Terra fantasma

«In no other country [come in Italia] is “north” a more unstable descriptor, shifting and flickering, defined and redefined minutely, almost by kilometre by kilometre, the length of the peninsula. In Lucca in Tuscany they refer to the northern suburbs as “Germany”, the southern suburbs as “Africa”.»
P. Davidson, The Idea of North, Reaktion Books, London 2007, p. 9.

È strano, ma interessante, questo bisogno continuo di localizzare un nord e un sud a partire da un punto, come se tutto il resto del paese non esistesse, non fosse compreso entro confini precisi, e come se ogni punto diventasse un punto reale solo grazie alla possibilità di stabilire autonomamente un proprio nord e un proprio sud, quasi a richiamare la teoria dei numeri irrazionali secondo Dedekind, che esistono solo come punto d’incontro tra due serie: come se lo stesso paese non potesse essere determinato, quasi l’Italia non fosse un paese unitario, cioè un terra su cui posare un orizzonte verso nord e verso sud, ma scivolasse verso una continua determinazione della sua posizione spaziale, quasi che l’Italia intera non fosse una terra.
L’Italia infatti non è una terra in cui un popolo possa posare un proprio orizzonte verso nord e un proprio orizzonte verso sud. Quello che dovrebbe essere un territorio nazionale, frutto di una comune percezione dello spazio geografico e mitico, è invece dissolto in una visione a livello di città, che non si integra nell’insieme e lo respinge beffardamente. È una terra che frana sotto i piedi del popolo che illusoriamente l’abita, ed è soprattutto una terra che non è una terra.

Conversazione con la Sfinge

Un luogo vicino al centro dello stadio si chiamava Valaskiálf. Era una zona squallida e deserta, sempre infuocata dal sole e fredda la notte. Non vi cresceva nulla, non c’erano alberi, non c’era erba, sicché, al di fuori di sabbia, non si trovava altro. Una creatura l’abitava. Era uno strano essere. Il naso era largo e prominente come il pugno della mano, gli occhi guardavano fissi e obliqui sotto una piega della palpebra che li proteggeva dalla troppa luce, i capelli scendevano folti a ondulati a coprire la testa e parte della schiena, mentre tutto il grande corpo era adagiato in riposo sulla sabbia.
Uno spettatore si chiamava Geirríðr e abitava la parte di gradinata che si chiamava Tydal, ma egli veniva da Iötunheimr. Geirríðr era alto, vestito con un grande mantello scuro che gli saliva sulla testa coprendogli parte del volto. Girava lo stadio in qualità di viandante e un giorno si fermò sulla sabbia di Valaskiálf. Dietro di lui non c’era niente, dal suo lato destro non c’era niente e neppure dal lato sinistro c’era qualcosa, ma davanti a lui si poteva vedere il grande corpo coricato della creatura, e oltre quello non si poteva vedere altro.
Questo accadde molto tempo dopo la conclusione della parabola itinerante dell’eroe, e i cieli sembravano di nuovo essere tornati tranquilli. Le stelle ruotavano in cerchio sopra la testa della creatura, come se un bastone sostenuto dalle zampe dell’animale ne reggesse lo sfarzoso movimento.
Poi il Viandante pensò: «Nella prima parte del viaggio non volevo mettermi in viaggio; giunto a metà credevo di poter fuggire; ma alla fine ho capito che ero in trappola e da quel momento non sono più stato quello di prima. Mi chiedo che cosa ho attraversato durante il mio viaggio.»
La creatura pensò: «Semplicemente il Mondo. Il Mondo è tutto attorno allo stadio e continuamente vi entra. Quando la casa era piccola e trasportabile per mezzo delle ruote, il Mondo era una cosa ruotante in cima alla casa, perché la casa ne era il centro. E il Mondo era una cosa che attrae a girare ma non si gira a lungo, per questo poi si fissa la casa, e attorno alla casa il Mondo era tutto attorno, tanto che scorrendone le parti gli si dava il nome. Lo stadio è un altro più ampio centro del mondo perché è fisso, ma dentro di esso tutto il Mondo scorre attraverso tutti i nomi della storia. Eppure anche lo stadio ha una fine. A Thule la casa è stretta e fredda per la festa dell’inizio del nuovo tempo della vita.»
«Dunque “Mondo” era la risposta», pensò il Viandante.
E fra il Viandante, la creatura accovacciata ed il centro lo spazio era diminuito, ma la creatura era adesso più vicina al centro ed il Viandante poteva vedere le grandi colonne che ne annunciavano la solenne costruzione.
Il Viandante pensò: «Più viaggiavo, meno ero infastidito dal Mondo. Quanto resisteva a farsi girare, all’inizio, il Mondo! Ora posso dire che poter girare sempre di più il Mondo è sempre di meno sentire la grandezza del Mondo!»
La creatura scosse la testa, e nello scuoterla, come un bisonte preso dal sonno, puntò il naso contro il Viandante, a disagio.
«Io non so che cosa sia questa grandezza del mondo perché non so che cosa sia la paura» pensò poi prima di acquietarsi.
Ma subito pensò il Viandante: «”Paura”, era la risposta!»
Adesso fra il Viandante, la Creatura accovacciata ed il centro lo spazio era diminuito, ma la creatura era ancora più vicina al centro e il Viandante poteva vedere il vuoto aprirsi dietro il grande manto morbido disteso.
Allora pensò il Viandante: «Come è nato questo stadio che tutti protegge? e come è stato possibile arrivare sin qui quando ancora lo stadio non c’era, e quindi senza gli effetti della sua protezione?»
Pensò la creatura: «Arrestando la casa sulle ruote si è formato lo stadio, e attraverso la casa con le ruote si è arrivati fin qui. Dalla prima casa si riceveva quella protezione che adesso si ottiene dallo stadio.»
Pensò allora il Viandante: «Ma oltre la vastità e le traiettorie del Mondo, che pure sono disagevoli, è disagevole il Sonno, perché durante il suo tempo ognuno è indifeso. Che cosa protegge durante il Sonno?»
La creatura pensò: «La stessa casa.»
Pensò il Viandante: «Eppure si sa di molti casi in cui la casa non ha funzionato e la casa ha imprigionato nell’Altro che la occupava il Sonno.»
Pensò la Creatura: «L’Altro si ferma.»
Pensò il Viandante: «È la casa che lo ha imprigionato.»
Pensò la Creatura: «Non era la casa che non andava. La persona era morta.»
Pensò il Viandante: «Dunque “morte” era la risposta!»
Adesso fra il Viandante, la Creatura accovacciata ed il centro lo spazio era molto diminuito e il Viandante poteva vedere la Creatura precipitare nel vuoto del centro, e poi le costruzioni del centro raggiunto dello stadio alzarsi spoglie e alzarsi primordiali sopra e davanti a lui, tutte intorno a lui.

Poesia e verità

Alla domanda che la gente si pone: «Chi è Zarathustra?», Zarathustra ricorda diverse risposte date dalle persone stesse.
Due di esse chiedono: «È un poeta? O uno che dice la verità?» (p. 170).
Alla fine del capitolo, Zarathustra, pieno di spavento, evita di insegnare quello intorno al quale tutto il capitolo gira: il pensiero dell’eterno ritorno.
È questo il «parlare gobbo» (p. 173) di Zarathustra, impegnato, fin dall’inizio del capitolo, in un dialogo con un gobbo (p. 168).
Perché il testo contrappone poesia e verità in modo così netto? Contro che cosa si scaglia Zarathustra? Zarathustra colpisce la poesia come obbligo al non pensiero. Zarathustra è un grande poeta che sa di essere un poeta e, sapendo di essere un poeta, ha paura di essere tacciato come persona menzognera.
Ma perché la poesia è sospettata di menzogna? Perché attraverso la poesia si è da tempo accettato l’obbligo al non pensiero: Zarathustra è anche colui che restituisce alla poesia l’obbligo del pensiero. Ma restituire alla poesia l’obbligo alla verità del pensiero vuole dire restituire al discorso della verità l’obbligo alla svagatezza. Cioè alla poesia. Zarathustra è colui che mischia poesia e verità, ma è anche colui che crede ancora a un segno della poesia e a un segno della verità e che nel momento in cui ne vengono compromessi i rispettivi confini, prova paura.
Noi possiamo osservare gli effetti dell’obbligo della poesia al pensiero a partire da due posizioni contrastanti e lontane nel tempo: la poesia di Dante e la poesia di Brecht. Dante è colui che richiama la poesia all’obbligo del pensiero; Brecht è colui che accetta definitivamente l’obbligo della poesia al non pensiero. Entrambe le posizioni richiamano una medesima falsità, come scopre Zarathustra.

     F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, in Opere di Friedrich Nietzsche, volume VI, tomo I, Adelphi, Milano 1973, parte seconda, Della redenzione.

Esperienze

Esperienze:
     Gianluca Casseri
     Anders Behring Breivik
     Varg Vikernes
     Mishima
              Il padiglione d’oro
              Il discorso sul tetto

      Esperienze di dissociazione da come va il mondo.
             Ma con passi di colomba lo studioso si allontana dall’accademia.

      (Dio stramaledica gli Italiani!)
      (Dio stramaledica quel popolo di bastardi!)

      I ricordi d’infanzia sono angoli rubati al tempo, scorci, prospettive incombenti, scorci, geometrie non euclidee rese architetture espressionistiche.

     Diverse scienze hanno dimostrato la presenza di un linguaggio anche nel caso degli animali. C’è un linguaggio e una cultura umana tanto quanto un linguaggio e una cultura degli animali. Ma solo gli esseri umani sono le creature che, oltre a usare il linguaggio, ricevono la chiamata da parte del linguaggio. Da qui uno dei fenomeni più misteriosi e affascinanti dell’essere umano: l’estrema pericolosità delle sue idee.