanzo psicologico è il frutto di una alleanza tra componenti di razze diverse, che ha nella vicinanza tra le cose il suo risultato meno mediato.

Tipi psicologici L’animale messicano Maria Garza è ciò che mette al mondo i mostri. Il “mostro” è, in questo romanzo, ciò che mostra la grandezza di Dio, che tutto può fare, nella sua riconosciuta e assoluta incomprensibilità. Tre tipi di mostri mette al mondo la perfetta creatrice di mostri Maria Garza: il mostro che deve essere abbattuto (il bandito Joey); il mostro che deve essere sopportato (l’idiota Rafael, simpatico a tutti nella sua perfetta ebetudine); il mostro che può essere parzialmente recuperato (il cieco Teresa, che Woodrow Call vuole mandare, infine, a proprie spese, in una scuola per ciechi, ora che tali istituzioni sembrano essere disponibili) da parte della “razza bianca”, che si riconosce ormai operante in quanto ideologia del compromesso. Woodrow Call, che in questa opera, inevitabilmente sbilenca, rappresenta la razza bianca, sarà vittima del primo mostro (Joey Garza), mentre ignorerà il secondo mostro (l’idiota Rafael), ma si farà carico del terzo mostro, il mostro cieco Teresa, permettendo a quel mostro, probabilmente, una vita dignitosa, molto meglio di quanto la propria origine di razza non avrebbe permesso. È questa genealogia di mostri che mostra che la stirpe dei mostri è ciò che deve infine essere considerata come vicinanza, al fine di essere accettata – in base al principio che il mostro non è il mostro che deve essere allontanato. Il meccanismo di Laredo accentua quello già presente in Lonesome Dove. Questo meccanismo è ciò che ha sempre mostrato il meccanismo dell’Eneide, probabilmente la prima opera della vicinanza. La perfetta creatrice di mostri Maria Garza è colei che mette al mondo Joey Garza, ma è anche colei che, ad un certo punto, quando si è resa conto che il mostro Joey Garza voleva togliere la vita alle altre due specie di mostri cui ella aveva dato vita (il mostro Rafael e il mostro Teresa), lo colpisce con un coltello e viene a sua volta colpita a morte da lui. Questo conferma il ruolo della Casa-rifugio, Clara favorisce il matrimonio di Lorena con Pea Eye, come si viene a sapere in Le strade di Laredo, spingendo Lorena a prendere l’iniziativa: «– Guarda che dovrai farti avanti tu con Pea Eye, – disse Clara. – Lui non ha la minima idea che lo vuoi. Secondo me non gli è mai passato per la testa, di poter aspirare a una bellezza come te.» (p. 23); Clara muore alla fine di Le strade di Laredo. Ingenuamente, Lorena considera la possibilità che anche uno dei suoi figli possa diventare un mostro. Maria ha messo al mondo un mostro (in realtà ne ha messi al mondo tre, ma Lorena, nella sua ingenuità, non se ne accorge, perché, come “mostro”, considera solo il primo tipo di mostro, cioè il mostro come sinonimo di “cattiveria”, non il mostro come sinonimo di “meraviglia”): «Che pena tremenda, avere un figlio traviato, non riuscire a riportarlo sulla retta via né sapere perché era diventato così. Si chiese [Lorena] come avrebbe potuto vivere se uno dei suoi figli fosse arrivato a odiarla come Joey sembrava odiare Maria.» (Le strade di Laredo, p. 417). Ma la creazione di mostri è proprio ciò che caratterizza il meticciato e ciò che la razza bianca deve pensare a proposito del meticciato, cioè a proposito del mondo che comprende anche il meticciato, al fine di allontanarlo, anziché di farsi carico della sua vicinanza. Pensare questa differenza è una conseguenza del pensiero della distanza, che separa una razza, mentre pensare la eventualità è una possibilità del pensiero della vicinanza.

Il Mostro (Digressione). Per mostro si intende qui l’essere straordinario la cui presenza è la manifestazione di un aspetto ambiguo della potenza divina. Abbiamo tre potenze estreme che manifestano la potenza divina, fra loro in aperto contrasto: potenza di Dio come violenza assoluta (il criminale Joey); potenza di Dio come silenzio assoluto (l’idiota Rafael); potenza di Dio come enigma assoluto (Teresa vagolante nella sua cecità verso l’altruismo). I tre figli-mostro di Maria Garza funzionano pure come la manifestazione assoluta del Male (Joey), dell’Indifferenza (Rafael), del Bene (Teresa).

Il mito I meticci messicani, quando sanno che il ranger Woodrow Call è presente nel luogo dove ha la sua tana il meticcio messicano Maria Garza, raggiungono il luogo del meticcio messicano Maria Garza per sputare addosso al ranger di “razza bianca” Woodrow Call, che molti banditi messicani ha impiccato, in quanto ladri di cavalli, lì ora casualmente presente. Ma questa cosa, che richiama il passaggio di alcuni meticci messicani, che non contano nulla, richiama comunque la mitologia della razza bianca, che è il mito della creazione della bevanda che permette la contaminazione delle razze – che adesso è la soluzione Eneide. Cioè la contaminazione estrema del mito con l’intervento del meticciato latino. Questo perché un meticcio non crea niente, e quello che un meticcio può fare è solo quello che un meticcio può fare facendo ciò che ha racimolato qua e là rubacchiando – alla razza bianca.

Presenza indiana (Famous Shoes, Ben Lily). La presenza indiana è ciò che si incontra percorrendo la terra. Meridiano di sangue (1985) di Cormac McCarthy presenta il principio della presenza indiana come presenza che la banda di Glanton deve sopprimere quando la incontra, girando a vuoto nel territorio dove è ancora possibile avere a che fare con la presenza indiana, cioè con i rimasugli della presenza indiana, vale a dire di ciò che aveva occupato la terra, prima che l’intervento della razza bianca ponesse la questione della presa della terra. La razza bianca pone sempre la questione della “presa della terra” perché è l’unica razza che può porre la domanda della terra e la questione dell’abitare la terra. Mentre il meticciato occupa solo la terra, oppure scorre la terra – ma il fatto di occupare la terra, oppure di scorrerla, non pone la questione filosofica dell’abitare la terra.

Il principio della vicinanza. Si può parlare di un principio della vicinanza perché non c’è più un principio della distanza fra le cose del mondo. Ogni cosa è diventata vicina all’altra. Così noi vediamo che la narrazione può scorrere dal cacciatore di taglie di razza bianca Woodrow Call al meticcio messicano e bandito Joey Garza, e poi al meticcio indiano Mox Mox, perché tutti questi tre esseri sono uniti a partire da uno stesso principio, che non è più il principio della distanza – ma è invece il principio della vicinanza di tutti gli esseri umani fra loro (principio che ha in sé la sua fallacia, così come l’arte del romanzo ha qui la sua fallacia in quanto arte del romanzo). Che cosa comporta l’arte della vicinanza? Il fatto che Joey Garza riconosca la propria origine di razza come razza che deve essere disprezzata, ed infine eliminata, in vista di un progetto globale di eliminazione del meticciato, cosa che egli, nel corso della propria carriera criminale, ha sempre fatto, disprezzando la madre, pensando di togliere la vita ai propri fratelli minorati e infine colpendo la madre a morte, quando ella voleva impedire l’uccisione degli altri due mostri. Dare voce al meticciato è permettere al meticciato di esprimere, in un modo o nell’altro, qualunque sia la forma scelta, l’odio verso la propria razza, che è antirazza – che è il punto più alto che il meticciato possa raggiungere.

Le carcasse del meticciato La carcassa di Joey Garza è trasportata lungo lo squallido villaggio messicano di Ojinaba da alcuni meticci messicani, che volevano appropriarsi la gloria di avere posto fine alla carriera di bandito del meticcio messicano Joey Garza. Il meticcio è antirazza, non si riconosce come razza. Alla base di ogni meticcio c’è Calandrino, personaggio-Pierino mirabilmente rappresentato dal meticcio italiano Giovanni Boccaccio nella sua fiction-panettone intitolata Decameron. Il meticciato messicano, come ogni forma di meticciato, deve sempre tendere alla autosoppressione.

Macchine per uccidere (Esempi di macchine per uccidere: Woodrow Call, Joey Garza, John Wesley Hardin, Mox Mox; in Lonesome Dove sono invece i fratelli Suggs a occupare questa posizione). In Meridiano di sangue la macchina per uccidere è presentata dalla banda di Glanton, che, ipnoticamente, gira il paese alla ricerca di indiani da uccidere (presenza indiana), essendo pagati un tanto a scalpo di indiano presentato, cioè di indiano fatto fuori.

La Macchina per uccidere Gus McCrae e Woodrow Call sono colpiti in modo irreversibile ad una gamba. Gus McCrae sceglie di morire e di non chiedere la vendetta sui meticci indiani che lo hanno condannato a morte. Quando, in Lonesome Dove, Call chiede a Gus se vuole che uccidano gli indiani responsabili della sua morte, Gus risponde. «– Oh no, Woodrow. Abbiamo vinto più del dovuto con gli indiani. Non ci hanno invitato qui, sai. Non c’è bisogno di essere vendicativi. Non ci provare, o ti rovino l’appetito [Call sta mangiando].» (Lonesome Dove, pp. 862-63). Questa è una risposta che nasconde il pensare per razze. Pensare per razze vuole dire andare oltre gli individui. Call sceglie di continuare a vivere, sceglie l’amputazione per poter continuare a uccidere, a uccidere il meticciato, a uccidere “il ragazzo messicano” – cioè il giovane meticciato messicano, perché il tempo del meticciato era allora ancora un tempo tutto nuovo: «Lorena si sentì disgustata. Quell’uomo [Woodrow Call] era più morto che vivo, forse sarebbe morto tra meno di un giorno, o meno di un’ora. Bisbigliava appena, aveva un braccio distrutto e una pallottola nel petto che lo faceva respirare come se russasse. Eppure voleva ancora uccidere. La compassione che aveva provato per la sua sofferenza svanì. Non tutta, ma quasi.» (Le strade di Laredo, pp. 346-47). Ma anche Call non pensa per razze. Un meticcio indiano, un meticcio messicano, un meticcio italiano, un meticcio slavo è sempre la stessa cosa sporca: è meticciato che deve essere tolto dal mondo, costi quel che costi, ad ogni costo perché è una cosa sporca che occupa il mondo, ogni forma di meticciato è vita indegna di vivere. Rappresentare la necessità di togliere la vita al meticciato, sia un meticcio indiano, sia un meticcio messicano, sia un meticcio italiano, sia un meticcio slavo, è l’impresa che la nuova epica, l’epica della distanza, deve celebrare nel nuovo racconto, che sarà allora il nuovo dire della razza. Call è la Macchina per uccidere. Mentre Joey Garza, Mox Mox e John Wesley Hardin sono il risultato di scelte compiutamente formulate da parte di degenerati, che scelgono di rappresentare la degenerazione della razza. Il problema di uccidere si pone solo da parte della razza che si pone il problema di rendere abitabile la terra. Non si pone dalla parte della antirazza, che invece si accontenta di scorrere la terra, oppure di occupare la terra. Questo perché il meticciato non abita la terra, ma occupa la terra, oppure scorre la terra.

Soluzione Eneide I meticci messicani di Ojinaga vanno nella casa del meticcio messicano Maria Garza per sputare su Woodrow Call nel momento in cui egli non può rispondere agli insulti. Ricordare che che Joey Garza ha visto Woodrow Call nella tana della madre, ma Woodrow Call non aveva la forza di prendere la pistola e ucciderlo. Ma proprio nella casa messicana del messicano Maria avviene la soluzione Eneide, cioè la fusione della razza bianca con l’antirazza e l’antipopolo (che qui è rappresentato dal messicano e dall’indiano). L’essere del meticcio è ciò che porta il meticcio a essere quel meticcio che è sempre stato. La soluzione Eneide pone la questione di ciò che porta la “razza bianca” ad accettare il meticcio Teresa, e i personaggi di “razza bianca” Lorena, Pea Eye, Charles Goodnight, a celebrare i funerali delle due cose messicane, la cosa Maria e il suo figlio mostro 1 Joey (il primo tipo dei tre tipi di forme mostruose che Maria Garza ha messo al mondo), e, prima ancora, Charles Goodnight a seppellire le carcasse dei meticci messicani e dei meticci indiani che facevano parte della banda di Mox Mox e la carcassa dello stesso Mox Mox, quando egli ha trovato quelle diverse carcasse. Questi seppellimenti costituiscono il disconoscimento della terra, cioè l’atto di violentare la terra, consistente nel che conficcare, a forza, dentro la terra, le carcasse di ciò che invece dovevano essere espulse dalla terra, affinché la terra torni ad essere quello che è sempre stata: la Terra della razza bianca. Che noi non riconosciamo più ciò che deve essere scacciato dalla terra, ma vediamo la fratellanza di ciò che giace sulla superficie della terra, dipende dal fatto che non crediamo più nel potere della terra di chiamare il suo abitante. Ma il meticciato è sempre ciò che si determina come ciò che deve essere espulso dalla terra. La dilogia di Larry McMurtry ribadisce una soluzione del tipo Eneide. Questo perché noi non abbiamo ancora un’epica della razza – mentre abbiamo, nella migliore delle ipotesi, il vecchio romanzo che informa sulle razze che si trovano a scorrere, occupare o abitare la terra. E abbiamo, quasi me ne dimenticavo, un mondo che è stato impestato dal meticciato più disgustoso fra tutti – cioè dal meticciato italiano (perché là dove il meticcio italiano non c’è, il meticcio italiano c’è), questo è ciò che deve guidare ogni lettura dei romanzi dell’Origine. La storia, la saga, è degenerata a racconto di tutti quanti indiscriminatamente presenti in un certo territorio, in un dato periodo di tempo (messicani, ranger, scout; non ci sono più gli indiani perché gli indiani sono stati sconfitti): se il genocidio non è stato possibile, è stato possibile la visione futura di un modo diverso di abitare la terra – nella filosofia di Nietzsche.

La Casa-rifugio La Casa-rifugio di Lorena e Pea Eye in Le strade di Laredo funziona come la Casa-rifugio di Clara Allen in Lonesome Dove, limitando la funzione di rifugio per Woodrow Call e per il Mostro 2 e il Mostro 3. Woodrow Call avrà solo la morte come uscita dalla Casa-rifugio, mentre il Mostro 2 e il Mostro 3 avranno un’uscita parziale.

Avviso per i Lettori Chiunque abbia letto i due romanzi della dilogia di Larry McMurtry deve avere sempre presente che il meticcio indiano Cherokee Jimmy Cumsa è l’unico personaggio della banda del meticcio indiano Mox Mox ad averla fatta franca e riconosciuto, da tutti i personaggi del romanzo, come il meticcio più pericoloso di tutta quella banda di meticci. Il meticcio indiano Cherokee Jimmy Cumsa era conosciuto col soprannome di “Jimmy lo Svelto”, perché lo si trovava sempre pronto a colpire alle spalle. Persino il meticcio indiano Mox Mox aveva paura del meticcio indiano Cherokee Jimmy Cumsa e della sua abilità di comparire sempre alle spalle «Mox Mox seguiva sempre i meccanismi fra i suoi uomini, durante uno scontro. A sei di loro riusciva a star dietro [la banda in questione era composta da sette meticci], ma Jimmy Cumsa – Jimmy lo Svelto – era così lesto che Mox Mox non riusciva mai ad anticiparne le mosse. Un minuto prima se lo vedeva davanti e quello dopo se lo ritrovava alle spalle.» (p. 212). Adesso, guardarsi le spalle dal meticcio indiano Cherokee Jimmy Cumsa è solo questione che riguarda il lettore che, forse incautamente, senza sapere a che cosa andava incontro, ha letto i due romanzi di Larry McMurtry, Lonesome Dove e Le strade di Laredo, – infatti non credo che un rappresentante dell’editore potrebbe rispondere ai danni eventualmente lamentati da parte di un lettore che, sentendosi danneggiato dalla presenza del maledetto meticcio indiano Cherokee alle sue spalle, dopo la lettura del romanzo, potrebbe fare presente all’editore (nel senso di chiedere all’editore di risolvere, in un modo o nell’altro, la presenza del meticcio indiano Cherokee Jimmy Cumsa); per come vanno le cose nelle questioni di razza e di antirazza adesso, penso proprio di no: qualunque danno è, quasi certamente, a carico completo del lettore, che a questo punto può essere indicato come lettore incauto. Mentre il meticciato, si tratti di un meticcio messicano, indiano, slavo, italiano, è sempre ciò a cui deve essere tolta la vita.

 

Larry McMurtry, Le strade di Laredo, Einaudi, Torino 2018, traduzione di Margherita Emo e Cristiana Mennella

Larry McMurtry, Lonesome Dove, Einaudi, Torino 2017, traduzione di Margherita Emo

Skräpkonst

Ogni tanto è bene interrompere, questo perché l’interruzione ci permette di comprendere in che cosa consista “l’Interruzione” – quando noi non riusciamo ancora a sistemare la cosa che è l’interruzione in un suo luogo proprio, appunto come luogo soltanto di stucco e stacco tra cose che ci appesantiscono come può essere il compito assillante di dover fare qualcosa che meno che mai dà accesso a ciò che è la Cosa. È infatti importante comprendere la natura di ciò che costituisce l’interruzione, prima di ciò che costituisce la natura di ciò che viene interrotto. Così la skräpkonst potrebbe essere lo spiraglio giusto per individuare questo luogo lungo l’attimo di sospensione: in che cosa consiste la skräpkonst? nella particolarità di certa street art (ritengo infatti che queste due forme d’arte possano essere accomunate) di creare manufatti artistici che si confondono con la normale immondizia, che si incontra in punti della città, come angoli delle strade, oppure parchi nei dintorni dove risulta stabilita la città. Niente, infatti, è più nascosto, tra le forme delle arti spontanee, come la skräpkonst. Noi avvertiamo il luogo che questa forma estrema di arte reclama, quando per caso la incontriamo, ma non siamo in grado di avvertirla ancora interamente come arte, appunto perché la confondiamo con ciò che è l’immondizia, ciò per cui non abbiamo occhio alcuno. Confondere ciò che non è arte con ciò che viene chiamato ad essere rilevato come arte è ciò che presenta il romanzo di Jünger Le api di vetro, che presenta la prima forma di skräpkonst – almeno che io sappia. Ma come si presenta, in questo romanzo, la skräpkonst? Nella forma, appunto, di “api di vetro”, cioè di quelle api che svolgono il normale lavoro delle api naturali, ma che il protagonista del romanzo, scorgendo quel movimento del tutto naturale delle api, capisce che non sono api vere, cioè forme naturali, ma api create a partire da un progetto che si vuole sostituire alla natura in nome della modernità, cioè “api di vetro” costruite in laboratorio, ma che non ha nulla a che vedere con la skräpkonst. Le api non sono spazzatura, ma da qui alla riproduzione “artistica” della spazzatura il passo è breve – e lo spasso anche, come mostra l’episodio del romanzo di Jünger, che consiglio di leggere, essendo esso, di suo, spassosissimo (i riferimenti alla fine del post). La successiva, non pubblicizzata, skräpkonst, secondo me debitrice al romanzo di Jünger, eleva a livello artistico la spazzatura, così come, in un certo modo, le api di vetro superavano le api naturali nel romanzo di Jünger, presentando la spazzatura come oggetto dove è possibile incontrarla, ma che non è il rifiuto di uno o più processi, ma un oggetto autenticamente pensato per essere classificato come spazzatura, che però non esclude che l’oggetto artistico che ci troviamo davanti sia autenticamente, e trionfalmente, spazzatura (= immondizia) a tutti gli effetti (mi capite?). Il problema è: che cosa distingue la spazzatura da un oggetto d’arte che simula la spazzatura (ciò che appunto determina così come crea la Skräpkonst)? Nel momento in cui vediamo accanto ad una panchina, in un parco cittadino, un sacchetto di patatine vuoto e una lattina di birra abbandonati lì accanto, oppure, in un gita “fuori porta”, i rimasugli di un picnic, non sappiamo se ci troviamo di fronte a semplice spazzatura abbandonata da persone qualunque, oppure all’opera di un artista (skräpkonstnär) che ha creato quel particolare oggetto d’arte per collocarlo infine, di nascosto, nello spazio ad esso più adeguato – cioè il luogo che più attiene all’immondizia che non è stata recuperata alla questione del ritiro della spazzatura, e nemmeno alla raccolta indifferenziata, quindi nel pieno rispetto di un ordine, essendo egli un componente della skräpkonst. Il fatto è che la skräpkonst consta di immagini, in questo caso di immagini di immondizia vera quanto varia, senza essere in alcun modo immondizia; è per questa ragione che, essa, a pieno diritto, appartiene alla civiltà dello spettacolo, perché spettacolo, cioè immagini colte al volo in movimento, che può raggiungere il suo pieno effetto nel movimento, che è illusione del movimento – e non dimentichiamo che, nelle Api di vetro, il creatore delle medesime api di vetro è pure il titolare di una imponente vittoriosa casa di produzione cinematografica. Ma ciò che caratterizza questo rimasuglio come opera d’arte è il fatto che non avrebbe senso quello spazio intorno, così come non avrebbe senso la sua presenza in un bidone della spazzatura – tra la spazzatura. Niente è infatti più fuori posto per quell’oggetto artistico “lattina di birra” inserito nel bidone Plastica/Metallo per la raccolta differenziata, anche se nessun particolare distingue l’oggetto artistico “Lattina di birra” dalla lattina di birra vuota che non è che semplice spazzatura – la spazzatura “non è che” spazzatura, mentre l’oggetto d’arte classificato come skräpkonst, è spazzatura, che non è spazzatura a tutti gli effetti, consistendo esso in spazzatura che non è spazzatura (perché è oggetto d’arte che è però tutt’uno con la più autentica spazzatura) ma che dice di essere spazzatura. L’autentica spazzatura è ciò che non chiede di essere riconosciuta come tale, poiché richiede solo di essere sistemata nel luogo ad essa più adatto per lo smaltimento; la spazzatura come oggetto d’arte (skräpkonst), è ciò che richiede lo sguardo che lo riconosce come tale per essere disposto nel luogo ad esso più consono – che non è il museo ma è il luogo aperto che, a partire da quel reperto isolato di Skräpkonst, diventa un luogo che non è un museo così come un museo che non è un luogo. Questo deve essere chiaro, perché qui sta la differenza: l’opera d’arte che simula la spazzatura non è destinata al contenitore della spazzatura, ma a ciò che non contraddistingue la spazzatura per sua natura, cioè l’abbandono in un luogo che non consente la raccolta della spazzatura; così come a determinare la differenza è la destinazione d’uso: il pacchetto di patatine e la lattina di birra, gettate infine sul terreno vicino alla panchina, prevedono l’utilizzo di un vero pacchetto di patatine, che prima di essere svuotato era stato un sacchetto di patatine pieno, che chiunque poteva acquistare e consumare, per poi smaltire adeguatamente come rifiuto o abbandonare selvaggiamente nella natura e la stessa cosa vale per la lattina di birra – così come per i rimasugli del picnic nel prato “fuori porta”. Quindi questa forma d’arte è comunque “fuori luogo”, perché non rinnega la propria forma, quanto un luogo in cui essa possa essere raccolta. Allora di che cosa si tratta? Di una cosa che traccia difforme traiettoria, che noi, ancora, non possiamo far affiorare a tutti gli effetti. Nel caso dell’opera d’arte nessuna destinazione d’uso ha creato l’usabilità di quei diversi prodotti, che, una volta, consumati, si sono trasformati in rifiuti, mentre nel caso della skräpkonst essi sono sempre stati opera d’arte, accettata o no, perché solo come opera d’arte quelle cose sono nate, così come, se fossero stati depositati nei relativi contenitori per la raccolta differenziata dei rifiuti, sarebbero stati comunque abbandonati fuori luogo; l’opera d’arte è creata in tutti i suoi aspetti in quanto “rifiuto” (l’unto sul sacchetto, il residuo di birra nell’interno della lattina), che non prevede smaltimento alcuno, bensì un abbandono in luoghi deputati per mai accogliere la spazzatura, perché spazio che si fa luogo dove la spazzatura non deve essere abbandonata. Allora la nozione di “spazzatura” si confonde con quella di “rovina”, cioè di oggetto che viene prodotto non in base alla sua piena conformità di oggetto pienamente utilizzabile in quanto cibo o bevanda, ma in quanto forma di rimasuglio (accontentatevi anche qui, come nel caso di Jünger, dei riferimenti alla fine del post, vedetevela poi tra voi): così quel sacchetto di patatine non è mai stato pieno di patatine da mangiare e quella lattina di birra non è mai stata piena di birra da bere; nessuno ha mai consumato quei prodotti per abbandonarli infine dove qualcuno li avrebbe furtivamente consumati, ma l’artista li ha prodotti come oggetti d’arte esistenti con quella specifica modalità (cioè come rifiuti, rovine di qualcosache pure, a quel punto, non sono rifiuti, tantomeno rovine) e in quanto tali, cioè rifiuti che non sono rifiuti/rovine, li ha collocati nello spazio (paradossalmente ormai orma museale – che però non può mai essere condotta in alcun museo) ad essi più consoni, che richiama il pensiero a ciò che è l’incongruenza del “museo”, perché se la skräpkonst sembra non consistere nella natura è proprio ciò che esiste in essa, perché è la natura ciò che chiama la skräpkonst e che è in grado di renderla tale. Il fatto che questa “spazzatura” non possa presentarsi come rovina, rimanda a ciò che manca a ciò che è il mondo in grado di produrre rovine così come spazzatura. In fondo quello che la skräpkonst sembra volerci ricordare, attraverso la sua cerimoniosa, di una quasi hölderliniana modestia, è che noi, forse per la prima volta nella nostra storia, ci riconosciamo come non essere in grado di produrre autentica spazzatura. E non è, questa, in fondo, la condanna che aspetta alla nostra appena modesta modernità, non essendo noi veramente moderni, se un attimo appena ci si pensa? – eppure, rimango dell’idea che questa cosa, cioè questa spazzatura che non è spazzatura, è tutta ormai tra noi, perché è giusto sia così. Ma questa cosa che si fa spazzatura, pur non essendo spazzatura a tutti gli effetti, ma che non può essere in alcun modo distinta dalla vera spazzatura, di cui ho difficoltà a parlare, non vi richiama qualcosa alla mente? È per questo che penso che ogni tanto faccia bene “interrompere”.

 


Ernst Jünger, Le api di vetro, traduzione di Henry Furst, Guanda, Milano 2020
Johann Chapoutot, Il nazismo e l’antichità, traduzione di Valeria Zini, Einaudi, Torino 2017

ROSSINI

Poche volte ascolto “musica” di Rossini, perché è un ticchettio che ha il potere di infastidirmi; quindi mi capita di ascoltare “musica” di Rossini, solo per caso; ma quando, per caso, mi capita di ascoltare “musica” di Rossini, mi chiedo sempre: “Che cosa vuole, questo bastardo di italiano, con la sua musica?”; Rossini è allora la certezza di una risposta – vale a dire: Che cosa vuole, questo bastardo di italiano di Rossini, con quella sua andatura di passetti su delicate zampette da insetto, che cricchiano e crocchiano, che si fa via via sempre più veloce, con quelle sue mezze occhiate, quei suoi ammiccamenti, quel parlottio mezzo fra sé e mezzo con chissà chi, con quelle mezze frasi e quarti di parole, con quella sua arte di gesticolare per farsi capire da chi non comprende la lingua, ma che sa sempre di minacce; che cosa vuole, insomma, questo bastardo di italiano, con tutta la sua misera chincaglieria che squaderna con cura da una sporta lercia tenuta a tracolla bisunta lungo tutti i suoi vagabondaggi? che cosa vuole, questo bastardo di italiano? torno a ripetere, con quel modo di fare “musica”, che è tutto soltanto suo, ma che tutto è fuorché musica; certo non vuole, quel bastardo di italiano, qualcosa attinente alla musica, perché questa cosa, che è solo cosa fatta da lui, non ha nulla a che fare con la musica… per cui, per farla breve, torno sempre a chiedermi: “Che cosa vuole, questo bastardo di italiano?”, che cosa vuole questo bastardo di italiano eterno? e a volte provo anche a rispondermi: vuole la musica di Šostakovič? ma ogni risposta rimanda sempre a tante altre domande: era riuscito, quel bastardo di italiano di Rossini, pure così tanto povero di genio, a prevedere la musica di Šostakovič, con un salto indubbiamente geniale su quelle zampette pericolanti di insetto? finché poi non smetto di farmi domande del tutto, e smetto di ascoltare la musica di ROSSINI, che per caso mi era capitato di ascoltare, perché io non ascolto mai “musica” di Rossini per mia volontà, ma allora la musica di quel bastardo italiano di ROSSINI torna a infastidirmi più che mai, con quel suo fastidioso chiassettio & chiacchiericcio di archetti che sbattono sempre sul vuoto, ma schioccano sempre come rumore da qualche parte, come la formichetta nelle orecchie del sognatore di Finnegans Wake – per cui torno sempre a domandarmi: che cosa vuole, questo bastardo di italiano, che non ho modo di tenere lontano in nessun modo? – e non ho pace, perché è giusto sia così, ormai; Dio stramaledica l’Italia! Sempre la stramaledica!

Michael Punke, Il crinale – Recensione

Fantasia quasi una Recensione

 

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Considerando la possibilità che abbiamo di partire dal romanzo storico sviluppatosi in terra d’Europa, forse nient’altro quanto le guerre indiane, combattute in territorio d’America, dimostrano come, per ciò che riguarda la necessità di considerare le fonti a favore di una risalita all’origine, l’America sia qualcosa di europeo – e quanto allora il romanzo storico Il crinale (2021) dello scrittore americano Michael Punk, sia qualcosa riguardante il tema europeo dell’origine e del romanzo storico, per quanto un romanzo riguardante il tema dell’origine non implichi qualcosa riguardante l’origine quanto il richiamo a qualcosa che l’Europa deve portare a conclusione, in quanto cosa che ha avuto origine in Europa.

Questo almeno a livello di ciò con cui il pensiero è stato chiamato a fare i conti: da configurare come obbligo alla sopportazione della degenerazione e del meticciato, di ciò che si può identificare come “meticcio” nei confronti con ciò che si presenta come altro; infatti la storia è proprio quella pezza in cui la razza bianca è stata invischiata quando “storia” è il pezzo identificato come ciò che sembra mancare all’America. Cosa distingue allora il meticciato? L’onda che dalla terra coinvolge coloro che, in un certo periodo di tempo, hanno l’occasione di stare in quella terra, in quanto ciò che abita quella terra, o in quanto ciò che occupa o scorre quella terra.

Così viene in mente quello che Michel Houellebecq ha scritto a proposito di Lovecraft: «Lovecraft risale qui a una fonte fantastica molto antica: il Male come prodotto di un’unione carnale contronatura. Idea che si integra perfettamente al suo razzismo ossessivo: come per tutti i razzisti, per lui l’abominio è nel meticciato più che in qualsiasi altra razza.» (p. 63); per questo in Lovecraft lo sguardo sul meticciato è ciò che porta allo sguardo all’indietro, che è ciò che porta alla consapevolezza della propria origine meticcia; ma ciò che porta a guardare indietro è ciò che rivela l’origine meticcia da parte di colui che aveva relegato il meticciato nel recinto di uno sguardo, mentre il meticciato sembra qui determinarsi come la biforcazione che si apre per coloro che sono chiamati ad avere a che fare con la terra, la cosa che pone il dilemma della storia come ciò che può essere considerata attraverso la polifonia dell’insieme dei punti di vista – è cioè la grammatica del senso della possibilità che sta a fianco del senso di realtà. I due esploratori che si incontrano durante la lettura del Crinale, Jim Bridger e James Beckwourth, avevano preso moglie all’interno di tribù indiane.

Miguel Serrano non indica un modo di agire da parte di coloro che abitano la terra, quanto un modo di rispondere da parte della terra su coloro che abitano la terra oppure si trovano ad occuparla: «La terra è un essere vivo, animato; ogni zona ha il suo proprio magnetismo e le sue proprie vibrazioni, attraverso cui essa agisce sugli esseri che l’abitano, modificandoli, trasformandoli.» (p. 85). Da qui il significato dell’abitare, per cui è possibile parlare dei monumenti megalitici come di un sistema di agopuntura della terra; e Lovecraft presenta un modo di rispondere della terra su coloro che la occupano, in quanto banda di degenerati o in quanto forme isolate di ciò che in vari punti può abitare la terra. Sono modi di agire che si trovano perfettamente sintetizzati da Renzo Giorgetti: «Ma, se sono i popoli a dare vita alle patrie, non è detto che queste ultime nascano per caso o in qualunque luogo della Terra. Ogni luogo a sua volta forma i suoi abitanti e in una certa misura li sceglie, rendendo più agevole o difficile la sopravvivenza su di esso, ponendosi essa stessa in risonanza con determinati tipi umani, piuttosto che altri.» (p. 212).

Nello stesso modo la guerra può essere vista come guerra realistica, cioè come cronaca di battaglie che si sono svolte in un arco di tempo che pone esseri umani da una parte all’altra di un fronte; oppure come guerra mitica che pone esseri divini contro esseri demoniaci.

Come tante altre guerre, le guerre indiane possono essere viste come una forma completamente rovesciata della Battaglia di Arminio, se considerate dal punto di vista del mito: l’esercito invasore può non essere l’esercito di meticci posto in piedi da Roma per invadere la Germania; la comunità aggredita può non essere un popolo di razza bianca; la terra può non essere la terra che è stata presa, – ma il tratto costante di queste guerre è la presenza del meticciato; ora confitto in un punto della terra quale ago, ora in un altro come punto in una serie, ma il meticciato è sempre quella cosa che deve essere distrutto, sia l’esercito di Roma o siano le bande urlanti dei nativi americani. Non può esserci terra dove c’è la presenza del meticciato, perché il meticcio è ciò che sporca, annulla, violenta la terra. Questo perché la violenza del meticcio sulla terra è ciò che comporta la manifestazione della sua stessa forma sulla terra.

La tecnica delle due battaglie è la stessa: nel Crinale, su consiglio del meticcio indiano Nuvola Rossa, Cavallo Pazzo studia con attenzione il nemico dall’alto di un crinale, come prima di lui aveva fatto Arminio di propria scelta, nel tempo in cui era stato portato a Roma, in modo da trovare il punto debole del nemico – e poter sferrare, in quel punto stabilito come serie matematica di punti lungo un territorio, l’attacco decisivo. Entrambi, cioè il guerriero di razza bianca Arminio e il meticcio indiano Cavallo Pazzo, sanno di dover affrontare un esercito nemico gigantesco, disponendo di forze minime. Cavallo Pazzo avrà dalla sua la pura quantità, la pesantezza di duemila meticci indiani che potevano facilmente opporsi a un centinaio di soldati di razza bianca; Arminio/Hermaðr, l’uomo della schiera, la sola pesantezza del mito che giunge fino alla possibilità di queste note.

Perché, nel 2021, si è avvertita la necessità di costruire un romanzo che porta a celebrare la vittoria del nemico di razza in una battaglia avvenuta in America nel 1866? Nel tempo in cui non si vedono più le razze, non si ha più occhio per ciò che si vedeva appena a stento allora, prima di quel punto. È un fatto che la vittoria indiana sia offuscata dallo sguardo storico che l’autore applica nella composizione del romanzo, che si evince dalla malinconica certezza che i suoi indiani hanno in quanto cosa destinata a perdere la guerra; e dalla consapevolezza che quella terra non sarà mai più la terra che quelle cose avevano conosciuto come “terra”; ma la vittoria dei bianchi è qualcosa che, a malapena, riguarda la consapevolezza della razza bianca – eppure proprio questa malinconica consapevolezza è ciò che viene presentata come consapevolezza della razza bianca.

Questo mentre gli indiani sono proprio quella cosa che non pensa; così il romanzo Il crinale regala, con un perfetto gioco di prestigio, offerto dalla formula del “romanzo storico”, agli indiani la facoltà di abbozzare l’atto di pensare – che sarà allora il non pensiero della razza bianca.

Questo regalo che suona come bluff è ciò che mostra la debolezza del pensiero che sta alla base del romanzo storico, che riguarda entrambe le parti in lotta. L’indiano acquisisce un pensiero che non aveva mai avuto; la persona di razza bianca è piegata a pensare quello che potrebbe avere pensato il meticciato – se quella cosa che è il meticciato fosse stato appena luogo di un pensiero (pensiero che sarebbe stato comunque, come questo romanzo storico dimostra, il pensiero della razza bianca).

La vittoria indiana è offuscata, da parte del meticciato indiano, dalla malinconica certezza che gli indiani sono la cosa destinata a perdere miseramente la guerra – e a scomparire dalla terra d’America, che comunque non è mai stata la loro terra; e dalla consapevolezza che, anche dopo quella vittoria, quella terra non sarà mai più la terra che quell’insieme di cose aveva permesso di conoscere; ma la vittoria dei bianchi è qualcosa che, a malapena, riguarda la consapevolezza della razza bianca. La vittoria dei bianchi è infatti ciò che manterrà in vita il meticciato indiano e darà la possibilità al meticciato indiano di invadere il pensiero della razza bianca; così come solo un’appendice meticcia della razza bianca aveva invaso la terra occupata allora dal meticciato indiano.

Partendo dalla differenza fra genocidio ed etnocidio, è proprio la polifonia di Bachtin, che deve essere richiamata, meno che mai permettendo essa la composizione di un romanzo storico.

Bisogna riconoscere il merito a Lovecraft di considerare la terra come ciò che guida ciò che occupa la terra – o si trova nella posizione di colui che abita la terra che è stata occupata, soltanto per mostrarla come la Cosa in grado di adeguare un comportamento nei confronti di ciò che si trova su quel tratto di terra, sia in posizione di colui che occupa la terra, o – all’opposto – in posizione di colui che abita la terra.

Parlare di guerra mitica, dopo che il mito ha ceduto il passo al romanzo, è la cosa più contraddittoria che un romanzo possa porsi a plasmare, perché deve parlare di ciò che è, essendo la cosa che non è, parlando di battaglie che sono state battaglie eroiche proprio perché hanno infranto lo schema di ciò che può essere definito eroico, e poi di uomini che sono umani in quanto sono proprio ciò che sono in quanto meno che mai sono esseri umani; come si è detto, deve parlare di ciò che è in quanto ciò che è proprio in quanto non è ciò che è.

Così noi ora possiamo dire che il massacro di Wounded Knee è stato un atto eroico perché qualunque soppressione del meticciato, per quanto isolato in un canto della storia esso sia stato poi posto, suona come atto di eroismo. Ma se abbiamo canzoni che denunciano il massacro di Wounded Knee in quanto puro massacro che niente ha di eroico, non abbiamo canzoni che denunciano il massacro di Fetterman – che è l’episodio centrale su cui il romanzo storico Il crinale di Michael Punke è fondato, e che pure, in quanto episodio puro, ha diversi tratti in comune con il massacro di Wounded Knee. Fermo restando le due diverse mentalità che hanno progettato lo stesso schema di massacro – fermo restando che il romanzo storico Il crinale, nel momento in cui considera l’episodio storico del massacro di Fetterman”, compiuto dai meticci indiani di Cavallo Pazzo e di Nuvola Rossa, non mostra alcuno sdegno per la modalità di quel massacro, come se in quel caso si dovesse provare vergogna a manifestare sdegno, in rapporto ad una origine – che non viene mai indagata; il meticcio è sempre l’essere più disgustoso con cui capiti di avere a che fare, sia che si tratti di un meticcio indiano, sia che si tratti di un meticcio italiano come il meticcio italiano Fabrizio De André, che in quel di Genova ha confezionato la piccola gradevole canzonetta Fiume Sand Creek.

Ma che cosa mostra la posizione di Michael Punke, se così considerata, all’interno della costrizione del romanzo storico, quando entrambi i massacri rimandano all’archetipo mitico della Battaglia di Arminio, che era essa stessa, per le proprie modalità, massacro anziché battaglia?

Vale la pena ricordare questa puntualizzazione di Nietzsche: «I due valori antitetici, “buono e cattivo”, “buono e malvagio” hanno sostenuto sulla terra una terribile lotta durata millenni; […] Il simbolo di questa lotta, espresso in caratteri che sono restati sino a oggi leggibili al di sopra di tutta la storia degli uomini è “Roma contro Giudea, Giudea contro Roma”; – non c’è stato fino a oggi alcun avvenimento più grande di questa lotta, di questa posizione del problema; di questa contraddizione pervasa d’inimicizia mortale. Roma sentì nell’ebreo qualcosa come la contronatura stessa, per così dire il suo monstrum antipodico; in Roma si considerava l’ebreo un provato colpevole di odio contro l’intero genere umano: a buon diritto, in quanto si ha un diritto di ricollegare la salvezza e l’avvenire del genere umano all’assoluta supremazia dei valori aristocratici, dei valori romani.» (Genealogia della morale, p. 250).

Allo stesso modo il nativo americano deve essere considerato, dopo la lettura di Nietzsche, un provato colpevole di odio contro l’intero genere umano, allora presente nel territorio d’America. Si rilegga il brano di Nietzsche sopra riportato sostituendo “Giudea-ebreo” con “il nativo americano” e “Roma-romano” con “la razza bianca”. La questione è la lotta della natura nei confronti della contronatura, per quanto i toponimi e le parti in lotta cambino, che è la piega della terra che chiama il suo abitante o manda via colui che non vuole accettare come suo abitante.

Lonesome Dove (1985) di Larry McMurtry coglie perfettamente, nell’arco di un dialogo, il gioco di pedine che pone in gioco indiani, civili, ranger, esercito: «– Donne e bambini e coloni sono solo carne da cannone per avvocati e banchieri. Fanno parte del quadro. Se gli indiani ne massacrano abbastanza, la gente grida allo scandalo e noi [ranger] diamo la caccia agli indiani. Se poi gli indiani tornano, interviene l’esercito e la caccia si inasprisce. Alla fine l’esercito sconfigge gli indiani e schiaffa i pochi rimasti in qualche riserva, così possono arrivare avvocati e banchieri e dare il via alla civiltà. Tutte le banche del Texas ci dovrebbero [a noi ranger] una commissione per il lavoro che abbiamo fatto. Senza di noi, tutti quei banchieri sarebbero ancora in Georgia a mangiare erbe selvatiche e cime di rapa.» (p. 84).

Un meticcio rimane un meticcio, che sia chiuso in una riserva oppure libero di massacrare gli invasori e di cacciare gli animali che ha trovato nella terra occupata dai suoi avi, che egli stesso occupa e che lascerà ai suoi figli come terra da occupare, oppure di celebrare la cultura della propria stirpe secondo modalità del pensiero propri degli invasori, questo mentre vediamo che adesso storia non è altro che cammino verso una legittimazione possibile del meticciato che, di volta in volta, si è posto in gioco; cammino sporco: Italian jobmi trovo costretto a dire io, scrivendo purtroppo, io, in italiano, italiano vero, cioè italiano sporco: il problema sono gli indiani, così come il problema sono gli zingari, così come il problema sono gli italiani, cioè l’altra “cultura”, ovvero l’Altro, che esiste solo in quanto sguardo verso un materiale autenticamente diverso, perché diverso di razza, come avviene attraverso lo sguardo all’interno di un museo, a partire dalla razza bianca, che, fra le altre cose, nel suo percorso di colonizzazione globale, si è presa la briga di creare puranche tanti musei.

Sostengo che questo discorso funzioni fra i personaggi del romanzo solo perché il discorso di razza fra le persone è ciò che è stato bandito – al di fuori dello spazio del romanzo.

La questione è che un meticcio è un meticcio, anche se nessun pensiero unico moderno giammai ciancia di meticciato. Che sia un indiano d’America, uno zingaro o un italiano, ciò che lo sguardo riconosce come “altro”, è ciò che una cultura ha l’obbligo di porre in un canto; ma il semplice sguardo di disprezzo è opera di conoscenza, cioè di vera cultura, se c’è stato vero disprezzo.

Come applicare la storicizzazione del nostro sguardo sul materiale che compone il romanzo storico Il crinale? Leggere un romanzo storico è qualcosa di simile a ciò che implica la visita di un museo – cioè l’attivazione di uno sguardo a partire dall’occhio, che non è fatto per guardare – questo vale per qualunque museo, così come per qualunque romanzo storico, sia un romanzo storico di Walter Scott, oppure quel gioiello in miniatura di romanzo storico che è La figlia del capitano di Puškin, o un romanzo storico, giustamente costruito nell’ottica in cui si costruiscono i musei moderni – quale è il romanzo storico Il crinale di Michael Punke.

A presentare ciò che potrebbe comportare la storicità del moderno romanzo storico è proprio ciò che fa fuori la possibilità del romanzo storico a partire dalla modernità, e cioè la terra (vale a dire offrendo alla terra la possibilità di dire qualcosa su chi ha diritto ad abitare la terra): consideriamo il modo in cui Jack London mostrava gli indiani come forme primitive dell’origine. Se ci poniamo il problema dell’origine, scopriamo che storia è solo un modo di porre in gioco parole (puri esseri primitivi, per ciò che riguarda gli indiani, se ricorriamo a Jack London; forma vivente della terra, se ricorriamo a Lovecraft, che mostrava la terra che era stata occupata dagli indiani come una terra per sempre impossibile da abitare per individui di razza bianca perché rovinata dalle onde che l’occupazione del meticciato indiano aveva inflitto alla terra). Abbiamo così una terra passiva a un insediamento quanto una terra estremamente sensibile a individui in grado di accogliere le vibrazioni che provengono dalla terra, che possono condurre individui predisposti al male a sviluppare progetti di sterminio dell’intera razza umana, quanto individui rivolti al bene a combattere il pieno sviluppo del meticciato quanto a scoprire la propria implicazione nella degenerazione della razza, che in un primo tempo sembrava essere la cosa da combattere. Ma la posizione nei confronti del meticciato è ciò che distingue la differenza tra bene e male, che a sua volta si determina a partire dalla scelta della posizione di razza. In nessuno di questi casi l’indiano era l’essere umano, proprio perché l’essere umano era la postazione che non poteva più essere difesa. Noi possiamo avere dei romanzi storici aggiornati alle ultime considerazioni della storia, ma non possiamo ancora avere il romanzo che dia voce alla terra così come non possiamo avere il romanzo che dia voce al linguaggio come ciò che determina l’agire degli esseri umani che da quel linguaggio traggono la propria verità, cioè il loro pervenire al linguaggio in quanto narrazione.

Parlare di un romanzo storico è parlare di qualcosa che implica la domanda: “fino a che punto il romanzo storico può riconoscere la storia?”, che implica il punto in cui la storia si manifesta all’interno di una serie. Guardiamo come la vicenda su cui è basato il romanzo storico Il crinale viene riportata in Mondi perduti di Aram Mattioli (pp. 205-6). Il romanzo storico si fa avanti quando i fatti possono chiamare dei personaggi, morti da tempo, che vengono rianimati solo per ripetere i gesti fondamentali in quel Locus Solus che diventa allora il romanzo storico alla presenza di un pubblico di invitati, che sono i lettori, e di un Canterel, che è l’autore, che ne spiega le motivazioni e si fa carico di ricrearne la meticolosa ambientazione, affinché lo spettacolo possa funzionare e i gesti avere il massimo della precisione.

Due parole quali “etnocidio” e “genocidio” rappresentano la situazione. La nozione di etnocidio intende la cultura come accessorio facilmente sostituibile negli individui che costituiscono una nazione; mentre la nozione di genocidio intende la cultura come elemento integrato a un dato gruppo etnico, continuamente riprodotto da ogni manifestazione di quel gruppo in vita, per cui, l’unica difesa, è la soppressione del gruppo portatore di quella cultura. La cultura è una forma di manifestazione vitale che però deve determinare. dall’altra parte, la possibilità di togliere la vita.

Qui si tratta di sviluppare l’orecchio per leggere – e non solo l’occhio per ascoltare un romanzo storico. Se il pensiero è pensiero storico, ogni personaggio deve pensare nell’ambito del periodo storico in cui viene fatto agire: che è la logica del romanzo storico – poi, per il resto, ogni libro deve essere… “senza opera”.

Gli italiani meritavano la stessa sorte toccata a zingari ed ebrei, che è la stessa sorte che meritano anche adesso – perché la razza è sempre la stessa ed è sempre rimasta la stessa, da quando quella cosa che sono italiani, zingari ed ebrei purtroppo esistono.

Dove trovare il punto di raccordo tra lontananza e vicinanza, carro bestiame e canna fumaria? riverrun un altro modo di pensare e di giudicare – in un appunto dell’autunno 1883 di Nietzsche si legge: «Creare poeticamente qualcosa di più elevato di ciò che l’uomo è stato finora.» (Frammenti postumi, p. 237).

Per quanto la storia possa essere vista come qualcosa di estraneo, il meticcio è quella cosa che, nel corso della storia, sembra sempre perdere, ma che in alcuni casi perde quando vince, così come perde per vincere. Il meticcio indiano Cavallo Pazzo sa che perderà; noi sappiamo che il meticcio indiano Cavallo Pazzo è destinato ad una brutta fine. Cavallo Pazzo fa una morte miserabile: ma con la sua morte miserabile, il meticcio indiano Cavallo Pazzo fa la morte miserabile che attende ogni meticcio, perché ogni meticcio è quella cosa destinata ad una morte meschina, anche quando muore eroicamente: un indiano d’America, così come uno zingaro o un qualunque altro meticcio, ad es. un meticcio italiano, non è che una cosa che occupa un tratto di territorio finché uno sguardo che comprende ciò che implica l’abitare non implica lo spostamento o la cancellazione di quella cosa in quel punto. Il meticcio vince perdendo senza rendersene conto. Un meticcio è quella cosa che nasce come meticcio, crepa come meticcio e quindi scompare, perché non esiste una memoria per il meticcio.

Quello che il romanzo storico presenta è qualcosa di quello che un personaggio può avere pensato in certi momenti della propria vita, prima che uno sguardo retroattivo potesse definire semplici momenti occasionali che capitano a tutte le persone, come appartenenti a una serie speciale di momenti che costituiscono quel dato personaggio storico. Il romanzo storico è così soltanto il capriccio di un autore, che può scegliere di scrivere tra tipi diversi di romanzi: così quello che questo personaggio storico può avere pensato è comunque qualcosa di arbitrario, in quanto selezionato successivamente, cioè molto dopo, nel momento in cui avviene la decisione di scrivere un romanzo storico.

Gli Stati Uniti hanno dedicato alcuni francobolli ai grandi capi indiani – con la stessa logica con la quale lo Stato del Vaticano potrebbe dedicare un francobollo al Diavolo, fermo restando che lo Stato del Vaticano non ha mai dedicato e mai dedicherebbe un francobollo al Diavolo. Una guerra mitica non è mai vinta perché non è mai finita; si rinnova ciclicamente nel tempo, ma il romanzo storico, così come lo conosciamo attraverso la forma nata in Europa con Walter Scott, è proprio ciò che indica il modo di porre lo sguardo che indica il superamento di un periodo storico.

L’episodio della morte di Orso Solitario rappresenta il modo in cui crepa il meticcio; il modo in cui crepa il meticcio indiano Orso Solitario si oppone al modo in cui muore il soldato di razza bianca Adolph Metzger, il trombettiere armato solo della sua tromba, con cui riesce pure ad ammazzare un meticcio indiano. Chi era Adolph Metzger? Il trombettiere Adolph Metzger aveva pensato, prima di partecipare all’ultima battaglia, che, se fosse stato un nativo d’America, avrebbe combattuto contro l’esercito nel quale egli si trova in quel momento ad eseguire gli ordini. Ma un individuo di razza bianca non può mai combattere a fianco del meticciato, anche se in base al ragionamento potrebbe pure porsi in capo di farlo. Il trombettiere Adolph Metzger è stato l’unico corpo ricoperto dalla pelle di bisonte che imponeva ai meticci indiani di non oltraggiare quel corpo, nel solito modo che i meticci indiani erano soliti oltraggiare i corpi dei nemici. Il romanzo Il crinale mostra che è il meticcio indiano Schiena Alta a gettare la pelle di bisonte sul corpo del trombettiere Adolph Metzger in segno di rispetto, ma questo è irrilevante, perché un gesto di rispetto compiuto da un meticcio è comunque un gesto compiuto solo da un meticcio, che non ha nessuna rilevanza, ma che cade comunque a disprezzo verso il meticcio che lo ha compiuto. Questo è quello che il romanzo non dice, nel momento in cui questo è quello che dice il romanzo Il crinale. L’arte di scrivere chiama l’arte di leggere. Ma l’arte di scrivere il romanzo storico è arte degenerata, arte inquinata dal non pensiero del meticciato, che, per quanto nato all’interno della razza bianca degenerata, non può essere che parodia del pensiero della razza bianca.

Così noi ora possiamo dire che il massacro di Wounded Knee è stato un atto di eroismo, perché ogni tentativo organizzato di distruzione del meticciato è un atto di eroismo, non essendo la soppressione del meticciato, a tutti gli effetti, ancora cosa accettata a livello di diritto della razza chiamata dalla terra ad abitare la terra. Non c’è mai stata la volontà di soppressione del meticciato da parte della razza bianca in quanto volontà di dare forma al mondo – e questo è colpa della razza bianca. Le guerre indiane d’America mostrano il rimpianto, da pare dell’Europa, della mancanza di un pensiero volto alla realizzazione dello sterminio integrale delle forme esistenti nel territorio d’America.

Il romanzo storico così costruito è allora storia della terra che non è mai stata presa, ma solo della terra che è stata percorsa. Pensare quello che il personaggio storico può avere pensato, è pensare quello che ogni persona può pensare in qualunque momento della propria “storia”, come si evince da quello che Jim Bridger pone come domanda a Beckwourth: “È giusto quello che facciamo?”, ma la questione sulla verità o meno di ciò che si fa rimanda sempre alla presenza del meticciato, che non deve mai avere diritto di essere presente, cioè di esistere. «– E pensi che sia colpa tua? [la brutta città che è sorta vicino al grande lago deserto che Bridger per primo ha visto] – ribatté Beckwourth. – Se non fossi stato tu, l’avrebbe scoperto qualcun altro, non ti pare? | – Ma sono stato io, – disse Bridger.» (Il crinale, p. 116). Qui è il tema della responsabilità della razza bianca, che riguarda comunque la soppressione del meticciato: non può esserci rispetto per la bellezza della natura se non si elimina il meticciato, che è ciò che offende alla base la bellezza del mondo, bellezza che deve venire prima di tutto, perché bellezza di origine divina che rimanda al dio della razza bianca, mentre il meticciato è proprio ciò che non ha nulla che fare con ciò che è divino.

Il crinale suggerisce nell’azione di spionaggio compiuta da Cavallo Pazzo sul modo di agire dei bianchi nella valle durante la costruzione del forte Beckworth, una condanna della matematizzazione del mondo.

Torniamo a Bridger, che ha scoperto il Lago Salato: la storia della colonizzazione dell’America da parte della razza bianca è storia della cartografia di quel paese; la cartografia rimanda a una matematizzazione, che Lonesome Dove di Larry McMurtry presenta subito in modo umoristico: «In piedi accanto al carro, Bol [il cuoco] liberò la vescica per quello che a Newt parve un quarto d’ora. Quando Bol cominciava, spesso il signor Gus tirava fuori la sua vecchia cipolla d’argento e la sbirciava finché l’altro non aveva finito. A volte prendeva perfino un mozzicone di matita e un taccuino dal vecchio gilè nero che indossava sempre e annotava il tempo impiegato da Bol a spandere acqua. | – Mi serve a capire se si sta indebolendo, – spiegava. – Alla fine i vecchi la fanno a gocce come un vitellino appena nato. Meglio che prenda nota, così sapremo quando è ora di cercare un altro cuoco.» (p. 29). La storia così considerata si pone allora solo come incasellamento di dati. Propongo a questo punto un collegamento tra L’ombra che viene dal passato di Lovecraft e La biblioteca di Babele di Borges come archetipo della falsità che è alla base del romanzo storico – sia europeo che americano. La storia della necessità di sterminare il meticciato è qualcosa che non è mai stata considerata finora; è qualcosa che si comincia a delineare dai libri che meno che mai mostrano la tensione verso questa parola.

Se la matematizzazione del mondo è quella cosa che può essere resa nello sguardo di ciò che, dal punto di vista di ciò che è sano, guarda ciò che è degenerato, la musica di Rossini è quella cosa che rivela il ticchettio come degenerazione di ciò è ritmo, cioè del ritmo che è alla base di ciò che è musica, quindi di quella degenerazione che, come musica rossiniana, inquina la musica. Questo perché il meticcio è quella cosa che inquina ciò che è vivo soltanto con il suo respiro, cioè con la manifestazione minima della sua esistenza.

È questa quadratura nell’arte della narrazione che sembra indicare qualcosa che non va bene, per cui il romanzo storico così pensato spiega il fantastico attuale, che dà vita alla serie di Harry Potter.

L’arte di scrivere chiama l’arte di leggere, ma entrambe le arti frenano davanti a una terra che non è mai stata presa, onde che non rendono il volto da reggere di nessuna creatura d’onda gettata sulla spiaggia di una terra che non è mai stata acchiappata – quello che posso dire è che noi abbiamo perduto l’arte di leggere il romanzo storico perché abbiamo perduto il vero disprezzo verso l’altro – che è l’Altro di razza. Se infatti il romanzo tratta di individui, ciò che serve adesso è un romanzo che tratti di razze. A che cosa serve un romanzo costruito secondo le vecchie regole del romanzo storico? bene che vada può servire a disprezzare il meticciato.

 

2

Si è richiamato Lonesome Dove a proposito del Crinale, ma Lonesome Dove può essere pienamente confrontato col Crinale a proposito del tema dell’origine. Lonesome Dove è organizzato in tre parti: la prima parte considera la vita in quel punto zero, al confine tra Texas e Messico, che è il villaggio di Lonesome Dove, dove i due ex Texas ranger, Woodrow Call e Augustus McCrae, si sono sistemati: un puro punto di non origine; ma punto dove viene portato l’impulso a uscire ad opera di un loro compagno ex ragner, Jake Spoon, trasferendo una grande mandria di bovini dal Texas al Montana, dove i bovini non ci sono. La seconda parte presenta il viaggio. Qui incontriamo i due pericoli: il pericolo dell’altra razza, che è il pericolo dell’antirazza, del meticciato, rappresentato dal meticcio indiano Blue Duck; e il pericolo della degenerazione della razza, rappresentato dal personaggio di Jake Spoon. Blue Duck è un bandito orgoglioso di essere un bandito, perché quello è il suo modo di essere nel mondo, cioè di essere un meticcio, un meticcio vero. È una persona che non ha fatto una scelta, perché l’essere nel mondo, in lui, non può che tendere ad essere un bandito. Jake Spoon è invece il caso di degenerazione della razza. Una considerazione su basi psicologiche di questo personaggio potrebbe indicarlo come un caso di debolezza di carattere, invece è il caso di degenerazione della razza bianca, che lo ha portato al punto dove è possibile scegliere tra il bene e il male. Poteva scegliere il bene, ma ha scelto il male. Egli non partecipa ai crimini della piccola banda costituita da tre bianchi degenerati (i fratelli Suggs) e un negro alla quale si è aggregato, ma comunque è riconosciuto colpevole insieme agli altri, e impiccato dai suoi vecchi compagni ranger, quando questi fermano la banda. La parte terza è dedicata alla Natività e alla possibilità della Casa.

Dopo la prima parte, che presenta in venticinque capitoli il modo di vivere estremamente ripetitivo e inconcludente di Lonesome Dove, le altre due parti sono lanciate a partire da interruzioni della storia principale. La prima parte finisce con la partenza della grande mandria (messa insieme attraverso diverse ruberie in territorio messicano compiute dai protagonisti del romanzo); la seconda parte presenta personaggi nuovi in un un altro luogo: lo sceriffo July Johnson, sua moglie Elmira, il giovane figlio di lei Joe, il vicesceriffo Roscoe Brown. La causa che ha fatto sì che Jake Spoon abbandonasse il luogo dove si era trovato a passare, Fort Smith, è la causa che ha comportato la sua comparsa a Lonesome Dove, con l’idea di trasferire il bestiame su nel Montana, che ne è attualmente sprovvisto. Egli non parla solo del profitto possibile, ma parla della bellezza di quel paese, incomparabile con quanto si può vedere in quella striscia di confine del sud del mondo. Il riconoscimento della bellezza del mondo è solo l’impiccio di uno sguardo tra altre incombenze più importanti (guadagnarsi la vita), ma è quello che metterà in moto il meccanismo del romanzo: il trasferimento del bestiame, cioè il viaggio irto di pericoli dal Texas al Montana.

Per quanto riguarda Fort Smith, l’invito a compiere il viaggio compare nel momento in cui July Johnson, deve mettersi in viaggio per arrestare Jake Spoon. Se il viaggio della mandria dal Texas al Montana era un’impresa rabberciata alla bell’e meglio, questo viaggio è ancora peggio. La moglie insiste affinché il marito porti con sé il figlio, poi, una volta rimasta sola, scappa imbarcandosi su un barcone di trafficanti di whisky per andare alla ricerca del suo primo nascosto marito, Dee Brown. Quando la notizia della scomparsa di Elmira si sparge nella cittadina, Roscoe è quasi obbligato a partire alla ricerca dello sceriffo. Se il primo grande viaggio della prima parte del romanzo rimandava alla nobile forma dell’epopea, questi nuovi viaggi rimandano alla forma degradata del romanzo picaresco. E infatti gli incontri che i personaggi faranno lungo i rispettivi percorsi saranno incontri degni del romanzo picaro (il vecchio Sam, la giovane Janey, lo scienziato Sedgwuick, i due banditi). Ciò che caratterizzerà la successiva letteratura on the road americana sarà proprio la possibilità dell’avventura e delle strade che attraversano grandi spazi aperti. È insomma una mentalità che non prevede il rapporto di una comunità con la terra – ma anzi la esclude. Questo perché anziché essere “presa”, la terra rimane sospesa in un mare concreto di possibilità.

Ma ciò che sulla strada si incontra sono i due termini estremi della strada: ciò che costituisce l’antirazza, come mancanza della razza (l’indiano); ciò che costituisce la degenerazione della razza bianca (il bandito).

Giustamente dice McCrea di Blue Duck: «Se un giorno incontrerò Blue Duck, lo ucciderò. Ma se non lo faccio io, lo farà qualcun altro. È grosso e cattivo, ma prima o poi incontrerà qualcuno di più grosso e più cattivo di lui. Oppure lo morderà un serpente o un cavallo gli cascherà addosso o finirà impiccato o uno dei suoi uomini gli sparerà alla schiena. Oppure diventerà vecchio e creperà.» (pp. 505-06). Questa è una perfetta rappresentazione dell’essere nel mondo dell’indiano d’America che occupa la terra solo come carcassa vivente, quando è vivo; che occupa la terra, solo come carcassa morta, quando è morto, così come il personaggio di Blue Duck, come rappresentato in questo romanzo, è una perfetta rappresentazione dell’indiano d’America – noi infatti non abbiamo, in questo romanzo, altra rappresentazione di indiani presentati con quella accuratezza. Per questa ragione Lonesome Dove è una vera opera epica, perché mostra la sporcizia di razza che è alla base del meticcio, che lo determina, sia esso un mediocre indiano o un meticcio che ha consegnato il proprio nome alla storia, come ha fatto il meticcio Blue Duck. Tutti noi ricordiamo la fotografia della carcassa del meticcio e capo indiano Big Foot, distesa nella neve con uno strano angolo ottuso, mentre non abbiamo fotografie della carcassa del meticcio Blue Duck. Lonesome Dove fornisce la serie di punti dove il meticcio manifesta la propria natura, in quanto punto in una serie; cosa che il romanzo storico Il crinale non fa, appuntandosi stretto nel punto dove una cucitura della storia è avvenuta. Un meticcio sporca sempre la terra, anche quando non sporca la terra (così come un italiano ruba sempre, anche quando non ruba mai); gli indiani d’America sporcavano la terra che occupavano e bisogna rammaricarsi che non sia stato possibile, in quell’epoca, pensare un progetto di pieno sterminio integrale della forma degli indiani d’America. È questa mancanza della razza bianca che impedisce di cancellare ciò che ha rappresentato la comparsa del meticcio dell’indiano d’America in tutte le terre che il meticcio ha occupato.

Se ci fosse stato il progetto di sterminio integrale degli indiani d’America, allora sarebbe stato possibile pensare il progetto di dare forma al mondo, anziché di avallare un colossale sistema di rapina – e un mito avrebbe preso pure forma nel mondo; ma questo non è stato possibile e il mito è rimasto romanzo. Devo ricordare che in diversi miti il mondo è creato attraverso l’uccisione e lo smembramento di un essere primitivo e che dal suo corpo smembrato si è sparpagliata qui e là l’incomparabile bellezza di tutto il mondo?

Cartografare la terra come presupposto per il lancio di vie di comunicazione è ciò che Thaddeus Coleman Pound (= nonno di Ezra Pound) si è trovato indirettamente a riconoscere di aver fatto nei Cantos del nipote. «As it costs, / As in any indian war it costs the government / 20,000 dollars per head / To kill off the red warriors, it might be more humane / And even cheaper, to educate.» (p. 101), dove si evince che la cultura viene in quel caso vista come sforzo da spendere in educazione, che comporta alla fine un risparmio economico, e questa differenza nel trattamento comporta pure una maggiore umanità. Così cultura è conformità a un modello – rogo di libri e genocidio suonano come impegno a un Nuovo inizio.

La terza parte presenta il tema della Casa. Ma il tema della Casa, in un romanzo così impoverito come è Lonesome Dove, è soltanto il tema di una Casa possibile – così come punto di partenza e punto d’arrivo sono solo un punto di partenza possibile in un punto d’arrivo possibile, mentre ciò che permette di passare dall’uno all’altro punto vuoto è il viaggio in quanto incontro con ciò che rimane incontrastato nella terra quale vita indegna di vivere: il meticciato indiano e la degenerazione della razza bianca. Qui non si tratta più di partire, ma di accogliere, cioè di offrire una casa. Il primo personaggio ad essere accolto è Elmira, che collega la Casa al tema della capanna della Natività. Elmira giunge stremata da un lungo viaggio in compagnia di un bue e di un asinello; partorito il bambino, Elmira riparte subito. Poco dopo giunge in quella stessa Casa July, sempre alla ricerca di Jake Spoon, ma che nel frattempo ha perduto Joe e Roscoe, a causa del meticcio indiano Blue Duck, che ha incontrato lungo il percorso.

Non aver pensato il progetto di sterminio assoluto dell’indiano d’America (= alleviamento della terra) ha comportato la presenza delle forme estreme raggiunte dal meticciato indiano nella forma del meticcio Blue Duck e poi della degenerazione della razza bianca (rappresentato nel romanzo nella forma del personaggio di pura invenzione, a differenza del meticcio Blue Duck, di Jake Spoon).

La Casa che la parte terza del romanzo presenta è solo una casa possibile, perché, se offre accoglienza ad alcuni personaggi del romanzo (July Johnson e suo figlio, e poi Lorena Wood), nessuno trova lì la propria casa. Infatti tutta la terza parte suona in diversi modi il raggiungimento di una meta vuota intorno a possibilità di radicamento, che però non avvengono.

Il punto del Montana dove verrà deciso di fondare il ranch è un punto vuoto come un punto vuoto era già stato Lonesome Dove, dove il romanzo si era aperto e come un punto vuoto è la Casa trovata nel Nebraska lungo il viaggio. Il ranch è il punto dove Call non dirà a Newt che egli (Newt) è suo figlio, e il punto dal quale Call partirà per seppellire il corpo di McCrae ucciso da una banda di meticci indiani.

È per uno di quei casi che accadono durante un viaggio se, durante il viaggio verso sud, Call ha l’occasione di assistere all’impiccagione del meticcio indiano Blue Duck. Call visita il meticcio indiano Blue Duck in carcere. «Blue Duck sorrise. – Ho violentato donne, rapito bambini, bruciato case, ucciso uomini, rubato cavalli, massacrato bestiame e rapinato chi volevo, da quando sei un tutore della legge. E questa è la prima volta che mi guardi in faccia. Non credo che mi avresti ucciso.» (p. 919). Qui è il Meticcio Eterno, che parla, perfetta incarnazione dell’essere nel mondo del meticcio indiano, così come di ogni altra forma meticcia, per sua natura eterna, incarnazione perfetta del Meticcio Eterno, che non può più essere ignorata: è la rivendicazione di quello che il meticcio fa nel mondo; il meticcio è eterno, ma qualunque individuo di razza bianca, anche il più scalcinato, per un colpo di fortuna, lo può fermare; la cattura di Blue Duck era infatti avvenuta quando un vicesceriffo inesperto aveva colpito il cavallo di quel meticcio indiano; il vicesceriffo inesperto, che per un colpo di fortuna ha fermato il meticcio indiano Blue Duck, è la controparte del vicesceriffo inesperto Roscoe Brown, che non è stato in grado di portare a termine il suo compito, cadendo lungo la strada; ma se il più scalcinato individuo di razza bianca può fermare un meticcio indiano ritenuto invincibile, è colpa della razza bianca se non si è mai attuato un programma scientifico e assoluto di rimozione (sterminio) del meticciato indiano, perché solo la razza bianca può pensare e attuare il completo progetto di sterminio assoluto del meticciato, che solo può portare alla nuova considerazione della terra in quanto terra alleviata.

Un episodio conferma la natura di questa guerra, che è guerra inconsapevole incontrata per caso lungo un tragitto che aveva per scopo, un poco da più parti malcelato, l’arte di scorrere la terra, ma che permette di vedere in un altro modo quello che nel Crinale viene presentato solo nella forma di storia: il torello texano, personaggio episodico in questo romanzo, ma fondamentale per il suo rimando al Táin. Lonesome Dove è un grande romanzo perché espone, in chiave di romanzo tipicamente americano, elementi di un mito che hanno trovato la formulazione di origine in Europa. Il torello compare all’improvviso in I/24, non piace a nessuno e si unisce alla mandria in movimento, seguendola poi puntualmente. È tutt’altro che bello e ci si chiede se sia giusto portare nel Montana un animale del genere, cioè così lontano dai canoni di bellezza riconosciuti per le razze bovine. «A dire il vero, il torello non piaceva a nessuno dei cowboy; ogni tanto caricava un cavallo, se gli bolliva il sangue, e con gli uomini appiedati faceva anche di peggio. Una volta Needle Nelson era smontato da cavallo per fare acqua in santa pace e il torello lo aveva caricato così all’improvviso che Needle era dovuto balzare in sella mentre ancora pisciava. Tutta la squadra si era spanciata a sue spese. Needle si era infuriato tanto che voleva catturare il toro e castrarlo, ma Call si era opposto. Gli pareva un bel toro, nonostante quello strano miscuglio di colori, e voleva tenerlo. | – Lascialo stare. Ci serviranno dei tori nel Montana. | Augustus se l’era spassata. – Dio santo, Call. Vuoi riempire il paradiso con animali come quello? | – Non è così brutto, se non guardi il colore.» (p. 234)». Ma la sua impresa fondamentale è la lotta contro il grizzly. Nessuno dei due animali vince, e i due alla fine si separano, il grizzly tornando nella foresta da cui era sbucato, il torello tornando nella mandria, dove poi verrà curato e raggiungerà infine il Montana. In questo scontro si può vedere un simbolo della lotta contro gli indiani. Considerare: nessuno dei due muore; il torello è ciò che difende la mandria, che in quel momento è il simbolo di ciò che è minacciato; il torello texano è una forma sgangherata, capitata in quella mandria per caso da chissà dove così come come la razza bianca rappresentata in America e trovatasi a combattere contro gli indiani sono un qualcosa di rabberciato qua e là in Europa.

Nell’episodio della lotta tra il torello texano e il grizzly questo romanzo-epopea si alza a livello del Táin – e infatti di una razzia si tratta – e i due marginali personaggi di origine irlandese che si aggregano al gruppo per caso ne sono la simbolica indicazione. Ogni tema mitico della razza bianca è destinato a rinascere, anche nelle forme più contaminate offerte dal romanzo moderno; mentre ogni controforma del meticciato, sia il resoconto islamico del viaggio dantesco o la decameronizzazione del mondo inaugurata da Boccaccio, è destinata a rimanere a esempio del disprezzo del meticciato.

Il torello bastardo, brutto, violento, dai colori sgargianti, odiato da tutti è il simbolo di ciò che rimane adesso come simbolo della razza bianca; il grizzly che esce improvvisamente dalla foresta è il simbolo di ciò che era presente in quel mondo: il meticcio indiano. Entrambe le forme suscitano un qualche disgusto, ma sono le due vere forze che possono scontrarsi in quel momento: «Il toro texano era l’unico a fronteggiare l’orso. Lanciò un muggito di sfida e cominciò a raspare il terreno. Avanzò di qualche passo e lo raspò di nuovo, gettandosi nuvole di polvere sul dorso. | – Quel torello non sarà così pazzo da caricare l’orso, vero? – domandò Augustus.» (p. 801). La lotta tra i due animali non determina nessun vincitore, perché i due animali si separano, e infatti dalle guerre indiane non è uscito un vincitore, perché ciò che avrebbe dovuto determinare un vincitore avrebbe dovuto passare attraverso la soppressione completa del nemico, ma che doveva prevedere il piano del genocidio, che solo poteva essere pianificato dalla razza bianca, ma che non poteva essere pianificata da ciò che rappresentava, in quel punto, in quel momento, la razza bianca.

Le guerre indiane, dal punto di vista dell’Europa, possono soltanto rappresentare il rimpianto per la mancanza di un piano integrale di sterminio delle popolazioni locali – fermo restando che un tale programma non deve mai fare capo a un progetto di rapina, bensì a quel progetto di rispetto nei confronti della terra, che ha per fine la terra alleviata.

A noi non rimane che contare quello che non ci sono mai stati: i morti.

Faye su Heidegger: «C’è un secondo testo sui campi di sterminio nel volume delle conferenze di Brema [Il pericolo]. Meno conosciuto ma ancor più denso delle ombre nere che invadono la mente del suo autore, il brano testimonia ciò che abbiamo deciso di chiamare il negazionismo ontologico di Heidegger. In verità, quello che egli sostiene rientra nel campo di quanto Paul Celan definisce “indicibile”, tuttavia l’espressione negazionismo ontologico esprime chiaramente il fatto che Heidegger attacca non solamente la realtà storica dei fatti riducendo sostanzialmente il numero delle vittime dei campi e negando ogni specificità al genocidio nazista, ma l’essere stesso di quelle vittime.» (p. 429).

Longerich su Himmler: «If we consider Himmler’s empire and the plans and utopian fantasies he developed in their entirety, it is also evident that he had amassed a potential for destruction that far exceeded the catastrophes that Nazism itself actually caused: for the systematic murder of the European Jews, with which above all the name Himmler is connected today, was not in his eyes the ultimate goal of his policies but rather the precondition for much more extensive plans for a bloody “new ordering” of the European continent.» (p. 748).

 

 

Michael Punke, Il crinale, traduzione di Gaspare Bona, Einaudi, Torino 2023
Aram Mattioli, Mondi perduti. Una storia dei nativi nordamericani. 1700-1910, traduzione di Elena Sciarra, Einaudi, Torino 2019
Michel Houellebecq, H.P. Lovecraft. Contro il mondo, contro la vita, traduzione di Sergio Claudio Perroni, Bompiani, Milano 2001
Friedrich Nietzsche, Opere, vol. VI/2, Al di là del bene e del male. Genealogia della morale, traduzione di Ferruccio Masini, Adelphi, Milano 1976
Friedrich Nietzsche, Opere, vol. VII/1**, Frammenti postumi 1882-1884, traduzione di Leonardo Amoroso e Mazzino Montinari, Adelphi, Milano 1986
Larry McMurtry, Lonesome Dove, traduzione di Margherita Emo, Einaudi, Torino 2017
Miguel Serrano, Il Cordone dorato. Hitlerismo esoterico, traduzione di Nicola Oliva, Edizioni Settimo Sigillo, Roma 2007
Renzo Giorgetti, Il dizionario di Miguel Serrano, Passaggio al Bosco, Firenze-Roma 2019
Ezra Pound, The Cantos, Faber and Faber, London 1975
La grande razzia (Táin Bó Cúailnge), a cura di Melita Cataldi, Adelphi, Milano 1996
Emmanuel Faye, Heidegger, l’introduzione del nazismo nella filosofia, traduzione di Livia Profeti, L’Asino d’oro, Roma 2012
Peter Longerich, Heinrich Himmler, translated by Jeremy Noakes and Lesley Sharpe, Oxford University Press, Oxford 2012

Jack London, il “Wild”

(Fantasia su un tema di Jack London)

1. Il Wild

Nella sua traduzione di White Fang di Jack London (Feltrinelli, 2019), Davide Sapienza precisa: «Per rispettare il profondo significato originale voluto da Jack London, nella traduzione italiana il termine “Wild” verrà mantenuto in inglese per tutto il romanzo. “Wild” sta per “la natura selvaggia”, “lo stato naturale”, “la vita allo stato brado”, “il selvatico”.» (n. 1, p. 205).

A­ livello concettuale, si potrebbe indicare Wild con “Aperto”: quando l’Aperto è ciò che si apre all’animale (che in questo romanzo si presenta come il cane) in quanto natura selvaggia di cui esso, avendone fatto parte in origine, in quanto lupo, è chiamato, a un certo punto, in quanto cane, ad avere la possibilità di tornare di nuovo a fare parte di nuovo; l’Aperto è allora uno spazio contrapposto a quello umano, che pertanto si presenta come uno spazio meno che mai “aperto”, bensì “circoscritto”, ma che riguarda l’animale che ha subito il processo di domesticazione della specie, e che si riversa sull’essere umano in quanto artefice del processo che, dalla specie lupo, ha comportato la specie “cane domestico”.

Il romanzo White Fang segue il romanzo The Call of the Wild perché il richiamo non comprende più un singolo individuo, cioè un cane, ma un insieme di cose e persone posti fra loro in rapporto.

Tanto un uomo quanto un cane possono presentare allora il conto all’uomo per la creazione del cane – posto che per “conto” si intenda, qui ciò che tiene in conto la forma del romanzo.

In Zanna Bianca abbiamo quattro elementi nel gioco: il cane, il lupo, il nativo, l’essere umano.

“L’Aperto” è ciò che si presenta al cane come puro “richiamo”, perché è ciò che riguarda ciò di cui l’animale non è più parte, ma che pure lo riguarda – perché ha sempre la forza di chiamare, essendo l’incubo ormai il fantasma che aiuta ad aprire la porta per chiedere aiuto, che è il sogno della mara della porta.

In questo spazio aperto, il cane, che è stato creato dall’uomo, è raggiunto dal richiamo dell’Aperto. Ma il richiamo dell’Aperto è ciò che riguarda l’uomo che avverte la responsabilità in quanto specie responsabile della creazione della specie “cane”, che ha comportato l’imprigionamento parziale e il danneggiamento parziale della specie lupo. Ma ciò che del lupo rimane nel cane, riguarda pure l’uomo, che ha sottoposto la propria specie allo stesso processo di allevamento-addomesticamento, ma che, ad un certo punto della propria evoluzione, viene chiamato alla creazione di una nuova specie umana; diversa dall’uomo, così come il lupo è diverso dal cane; ma che, a quel punto, con sindrome di Marco Polo, l’uomo sembra fare orecchie da mercante – non avendo più intenzione di andare oltre a mercatantare.

Sappiamo che la nuova specie deve comportare la nuova polifonia che sarà alla base di ciò che la terra avrà diritto di chiamare come ciò che avrà il diritto di essere identificato come proprio abitante. Che è ciò che l’uomo deve avere a che fare infine come ciò che lo riguarda in quanto specie.

L’aperto che si presenta al cane – animale creato dall’uomo – è simile all’aperto che si presenta all’uomo come progetto di creazione di tutto un nuovo tipo umano: l’animale cancella la sottomissione, l’uomo crea la nuova sottomissione per alcuni tipi e cancella così la propria millenaria sottomissione a tutti i tipi.

2. I tre padroni

Consideriamo i tre padroni che Zanna Bianca riconosce come “dèi”, cioè come autorità che non devono essere attaccati e che avrebbero pure il “diritto” di picchiarlo, se questo deve garantire la propria posizione in quanto dio.

Perché a un cane sarebbe allora permesso quello che a un essere umano è invece rigorosamente vietato?

Vediamo i tre dèi:

Castoro Grigio: è il dio imbecille. È il capo di una tribù di nativi americani. È un tipo semplice, rozzo e brutale. Ma questo è ciò che lo costituisce come dio della sua razza. È destinato a una fine grottesca, farsesca, pienamente meritata (in quanto farsesca apoteosi della sua razza, più che del suo singolo carattere egoista e primitivo che egli pone allora in gioco). Come capo, egli incarna perfettamente la fine che aspetta alla sua razza miserabile (ma meglio è dire: antirazza). La sua fine è la farsa che chiude la mancanza della nota di tragedia, poiché la sua razza è sempre stata nota di commedia, che il romanzo adesso compendia, cosicché in Castoro Grigio non ci sono che due dimensioni, quando nello stadio successivo, la razza bianca, vediamo tre dimensioni riconosciute.

Beauty Smith: è il dio folle. È la rappresentazione della degenerazione della razza bianca. La razza bianca viene subito riconosciuta come superiore al meticciato di cui è qui rappresentante Castoro Grigio col suo pacifico dio imbecille. Beauty Smith è il bianco degenerato. Eppure, indirettamente, anch’egli ha un grande merito nel disegno complessivo del romanzo: determina la rovina del meticcio Castoro Grigio, vendendogli il whisky che ne determinerà il grande stordimento finale, permettendo il passaggio di Zanna Bianca dal primo dio (il dio imbecille) al nuovo dio, il dio folle, e quindi il passaggio all’ultimo dio. Il nuovo dio e l’ultimo dio sono le due forme di dèi presenti nella razza bianca, che chiamano la forma della quarta dimensione. Il disgustoso bianco degenerato Beauty Smith determina la rovina e la scomparsa del disgustoso meticcio Castoro Grigio; il dio folle uccide indirettamente il dio imbecille perché il “dio folle” è superiore al “dio imbecille” per razza, perché un bianco degenerato, per quanto folle, è – comunque – superiore a un qualunque meticcio piattamente conforme alle regole del meticciato della razza di cui viene ad essere il casuale esponente: il degenerato Beauty Smith è un caso individuale di degenerazione della razza; il meticcio Castoro Grigio non è un caso individuale di degenerazione della razza, ma è esso stesso la manifestazione di una razza inferiore, di un meticciato.

Weedon Scott: è il dio umano. È il dio dell’amore così indicato nella sua seconda manifestazione, che riguarda gli esseri umani, cioè gli individui di razza bianca, e non più i nativi americani. Weedon Scott ha fatto quello che ha potuto per Zanna Bianca, lo ha salvato, gli ha fornito un riparo, ha evitato di restituirlo al Wild nel momento in cui egli aveva capito che il Wild non era più l’ambiente di Zanna Bianca; ma adesso il progetto deve passare dall’individuo alla specie, che è ciò che collega l’individuo Weedon Scott e l’individuo Zanna Bianca, rimediando non solo il danno fatto all’individuo di una specie ad un’altra specie), o ad una specie ad una sottospecie, ma anche al danno fatto a se stesso in quanto specie, impegno che comporta la soppressione del tipo primitivo e del tipo degenerato. Ma qui si pone la domanda: che cosa vuole dire la definizione “dio dell’amore”, ampiamente utilizzata da Jack London all’interno di questo romanzo, a proposito di Weedon Scott nei suoi diversi rapporti con Zanna Bianca? Se nessuna domanda poteva riguardare il dio imbecille e il dio folle (essendo il dio imbecille la perfetta manifestazione del meticciato e il dio folle la perfetta realizzazione della degenerazione della razza bianca), invece questa nuova domanda viene posta verso questa nuova figura, che riguarda che cosa si intende con amore, vale a dire: amore verso che cosa? cioè una forma che, nella piena sua manifestazione, tende a una forma completamente diversa – da ciò che noi, frettolosamente, potremmo intendere come “dio dell’amore”.

Tre tipi di centri abitati si presentano nel romanzo: Fort McGurry, che è la meta che i due primi personaggi incontrati nel romanzo cercano di raggiungere; di questi due personaggi sapremo solo i nomi, Bill e Henry; Bill e Henry trasportano il corpo morto chiuso in una bara di un terzo personaggio, successivamente, e solo per una volta, identificato come lord Henry; Bill e Henry e il loro carico silenzioso sono inseguiti da un branco di lupi, una serie anonima da cui si determina un solo individuo, una lupa, che viene indicato come probabile frutto di incrocio fra il lupo e il cane, perché anche il suo modo di fare ha qualcosa delle astuzie di chi ha frequentato una forma qualunque di essere umano, anche la più inferiore, come appunto è la forma rappresentata dal meticcio Castoro Grigio, e che quel meticcio potrà poi riconoscere con il nome datole da un altro meticcio a lui molto vicino per vincoli naturali, il proprio fratello, per cui, il meticcio Castoro Grigio, essendo nel frattempo crepato il fratello, “reale padrone” della lupa, pensa di potersi appropriare della lupa in quanto “cosa” che apparteneva al fratello, e per far valere questo diritto, il meticcio Castoro Grigio non fa altro che chiamare la lupa con il nome che il meticcio suo fratello, prima di crepare, le aveva riservato, cioè il nome “Kiche”, e, al suono di quel nome, la lupa si sottomette, destando la meraviglia, e quindi la sottomissione, per imitazione, del figlio della lupa, da un meticcio qualunque chiamata Kiche, e che un altro meticcio qualunque darà poi il nome di Zanna Bianca. Infatti un meticcio vede solo gli elementi con cui ha a che fare come cose senza rendersi conto che esso stesso è una di quelle cose, e senz’altro una delle più disgustose e meritevoli di essere soppresse – ma di questo verrà fatto cenno in seguito.

Intanto è importante notare l’uso del dialogo attraverso tutto questo romanzo, essendo il linguaggio ciò che caratterizza la specie umana, separando tale specie dagli animali.

Il romanzo Zanna Bianca presenta tre tipi assolutamente diversi di linguaggi: il dialogo elementare tra Bill e Henry lungo tutta la prima parte del romanzo; il dialogo costituito da richiami elementari fra i nativi, che può essere tutto riassunto nel richiamo del meticcio Castoro Grigio alla lupa: “Kiche” (III/1); infine il dialogo evoluto che intercorre tra Weedon Scott e il suo dipendente Matt (IV/5), – che riguarda ciò che finalmente viene indicato come ciò che ha diritto di vivere. Questo perché il pieno raggiungimento del dialogo, in quanto tempo del linguaggio umano è ciò che riguarda chi ha diritto di vivere. Infatti il primo balbettamento di dialogo comporta solo il modo di portare in salvo la pelle; il secondo balbettamento di dialogo comporta il riconoscimento dell’imposizione del bastone per salvaguardare la propria carcassa; ma il terzo dialogo, dialogo a tutti gli effetti, perché basato sulle autentiche caratteristiche del linguaggio, comporta la questione di ciò che ha diritto di vivere. Vale a dire ciò che riguarda la forma cui spetta il diritto di vivere. Il dialogo oltrepassa Beauty Smith, perché è a tutti gli effetti ciò che riguarda l’approssimazione all’essere umano in quanto garanzia della propria vita, ponendosi verso la formazione di un nuovo discorso basato su ciò che ha diritto di vivere.

Nel primo caso (stadio elementare del meticciato) il linguaggio è una serie di luoghi comuni; nel secondo caso (stadio del meticciato della razza bianca) il linguaggio è una serie di segnali; ma nel terzo caso (stadio autentico della razza bianca), il linguaggio serve a stabilire a chi spetta il diritto di vivere, che comporta il diritto di abitare la terra, ma poi il diritto di chiamare i nuovi dèi della terra, che saranno, allora, i veri padroni della terra. Infatti l’uomo non sarà mai il vero padrone della terra finché non avrà accettato il diritto di stabilire a chi spetta il diritto di vivere.

Bill e Henry scorrono la terra allo scopo di raggiungere Fort McGurry, così come anche il dio folle Beauty Smith scorre la terra spostandosi da Fort Yukon a Dawson, dove avrà la sfortuna, per lui, di incontrare Weedon Scott, che lo priverà della sua grande fortuna e fonte di reddito, Zanna Bianca, come egli aveva prima fatto, privando il meticcio Castoro Grigio della propria modesta fonte di reddito, cioè lo stesso Zanna Bianca.

Weedon Scott ha un legame con la terra, che non è l’Aperto da scorrere (come nei trasferimenti di Bill e Henry), né il luogo circoscritto da raggiungere (come nel trasferimento di Beauty Smith), ma una terra che pone la domanda al suo abitante e, sulla base della risposta, la terra gli pone infine il nuovo stadio a cui giungere.

Il primo centro abitato è un forte da raggiungere, Fort McGurry (è ciò che impegna Bill e Henry nella loro corsa attraverso l’Aperto), poi abbiamo un miserabile accampamento indiano, dove agisce il capotribù Castoro Grigio, destinato alla ridicola brutta fine che sappiamo, fine nella quale, tuttavia, c’è un sacco di divertimento, posto che la si voglia suonare fino in fondo, con tutti suoni della veglia che le spetta – da quel disgustoso meticcio che, per razza, era sempre stato; poi una città, dove agisce il degenerato Beauty Smith, e infine una “grande città” (dove avviene la morte di Dio e si sancisce ciò che, a partire dalla morte di Dio, deve essere stabilito come responsabilità della razza bianca su ciò che comporta l’accettazione della morte di Dio). Infatti altri e più potenti dèi possono adesso comparire, essendo Weedon Smith, a tutti gli effetti, l’ultimo dio.

Un posto a parte occupa JIM HALL, che pur non essendo un “padrone di Zanna Bianca” condivide la divinità dei suoi veri padroni, essendo esso una cosa di razza bianca, ma presentandosi come una specie di sintesi: è primitivo, mezzo bambino, rozzo come il “dio imbecille”; non è folle come Beauty Smith, ma è un caso di degenerazione della razza bianca, come appunto lo era stato Beauty Smith, con la sua bruttezza e il suo carattere odioso. Zanna Bianca uccide il “dio” Jim Hall e l’uccisione è approvata dagli dèi giusti, vale a dire dai rappresentanti dell’autentica razza bianca. Jim Hall non ha mai avuto rapporti con Zanna Bianca, prima che, di propria iniziativa, entrasse di nascosto nella casa sorvegliata da Zanna Bianca allo scopo di uccidere il proprietario della casa, il padre di Weedon Scott, scatenando così l’attacco dell’animale. Jim Hall è il primo caso di uccisione di un dio di razza bianca, per quanto degenerato, legittimata dagli autentici dèi della razza bianca.

3. L’uccisione del dio

Castoro Grigio è il meticcio che insegna a Zanna Bianca il rispetto verso gli dèi con le bastonate: ma, sotto quel dio, Zanna Bianca imparerà, furbescamente, a mordere impunemente un dio e poi un animale appartenente a un dio, e imparerà infine a uccidere il dio inferiore e gli animali posseduti da un qualunque altro dio inferiore, perché è giusto che così sia: perché o non esistono dèi del tutto, o esistono dèi di razze inferiori e dèi di razza pura. Le bastonate di Castoro Grigio scandiscono la decameronizzazione del mondo, perché sono la decameronizzazione che il mondo ha dovuto subire. Questo perché il meticciato è uguale in tutto il mondo e può essere riconosciuto in tutto il mondo, sia che riguardi il Decameron del paroliere del disgustoso meticcio italiano Giovanni Boccaccio, sia che riguardi un sistema mitico del meticciato dei tanti nativi americani che compongono le diverse tribù laggiù presenti: infatti un meticcio italiano, che sia il meticcio italiano Giovanni Boccaccio o un qualunque altro meticcio italiano, è uguale a un qualunque altro meticcio che occupi per caso il mondo. Un meticcio è sempre un meticcio qualunque, cioè la cosa intorno alla quale deve imporsi il discorso relativo alla soppressione del meticciato, affinché una nuova e superiore forma di specie umana possa comparire e un luogo possa ritornare parte del mondo.

Io parlo solo del meticciato, del meticciato italiano prima di tutto, essendo il meticciato italiano la forma di meticciato nella quale mi sono trovato, indipendentemente dalla mia volontà, ad arrabattarmi per una questione di nascita. Detto questo, devo aggiungere che è la stupidità del meticcio, che non tollero.

Per cui il meticcio italiano è il mio bersaglio.

È importante l’opposizione “Nativi/Esseri umani”. Il nativo è un essere primitivo, di intelligenza limitata, sempre più vicino alla natura che alla cultura; l’essere umano è rappresentato dalla razza bianca, è più variegato e complesso del nativo americano, ma è interamente dalla parte della cultura. Notare che Jack London definisce i nativi “Gli dèi del Wild”, cioè coloro che sono compresi nel Wild; i bianchi vengono definiti “Gli dèi superiori”, coloro che non appartengono al Wild, che possono entrare nel Wild per avere con esso rapporti temporanei, ma che non ne costituiscono parte inscindibile, perché ne sono staccati. Tuttavia Jack London riconosce una grande differenza tra questi tipi di dèi: che comporta il dio folle (la degenerazione della razza) e il dio dell’amore (il dio della razza bianca, al quale spetta il confronto con la domanda fondamentale: “A chi spetta il diritto di abitare la terra?”, ma che comporta la domanda: “A chi spetta il diritto di scegliere chi ha il diritto di vivere?”).

Infatti l’essere umano ha creato il cane, ma ha permesso la diffusione delle varie forme degenerate della propria specie, cioè la specie “umana”. Ora un nuovo compito lo attende e chiama: non solo la responsabilità per la forma creata in modo irresponsabile, il cane dal lupo, bensì la creazione di una nuova specie di essere umano, che non avrà più nulla a che vedere con ciò che si è finora definito “essere umano” – e che comporterà infine la vera liberazione del lupo dal cane (eppure forma davanti alla quale, a questo punto, l’uomo fa orecchie da boccaccesco mercatante).

Non si tratta più della possibilità di uccidere un individuo, per la cui azione ci si trova poi a chiamare il castigo, ma della possibilità di annullare come delitto tutta quanta l’uccisione di una razza – passare cioè dal delitto al genocidio – forma per la quale nessun romanzo sulle sue storte gambette si è mai fatto avanti sinora, ma non più portato all’accettazione del castigo, bensì legittimato dalle nuove leggi della razza, che non imporranno mai un castigo per questo perché non deve suonare come delitto.

Il compito che spetta al vero dio della razza bianca è la soppressione del meticciato e del degenerato di razza bianca. Il compito che lo aspetta consiste nel compito di alleviare la terra, creando così il simbolo della terra alleviata, allo scopo di creare la nuova armonia tra chi ha il diritto di abitare la terra e la terra stessa, a cui bisogna rendere il compito di scegliere il proprio abitante, cioè il compito di siglare il nuovo patto fra la terra e coloro che hanno diritto di abitare la terra, che devono essere scelti, in quanto veri abitanti della terra, dalla terra stessa, consistendo in questo il nuovo sigillo.

L’uccisione di Dio non consiste solo nella constatazione della morte di Dio, riguardando invece, l’uccisione di Dio, il confronto di ciò che l’atto di aver ucciso Dio, e di aver autorizzato l’uccisione di Dio, deve poi comportare per tutti coloro che, anche indirettamente, hanno ucciso Dio.

Zanna Bianca passa così, attraverso le forme dei suoi tre padroni, attraverso il Meticcio, il Degenerato, l’Ultimo dio. L’ultimo dio non può che confermare ciò che il Meticcio ha a suo tempo combinato, fornendo all’individuo che il meticcio ha combinato (cioè il cane Zanna Bianca), il luogo dove restare, ma volgendo in essere ciò che è il nuovo compito della razza bianca: alleviare la terra, vale a dire creare il nuovo spazio come spazio di terra destinato alla razza bianca, spazio che deve passare attraverso la soppressione della razza inferiore (il nativo) e la soppressione della degenerazione della razza superiore, che è il meticciato.

Il romanzo inizia con l’Aperto. La figura che si delinea dalla serie è la lupa, dal dio imbecille chiamata Kiche prima della sua fuga, e che porterà alla comparsa di Zanna Bianca, che presenterà, per la seconda volta, l’episodio della carestia, elemento scatenante della fuga della madre, quindi della fuga dallo spazio occupato dal dio imbecille e poi il ritorno allo spazio occupato dal dio imbecille (non essendo più quell’individuo adatto al Wild). Il capitolo finale è ambientato nello spazio circoscritto, con Zanna Bianca che scompare in esso, perfettamente integrato dopo una morte simbolica che ha comportato lo squartamento e poi la ricomposizione simbolica del proprio corpo, la necessità di imparare di nuovo a camminare e il riconoscimento da parte dei cuccioli come affine, cioè un ritorno, da parte di Zanna Bianca, allo stato del cucciolo nella tana.

A questo punto bisogna chiedersi: in quale momento, Zanna Bianca, ottiene il pieno riconoscimento all’interno dello spazio circoscritto (la tenuta del giudice Scott) nel quale gli è capitato di trovarsi ad essere sistemato? Quando ammazza il bandito Jim Hall, il secondo tipo di bianco degenerato che il romanzo presenta, dopo l’attacco al primo tipo di bianco degenerato, rappresentato da Beauty Smith (che Zanna Bianca non ammazza, ma solamente ferisce; e ferisce solo dopo che il degenerato Beauty Smith si era introdotto di nascosto nella proprietà di Weedon Scott allo scopo di rubare Zanna Bianca, portando con sé gli emblemi araldici della sua antirazza: il randello e la catena).

Perché Jim Hall viene ucciso, mentre Beauty Smith viene soltanto ferito (vale a dire “risparmiato”)? La vita dell’uno non è più importante di quella dell’altro, poiché, in entrambi i casi, si tratta di “vita indegna di vivere”; ma questo non toglie che l’accettazione della soppressione del degenerato possa avvenire solo in alcuni momenti, momenti divinamente privilegiati – almeno per ora. L’uccisione del meticcio Beauty Smith non avrebbe nessuna importanza simbolica: la vita del meticcio, in quanto vita indegna di vivere, ha importanza solo a livello di simbolo. Jim Hall deve infatti morire così come Zanna Bianca deve sopravvivere, perché solo così può funzionare il passaggio del compito riservato alla razza, che è ciò che dall’individuo passa alla specie.

Questo apre la questione dei tre tipi riguardanti l’annientamento riservati ad altrettante persone presenti nel romanzo. Castoro Grigio crepa come alcolizzato, ed è nella forma farsesca di anticapo che la sua tribù lo vedrà tornare – per poi crepare. Beauty Smith crepa con il braccio devastato da Zanna Bianca, particolare che si aggiunge al suo fisico già ampiamente bollato come fisico di degenerato di razza bianca. Jim Hall crepa dilaniato da Zanna Bianca nel corso della battaglia alla quale egli tiene arditamente testa, ferendo gravemente Zanna Bianca, poiché il suo è, a tutti gli effetti, un fisico imponente, che può stare alla pari con quello di Zanna Bianca (Jim Hall non è, infatti, come Jak London precisa, un individuo bollato dalla nascita, ma il prodotto di un fascio di circostanze che si sono trovate ad agire malignamente contro di lui, quasi coalizzandosi per provocarne la rovina).

Zanna Bianca è un romanzo che, attraverso la messa in gioco di una tripartizione di figure mitiche, retroattivamente procede dalla farsa verso la tragedia; e attraverso questi tre tipi di annientamenti, Zanna Bianca viene sempre più direttamente a trovarsi coinvolto – questo perché la sua funzione consiste nel condurre a destinazione la domanda: nel primo tipo di annientamento (quello che riguarda il meticcio Castoro Grigio), Zanna Bianca è solo indirettamente coinvolto: Beauty Smith vuole acquistare Zanna Bianca dal suo “legittimo” proprietario, e, rifiutando, il meticcio, la vendita, l’unico modo per appropriarsene è fare in modo che il meticcio Castoro Grigio non capisca più niente, vale a dire stordirlo con l’alcol, come il degenerato Beauty Smith astutamente decide di fare, allo scopo di risolvere la questione altrimenti irrisolvibile. Il secondo tipo di annientamento vede Zanna Bianca coinvolto in quanto ferimento di Beauty Smith. Il terzo tipo di annientamento vede invece Zanna Bianca più che attivamente coinvolto, proprio perché l’attacco di Zanna Bianca provocherà l’annientamento immediato (e non ritardato, come nel caso di Castoro Grigio) del secondo e ultimo tipo di bianco degenerato che il romanzo presenta e la stessa morte simbolica di Zanna Bianca. Notare che Beauty Smith viene aggredito fuori casa, mentre Jim Hall viene aggredito dentro la casa: nella prima aggressione, apertamente diretta contro Zanna Bianca, Zanna Bianca non aveva diritto di entrare all’interno della casa, mentre nella seconda aggressione, in nessun modo diretta contra Zanna Bianca, Zanna Bianca aveva un parziale diritto di entrare nella casa, in virtù del patto che si era stabilito fra la donna della casa e il cane del Wild.

L’annientamento di Jim Hall è indirettamente permesso dalla moglie di Weedon Scott, che, come consuetudine ormai da tempo, di sera, ella faceva entrare in casa il cane Zanna Bianca, facendolo poi uscire presto di mattina, all’insaputa di tutti quanti all’interno della casa – e questo patto segreto, fra la donna e il cane, ha permesso al cane di sorprendere l’intruso nel momento in cui l’intruso aveva l’intenzione di uccidere il padrone della casa, casa nella quale egli si era furtivamente e fraudolentemente introdotto. Questo patto di lealtà fra la donna e il cane si contrappone all’antipatto che legava gli indiani femmina (le squaw) e il cane (Zanna Bianca), quando il cane (Zanna Bianca), cercava di rubare la carne e il pesce agli indiani femmina (le squaw) che lo custodivano come loro compito, e gli indiani femmina (le squaw) lo allontanavano con lanci di pietre.

Infatti il tipo Jim Hall non è altro che l’aggiornamento del tipo Beauty Smith: questo tipo non ha la vigliaccheria e nemmeno l’impotenza di Beauty Smith, ma rappresenta l’aggiornamento del tipo Castoro Grigio. Ma questo è l’aggiornamento sempre possibile di un tipo, almeno fino a quando il tipo base non verrà superato, cioè soppresso (questo deve essere chiaro, ma questo può avvenire solo attraverso un progetto statale, che il romanzo non può presentare, e non come iniziativa individuale, come il romanzo invece indirettamente presenta) – per cui, a quel punto, non vi saranno più aggiornamenti. Così abbiamo superato lo stadio del dio imbecille, rappresentato dalla presenza dei nativi americani, ma siamo in presenza di due tipi di bianchi degenerati, non di divinità, che sono il dio folle e il dio che non crede più in Dio.

Weedon Scott è il dio che legittima la morte di Dio, ma è colui cui spetta il nuovo compito, che il romanzo non presenta, né potrebbe mai presentare – come tipo di romanzo: la creazione della terra alleviata, che sarà la nuova apertura della terra, come piena accettazione della morte di Dio, perché dovrà finalmente, in armonia con i propri abitanti, avere a che fare con l’annientamento del meticcio e del bianco degenerato, battaglia che costituirà il nuovo patto stipulato con la terra, ispirato all’amore della terra fra coloro che la terra avrà scelto come propri abitanti e la terra stessa – e in questo senso, cioè nel nuovo patto stabilito con la terra e con chi ha diritto di abitare la terra, Weedon Scott può essere definito, adesso giustamente, senza bisogno di ulteriori precisazioni, “Dio dell’amore”, come Jack London lo ha più volte definito in questo romanzo.