Europa

Che l’Europa non abbia mai riconosciuto e fatto i conti il meticciato al suo interno, comporta che possa adesso tollerare il fatto che l’Europa non sia più la terra degli Europei.
Se l’Europa, a partire dagli anni ’50, avesse riconosciuto come elemento estraneo all’Europa e respinto – perché elemento estraneo all’Europa – il meticcio italiano, l’Europa non si troverebbe – adesso – a dover fare i conti con il Negro, con l’Arabo, con l’Indio.

Il peso del postmoderno

Che cosa dice il sogno della notte più lunga del meticcio italiano? Niente notte della veglia dei Finnegan, in Italia. Gli unici pasticciacci sono quelli di Gadda e di Camilleri. Pasticciacci da salotti. Infatti, Ombre Rosse e Ombre Nere costituiscono il pasticcio che più piace agli italiani Bianchi di Sinistra. Con occhio massonico il meticcio italiano guarda il mondo.
Il romanzo buonista postmoderno italiano rappresenta il peso del romanzo postmoderno messo a nudo, che però ne evidenzia l’aspetto fondamentale: cioè la nudità che lo veste.
In Italia i romanzi postmoderni dell’Eco lumacone hanno il merito di far luce, una volta per tutte, sul profondo senso di colpa che pervade ogni aspetto della triste vita del meticcio italiano. Permettono di rivedere la letteratura italiana, e non solo. Nella letteratura, nella politica, e poi in ogni aspetto della vita quotidiana, il meticcio italiano rivela un forte senso di colpa che dirige e pervade infatti i suoi tanti gesti miseri e volgari. È come se il meticcio italiano si riconoscesse da sempre irretito in una situazione angosciosa, dalla quale egli si è più volte risvegliato, passando da un accenno di incubo a un dormiveglia subdolo e colpevole, ma situazione dalla quale egli è ben conscio di averne sempre tratto profitti enormi, costanti e casuali – da qui il suo bisogno finale di espiazione.
È evidente che, in queste condizioni, il meticcio italiano debba volgersi verso gli strati sociali e le parti del mondo che più si dibattono per tentare di sopravvivere. E che debba pensare di dedicare a loro il suo discorso-manifesto, celato nelle spoglie di un romanzo strategicamente postmoderno. Egli può pensare così che da quelle plaghe arrivi infine a lui la chiamata. Ma chi chiama il meticcio italiano? Chi mai ha interesse a chiamarlo? Il meticcio italiano è ben diverso dal tormentato meticcio slavo, che almeno ha avuto il suo Dostoevskij. È però qui in gioco un meccanismo testardo, testardo come il meticciato, che in parte soddisfa – e in parte inchioda – il senso di colpa del meticcio italiano. Si è mai notato che ogni cosa che fa il meticcio italiano deve rispondere a una domanda del tipo: “Cosa hai fatto, tu, per impedire questo sopruso? e cosa pensi di fare ora, tu, che ne sei a conoscenza?” È questa ansia di bilanci che rende tanto falsa e pesante la letteratura del meticcio italiano. Letteratura sempre soppesata sul bilancino. Ma solo perché non si ha a fuoco il personaggio da cui tutto parte: il meticcio italiano, personaggio picaresco a tutto sfondo. Peccato che l’Italia non abbia avuto una letteratura picaresca, anziché pittoresca, come più o meno ha avuto. E peccato non abbia avuto un Dostoevskij. Ma poteva, l’Italia, avere una letteratura? Penso proprio di no!
La questione è: da dove proviene il senso di colpa del meticcio italiano? In che cosa può esso consistere? C’è qualcosa che il meticcio italiano sa e che lo tormenta? Se sapesse di non essere un europeo e di non avere diritto di stare in Europa? Se sapesse che tutta la sua storia, così fraudolentemente messa insieme, è un imbroglio? Il meticcio italiano rappresenta la comparsa aggiornata dell’uomo più brutto nella catena del ritorno, secondo quanto si legge sull’eterno ritorno nello Zarathustra. Il meticcio italiano sa di dover tornare in eterno nella catena delle ingiustizie e sa di essere parte integrante di questa ingiusta catena. Per questo il meticcio italiano è quell’essere che, nella letteratura, medita, macina e sputa infinita tristezza. Se il meticcio italiano sapesse che non potrà mai andarsene dal luogo dove non ha nessun diritto di stare, e se proprio questo fosse il suo pensiero più colpevole?

Superuomo e postmoderno

La narrativa postmoderna rappresenta una scollatura del rapporto tra il soggetto e gli infiniti oggetti del mondo tutti ormai a sua disposizione. Il soggetto non si riconosce più come superuomo in quanto esponete della compiuta manifestazione dell’epoca della metafisica, e fa un balzo indietro rispetto a quanto formulato in proposito da Nietzsche.
Nietzsche aveva individuato nel superuomo l’esponente della compiuta manifestazione dell’epoca della metafisica.
Ma come portare a rappresentazione il dominio effettivo del mondo? E, a livello di letteratura, come rappresentare la realizzazione del dominio effettivo del mondo? Gli appunti, risalenti al 1888, sui nuovi futuri padroni del mondo, stesi da Nietzsche, sono ancora tutti da pensare – perché, troppo velocemente, sono stati liquidati come argomenti che non meritano di essere pensati. Ma forse, per quanto poco considerati, danno vita a un qualcosa, ancora non considerato, nel campo della sotto-letteratura e del cinema. Ma da proprio da questi campi, sotto-letteratura e cinema, si fa vivo il postmoderno.
Ogni frase, scritta nell’epoca del compimento della metafisica, porta con sé il paradiso, porta con sé l’inferno.
L’ipotesi del superuomo di Nietzsche andrebbe articolata secondo due possibilità:
1) l’ipotesi del superuomo vero e proprio (con esito verso un pensiero disantropomorfizzante);
2) l’ipotesi dei futuri padroni del mondo (con esito verso il ripescaggio di un pensiero antropomorfizzante di tipo tardo-romantico).
Il postmoderno presenta una narrativa dell’epoca della compiuta realizzazione della metafisica attraverso l’esclusione dell’ipotesi del superuomo. Così qualunque soggetto è un soggetto in balia della totalità degli oggetti del mondo, ma tutti a sua completa disposizione. È in questo bilanciamento ciò che porta alla biforcazione del caso Italia e del caso Giappone.
Per quanto riguarda la possibilità di una narrativa basata sul superuomo (come esponente dell’epoca della compiuta manifestazione della metafisica), l’Italia ha mostrato le due possibilità antitetiche: la narrativa di Gabriele d’Annunzio, nella quale il superuomo era tutt’uno con il protagonista (Il Fuoco); la narrativa di Umberto Eco, nella quale il superuomo non è considerato come ipotesi degna di attenzione, e il romanzo può sorgere, appunto, grazie alla negazione concreta del superuomo.
Nel romanzo postmoderno ogni cosa del mondo, compresa la stessa letteratura, diventa qualcosa simile a un parco giochi; diventa la stesura letteraria di un video-game, e anche la stesura letteraria di un gioco di ruolo. Il postmoderno è una sosta confortevole, la sosta nel luogo in cui si atterra alla fine del balzo che porta – adesso – a situarsi nel luogo prima della formulazione della teoria di Nietzsche circa il superuomo.
Per avere una reale contrapposizione a questo “caso Italia”, è necessario ricorrere, ancora una volta, al “caso Giappone”.
La questione che così viene posta al romanzo, è del tipo: “Se il romanzo è storiografia, di che cosa si fa allora storiografo il romanziere? ”
L’odiosa ideologia “buonista”, che il postmoderno ha rappresentato tramite i romanzi di Umberto Eco, non è l’unica manifestazione della narrativa postmoderna. La narrativa di Murakami Haruki ne ha infatti presentato tutta un’altra possibile forma. Ugualmente detestabile. Così, in Giappone il postmoderno ha dato origine a una geometria del caos e a una parallela geometria del caso; mentre ha dato origine, nella maledetta Italia dalla tormentata anima massonico-risorgimentale, a un impegno sociale, centrato sulla infinita e nascosta predica buonistica. La differenza può consistere in ciò che fa del Giappone il più grande produttore di golem del pianeta, secondo le parole di Miguel Serrano, e che invece ripiega l’Italia in un ridicolo progetto di mobilitazione globale dal fine vagamente utopistico e rosato, progetto che mette in berlina il grande senso di colpa che lo anima e lo istupidisce.
Ma si tratta sempre di tutta la stessa forma che, di soppiatto, mette le mani in tasca per borseggiare.
Il Giappone si pone come il più grande produttore di golem del pianeta. Il più grande produttore di prodotti che sporcano il mondo. Prodotti fatti per giocare, come quelli che provengono dagli Stati Uniti. Il cinema prima di tutto. Prodotti fatti per non pensare. L’Italia si pone su tutto un altro piano della replicazione golemica: spassionata dichiarazione di adesione alla propria malinconica ideologia in quanto unica ideologia delle diverse ideologie del passato. Ma ideologia del senso di colpa, prima di tutto. Nella Terra della Sera, quanto sbandierato dalla maledetta Italia è solo lo straccio di ciò che rimane delle ideologie cristiano-ebraico-socialiste, straccio a brandelli in un mondo senza vento.
La differenza è che il Giappone è l’artefice della replicazione golemica che sporca il mondo, mentre l’Italia è la sporcizia stessa della replicazione golemica, ma ad arte creata apposta per ripulire la propria coscienza – mai affrontata da uno sguardo non compiacente.
Il postmoderno è la ricaduta verso una antropomorfizzazione di tipo tardo-romantico.
Al di fuori del postmoderno, l’aspetto più emblematico verso cui il pensiero può essere condotto è quello che ne permette l’articolazione in termini del tutto disantropomorfizzanti. Si avrebbe così un pensiero la cui caratteristica fondamentale sarebbe – appunto – la disantropomorfizzazione a livelli attualmente inimmaginabili. Questo pensiero sarebbe il pensiero più adatto per la nostra epoca.