Perché rileggere “Delitto e castigo”

1. La creazione letteraria di una suspense [Falsità letteraria]
2. La simpatia per il criminale [Falsità sociologica]
3. Il ragionamento che gira a vuoto sull’arte del ragionare [Falsità filosofica]
4. La creazione del personaggio di legge che incastra il criminale con un metodo paradossale [Falsità psicologica]

Quattro falsità.
Ma perché questo romanzo è così inevitabile? Perché dimostra in modo magistrale il predominio di una degenerazione dell’arte in Europa e il predominio di una razza degenerata in Europa. Tale predominio si è infine sviluppato a mentalità comune. Dimostra inoltre il predominio di una degenerazione nella letteratura, nella sociologia, nella filosofia, nella psicologia.

Punto 1:
Il lettore dipende passo per passo da ciò che è scritto. Lo scrittore allaccia il lettore e ne controlla le reazioni con i suoi micro colpi di scena: è “letteratura” al livello più basso. L’azione è dilatata in un modo spropositato. Non è che lo scrittore sprechi il tempo, ma lo dilata. È la tecnica delle soap-opera.
Punto 4:
La narrativa poliziesca e il cinema svilupperanno personaggi a partire da questo tipo. È la fabbrica dei personaggi.

Sullo sfondo, il teatro. Bisognerebbe poi precisare, a partire da questo romanzo, la tecnica teatrale utilizzata da Dostoevskij nei suoi romanzi. Il testo, in alcuni momenti, sembra descrivere ciò che avviene su un palcoscenico.
(Precisare: come si manifesta la tecnica teatrale? per es. l’entrata in scena dei personaggi, i loro movimenti sul palco-città, ecc.) Perché il teatro entra così platealmente nella struttura del romanzo?

Allora che cosa si aggira per l’Europa, nella domanda che coinvolge il tempo da Dostoevskij a Šostakovič?

L’ansia revisionistica

Il revisionismo sembra afflitto da una specie di ansia consistente nel voler dimostrare che i nazisti non hanno commesso i genocidi di cui comunemente li si accusa. Forse anche nell’ambiente variegato della destra si tende sempre più a vedere i nazisti come bravi ragazzi di un lontano tempo da poco passato. Probabilmente, è una tendenza dovuta ai brutti tempi. Brutti tempi che spingono verso una democratizzazione generale delle idee.
Il nazismo ha avuto l’importanza di parlare apertamente di razze inferiori e di razze superiori e di costruire un sistema ideologico e politico fondato su questa divisione. Per la prima volta il concetto cristiano di uguaglianza se la passava male. Il nazismo è stato un fenomeno contraddittorio, ma in qualcosa ha invertito una tendenza, individuando dove ancora poteva essere possibile una rivolta contro i pregiudizi del mondo moderno. Da qui l’altra domanda: chi vuole veramente opporsi, oggi, a questi pregiudizi? Infatti la questione si poneva, allora, in un modo irrecuperabile per l’oggi. Questa questione suona: che cosa fare delle razze inferiori? Una cosa o l’altra poteva essere fatta. Irrecuperabile? Se non nella pratica, almeno nel pensiero se ne dovrebbe tentare il recupero. Per la prima volta il cristianesimo sembrava non avere più l’importanza ideologica di sempre nelle lande dell’Occidente. Secondo il modo di pensare comune, spetta all’ideologia di sinistra la fama di pensiero d’opposizione al cristianesimo. La verità storica può segnalare le battaglie intraprese dai vari stati socialisti per affossare il cristianesimo. Ma il socialismo si basa sullo stesso principio del cristianesimo: l’uguaglianza. Il nazismo rimuoveva alla base questo principio.
Luca Leonello Rimbotti ha scritto un libro interessante sulle caratteristiche del nazismo. Caratteristiche affrontate da un punto di vista del tutto anticonformista: Il mito al potere (Edizioni Il Settimo Sigillo, Roma 1992). Il sottotitolo ha caratteristiche ancora più moleste: Le origini pagane del nazionalsocialismo. Il revisionismo parte dal principio di stabilire la verità storica. Si può dire, in fin dei conti, che sia una cosa tanto importante, la verità storica? Si ha il sospetto che questo mirare a una verità storica obiettiva nasconda una diffusa timidezza: assolvere per non schierarsi. Se il rischio fosse di perdere di vista quello che il nazismo ha rappresentato di nuovo radicalmente? Forse l’importante non è stabilire che cosa il nazismo abbia o non abbia fatto, quanto accettare quello che sarebbe stato possibile fare a partire da una ideologia come l’ideologia nazista. Alla verità storica bisognerebbe allora accostare il vertice del “verosimile” come categoria che qualunque storia porta sempre con sé e valutare non solo in base a quello che si è stati capaci di fare, ma anche in base a quello che non si è stati in grado di fare, ma che giaceva come un sogno appena sbocciato nelle lagune del progetto.

Il posto del soggetto

Il romanzo è il genere delegato alla rappresentazione del soggetto e delle sue vicissitudini. È cioè il luogo letterario dove il soggetto trova la sua massima possibilità di espansione.
Nel Primo cerchio di Solženicyn il soggetto trova la propria collocazione come “posto” al termine della narrazione e questa trovata collocazione si presenta:
– come dichiarazione di guerra contro lo stato socialista,
– come apertura alla decostruzione del romanzo in quanto forma superiore di romanzo. Forma che verrà attuata in Arcipelago Gulag.
Il posto del soggetto è riconosciuto al termine di una catena di sequenze incatenate tra loro. La concatenazione di sequenze comprendente pochi capitoli è il tratto distintivo della struttura del Primo cerchio perché proprio in una teoria di catene il soggetto può trovare il proprio posto a partire da una teoria della catena.
Tale romanzo si pone come ricerca del posto del soggetto che è in tutto un Ricercare, ma che si compone come messa a fuoco di un soggetto solo in quanto tale soggetto si pone come dichiarazione di guerra contro lo stato socialista. I rapidi accenni a Ojmjakon e alla terra oltre il Circolo Polare dell’ultimo capitolo hanno l’inconsistente spavalderia dei canti di battaglia popolari.
Ufficialmente, il posto del soggetto è raggiunto dopo la sequenza che orchestra l’arresto di Innokentij Volodin (capp. 82-4). Considerando che alle diverse tecniche dell’arresto messe in opera nello stato socialista è dedicato il primo capitolo di Arcipelago Gulag, si vede come il tema dell’arresto incateni la comparsa del soggetto in un punto preciso, che a sua volta chiama in gioco la rappresentazione del sistema dei campi di lavoro dello stato socialista.
Nella conta dei campi dello stato socialista, infatti quello che manca è appunto il soggetto. Questo proprio perché ciò che manca è la mancia lasciata ad arte dalla narrazione. Questa mancia che manca è appunto ciò che marca il soggetto in quanto vacanza ad un posto. Nessuno infatti è saggio, se lascia qualche traccia e il soggetto è solo il lampo di un tramonto limpido.
Poiché la mancia che manca è appunto ciò che manca al soggetto come mancia per porsi come ciò che manca alla teoria della mancia in quanto ciò che manca a ciò che manca al soggetto. Che è ciò che pone la decostruzione del romanzo, in quanto mancia di ciò che manca al soggetto, come ciò che marca ciò che manca alla mancia lasciata, cioè la posizione del soggetto.
Il posto del soggetto così raggiunto in questo romanzo è ciò che lascia vacante il romanzo come posizione nella letteratura, aprendo perciò alla decostruzione del romanzo.
La fuga del soggetto apre la porta sulla fuga del punto di fuga in quanto messa in prospettiva: cioè prospettiva in quanto fuga di spazi e arte della prospettiva.
La posizione dell’autore si determina come posizione di un vero signore che lascia sempre la mancia che manca al suo impegno nell’essere un signore delle parole.

Oltre la Grecia

Un pensiero nuovo, in grado di abbandonare, finalmente, le odiate sponde del levantino sud d’Europa, è diverse volte sembrato vicino. È accaduto con Nietzsche, poi con Heidegger, e ancora con Dumézil. Ma non è mai stata affrontata la questione fino in fondo: e allora il pensiero, come un animale fin troppo domestico, è tornato a raggomitolarsi nel suo nido di parole del sud dell’Europa.
“Affrontare la questione fino in fondo” vuole qui dire andare oltre un pensiero che vede nella Grecia la sua giusta e inevitabile origine.
Heidegger è importante anche per le possibilità di pensiero che apre oltre la Grecia (come poi Dumézil); ma perché, nel suo pensiero, tutto si chiude sempre intorno alla Grecia (come anche avviene in Dumézil)?
Con l’espressione “possibilità di un pensiero oltre la Grecia” si intende una possibilità riservata al pensiero occidentale tale da poter esercitarsi al di fuori di ciò che è stato il pensiero greco. Ma al di fuori della Grecia, per come l’Europa è stata stabilita prima ancora che si potesse parlare di Europa, c’è la Germania. Intendendo con “Germania” quella parte dell’attuale Europa che Roma ha cercato di sottomettere e che solo con la “battaglia di Arminio” si è svincolata parzialmente da questo dominio. Vale a dire: la civiltà germanica.
Una prima considerazione può essere fatta a proposito della Allocuzione per la cerimonia del solstizio d’estate (24 giugno 1933) di Heidegger.
Che cosa dice Heidegger in questo discorso? «I giorni declinano», e lo ripete tre volte in un testo brevissimo. Dopo il solstizio d’estate le giornate si accorciano. Gli Indoeuropei celebravano i solstizi: quello gioioso d’inverno (gioioso perché, pur nel buio delle giornate, si riconosceva il ritorno della nuova luce), quello malinconico dell’estate (perché nella piena luce si riconosceva il punto massimo raggiunto, oltre il quale c’era solo discesa). Heidegger riconosce un fatto comune al gruppo indoeuropeo. Ma l’epoca del solstizio d’inverno è la notte senza dèi in cui avviene l’annuncio dei nuovi dèi. Che è quello che viene trovato nella poesia di Hölderlin.
Cristiano Grottanelli ha tracciato delle corrispondenze tra il Discorso di Rettorato di Heidegger e la teoria della tripartizione funzionale di Dumézil: «È facile riconoscere nei tre doveri del Rettore Heidegger le tre funzioni nell’ordine inverso: III, II, I, ma anche le due figure jüngeriane del Combattente e del Produttore, più una terza figura qui presentata come dovere-funzione del sapere, che è lo stesso Heidegger in quanto “sapiente” tedesco.»
In tutti e due i casi, Heidegger accetterebbe antiche strutture germaniche (se non indoeuropee), che l’epoca contemporanea aveva ormai diminuito di valore.
Se l’esperienza del Rettorato consistesse proprio in questo: nella messa in pratica, intravista da Heidegger, di poter andare oltre la Grecia? Questa possibilità può concretizzarsi solo attraverso una rinascita della germanicità. Doveva toccare alla germanicità agire nell’epoca contemporanea allo scopo di rinnovarla. La germanicità così stabilita poteva essere ripresentata dal movimento politico di Hitler. Heidegger aderisce alla germanicità (perché vede in essa un qualcosa di autenticamente profondo – oltre la Grecia). La germanicità era un legame tra i vari gruppi che componevano il popolo tedesco: era il passato di questo popolo e ne avrebbe costituito il futuro. Il futuro così determinato sarebbe stato il riconoscimento, da parte del popolo tedesco, del proprio passato inteso come germanicità – oltre la Grecia: in questo Heidegger poteva vedere il nuovo compito della Università tedesca. Da qui il riconoscimento da parte di Heidegger di alcuni elementi fondamentali: la tripartizione indoeuropea; la struttura Führer–Gefolgschaft; la celebrazione del solstizio d’estate.
La struttura Führung/Gefolgschaft indica l’antica struttura germanica del Capo e del suo Seguito. Se il Seguito riteneva il Capo indegno di essere seguito, gli si ribellava contro; la stessa cosa si aveva anche a proposito degli dèi.
Se Heidegger seguisse degli antichi usi germanici? Se il suo interesse per il nazismo fosse stato deciso proprio da questo possibile ritorno di antiche consuetudini? Considerare l’origine contadina di Heidegger. Evola vedeva nel corpo della SS il ritorno di un’antica struttura germanica (in realtà indoeuropea): la banda di guerrieri che si organizza spontaneamente intorno a un Capo.

     C. Grottanelli, Ideologie miti massacri, Sellerio editore, Palermo 1993. Il discorso riguardante Heidegger «erede inconscio del trifunzionalismo indoeuropeo» occupa le pp. 92-5. Il brano citato sopra è alle pp. 93-4.

     Allocuzione per la cerimonia del solstizio d’estate (24 giugno 1933) e Discorso per il Rettorato, in M. Heidegger, Scritti politici (1933-1966), Edizioni PIEMME, Casale Monferrato 1998.

     L’interesse del giovane Nietzsche per la mitologia e la letteratura degli antichi popoli germanici è adesso contenuta in F. Nietzsche, Scritti giovanili 1856-1864 (Opere di Friedrich Nietzsche, vol. I, tomo I, Adelphi, Milano 1998).

Il senso della terra

«Coloro che abitano un mondo dietro il mondo sono, in tedesco, gli Hinterweltler (il titolo di questo terzo discorso suona in originale: Von den Hinterweltlern). Ma gli Hinterweltler sono, in italiano, coloro che abitano un mondo dietro il mondo solo se si tiene presente che il termine è ricalcato su Hinterwäldler. Gli Hinterwäldler sono coloro che abitano dietro i boschi, cioè al di là di essi, dalla parte che non comunica con la civiltà, faccia non illuminata della luna. Sono uomini primitivi, zotici, che vivono “fuori del mondo”, una vita solitaria e bestiale.» (S. Giametta, Commento allo “Zarathustra”, Bruno Mondadori, Milano 1996, pp. 21-2.)

Il bosco germanico è diverso da quello latino. Pensare al bosco delle fiabe. Nelle fiabe dei Grimm il bosco è vicino alle case. In Basile il bosco esiste solo nella forma di un giardino attorno al palazzo dove vive l’orco come un qualsiasi altro abitante della città. Ogni filosofia costituisce un rapporto tra le parole di una lingua e i concetti che essa formula a partire da quella lingua. La lingua tedesca crea un termine per indicare ciò che vive aldilà della civiltà, e questo termine è appunto ciò che la filosofia, a un certo punto, deve modificare per segnare una frattura con la filosofia ad essa precedente. La civiltà latina parla più genericamente di “mondo”. La civiltà germanica parte dalla terra; e dalla terra dove c’è il bosco, che divide diverse terre. La civiltà latina crea un vocabolario filosofico che ignora tutto ciò che è del Nord, perché per essa il mondo germanico poteva esistere solo in quanto terreno di una conquista. La civiltà germanica crea un vocabolario che si oppone al mondo del Sud, perché ormai, a partire da Nietzsche, creare un nuovo vocabolario filosofico vuole dire opporsi alla civiltà latina: «Più onesto e puro parla il corpo sano, nella sua perfezione tetragona: ed esso parla del senso della terra.» (F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, in Opere di Friedrich Nietzsche, volume VI, tomo I, Adelphi, Milano 1973, p. 33.)
La metafisica è intessuta di pensiero giudaico-cristiano, che a sua volta è un tessuto della terra del sud. Questa è la tessitura inconsapevole della filosofia occidentale dalla quale essa origina i propri concetti, che solo in apparenza sono slegati da una terra, relativi soltanto a un mondo dello spirito, ma che in realtà sono collegati a un mondo di una terra precisa. Un mondo che vedeva un mondo dietro il mondo. L’espressione “fine della metafisica” smaschera questa larva di mondo opponendogli un altro mondo, quello germanico, ma evitando appunto il salto della messa in maschera. Nominando, prima di tutto. Non corpo e anima, quindi, ma corpo e terra.
La filosofia non ha mai parlato della terra, ma parlare della terra è appunto il nuovo compito che attende la filosofia.
Il tema è indirettamente presente in Perché restiamo in provincia? di Heidegger. La filosofia, si fa lì notare, può nascere solo da quel preciso e ristretto ambiente: dai discorsi con i contadini, dagli animali che accompagnano il lavoro dei contadini, dalle tempeste improvvise di neve che sorprendono il lavoro del filosofo. È una filosofia che deve nascere da altre parole. Tutto questo non determina solo l’ora della filosofia, ma l’era diversa dove il pensiero e il suo  vocabolario devono infine arrivare.