Il filosofo, così come lo scrittore, non è altro che una possibilità della lingua. Forse è un qualcosa che la struttura di una lingua contiene come suo progetto attentamente pensato nel tempo. Bisogna solo attendere il tempo della sua venuta.
Così, filosofi e scrittori nascono solo nelle lingue che per secoli ne hanno, per così dire, preparato, senza volere, la comparsa.
Le parole composte tipiche della lingua tedesca sono uno strumento per il pensiero di Meister Eckhart, Novalis, Heidegger. È dalla riflessione su alcune parole della lingua che nasce lo stupore della riflessione sul mondo.
Ciò che il filosofo riflette è l’andare del popolo attraverso il suo tempo. Il tempo è sempre ciò che annulla, ma è anche ciò che preserva con amore.
Così è la lingua a chiamare il suo filosofo. L’Italia non può avere una filosofia, così come non può avere un poeta. Non si può parlare della lingua senza parlare dell’alingua. Lingue di questo genere devono preparare, con perplesso amore, alla scomparsa…
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Terraferma
Gli Italiani sono un popolo di bastardi. Il meticciato di quella razza non-razza è impresso nella lingua in un modo che viene sempre raggiunto da una piena luce abbagliante. Tutte le parole di quella lingua bastarda suonano l’essere meticcio del meticcio italiano. E tutte le brutte parole di quella lingua non-lingua di quella razza non-razza, come in un ritornello punk, suonano e crocchiano: “Meticcio d’Italia, niente futuro! Niente futuro in Europa per te!”
Una nazione di questo tipo è una nazione di predoni di ogni tipo. Una nazione di questo tipo è anche una nazione di predoni di parole.
La parola “terraferma” può funzionare da esempio.
La parola italiana “terraferma” suggerisce un tipo di terra che si oppone a un’altra, la cui caratteristica principale è quella di non essere ferma.
Nel folklore celto-germanico le isole sono spesso indicate come terre inizialmente “non ferme”, e che solo un atto magico di saldatura alla terra ha potuto, successivamente, rendere ferme in modo definitivo. A volte la lingua nomina il continente come “terra principale” (inglese mainland, islandese meginland); altre volte lo nomina come “terraferma” (norvegese e svedese fastlandet). Ma in entrambi i casi, è sempre fondamentale la presenza di un insieme di credenze tradizionali, da cui si proietta il carattere non fermo attribuito inizialmente all’isola, e giustifica la presenza di quella parola nell’insieme delle parole della nazione, che è allora il tesoro del popolo che abita quella terra.
La lingua italiana usa la parola “terraferma” senza quell’insieme di tradizioni che ne giustificherebbero la presenza. L’insieme di tradizioni in essa non presenti, spinge però a ricercare, là dove queste tradizioni sono presenti, la ragione di ciò che, lì, non si riesce a comprendere. A dispetto dei predoni, nelle parole ci sono sempre mille folletti che allacciano trappole pronte a scattare.
Vale la pena fare almeno due considerazioni:
1) L’Italia utilizza una parola che rimanda a tradizioni che non le appartengono.
2) Inconsciamente, l’Italia non si ritiene parte dell’Europa, riconoscendosi invece come terra fluttuante, cioè come isola in opposizione all’Europa. Infatti l’Italia non può riconoscersi come isola, ma può (inconsciamente) segnalare l’anomalia della propria posizione in Europa accogliendo nel suo maledetto vocabolario la parola che rimanda alle tradizioni alla quale essa non appartiene: le tradizioni popolari autenticamente europee e indoeuropee.
Così l’Italia, come “isola che non è”, attraverso una delle sue parole rubate, sembra non potere fare a meno che attendere il colpo che la separerà per sempre dall’Europa. Europa alla quale, per comunità di tradizioni, l’Italia non appartiene, non ha mai appartenuto e mai apparterrà.
Una visita da lontano
– Scusi… Signore!
– Prego! AIUTO! Un Alieno, e là c’è anche il disco volante…
– Stia calmo! Sì, sono un Alieno, ma non ho intenzioni aggressive. Vorrei solo qualche informazione.
– Se è così, mi tranquillizzo! Prego, chieda pure!
– Vorrei sapere: non dovrebbe esserci una terra, là, in quel punto dove adesso c’è solo mare?
– Una terra?
– Sì, una terra. Vede quel moncherino schifoso, tutto avvizzito e, a tratti, un poco fumante e puzzolente? Secondo le informazioni in nostro possesso, da lì dovrebbe partire una penisola di notevoli dimensioni.
– (Ahimè!) Proprio di una penisola parla? (Ahimè! Ahimè!) Non so, non capisco…
– Guardi questa mappa.
– Veramente… Mi sono ricordato di non avere proprio tempo…
– La guardi. Qui è dove siamo noi, e qui è dove dovrebbe esserci la terra di cui le parlavo, che invece non c’è.
– Ah! La Maledetta Italia! Lo sapevo! Metta via quella carta! La metta via!
– Perché?
– La metta via! La metta via, le dico! Bene! Adesso si avvicini. Parli a bassa voce. Sì, laggiù stava l’Italia: la Maledetta Italia! Ma adesso, come può vedere, per fortuna non ci sta più. Gran brutta gente: nasi da ebrei; ceffi da zingari. Tutto in una sola brutta faccia. Sa come erano chiamati? “Il popolo dei bastardi”. Ma porta male parlarne. Ecco là: che le ho appena detto? Guardi il disco volante. Si sono spente le luci. Ora per lei sarà un bel guaio.
– Ma no, è andato in standby.
– Meno male. Lo dico per lei. Qui nelle vicinanze abbiamo un solo meccanico. È un brav’uomo, ma è tutto fatto a suo modo. È astemio e sembra sempre ubriaco.
– Posso chiederle dove è finita tutta la gente che abitava quella terra?
– Che vuole che le dica? Ringraziamo Dio, piuttosto, per non avere più a che fare con loro.
– Che fine hanno fatto?
– Che fine vuole abbiano fatto? Hanno fatto la fine del topo di fogna quando viene portato fuori dalla fogna di casa. Si sono estinti.
– E perché la terra è ridotta a quel misero moncherino? Prima, se non sbaglio, quella penisola aveva una notevole estensione…
– Quando quella terra (grazie a Dio!) non fu altro che un enorme cimitero, il veleno contenuto in tutte quelle maledette carcasse, lì seppellite tutte insieme, finì per corrompere e disgregare la terra, che alla fine prese l’aspetto che ora può vedere.
– Ah, ecco! Certo, doveva essere gente ben disgraziata!
– Lo può ben dire!
– Che lei sappia, credevano in qualcosa di superiore? Che so: uno Spirito Supremo? un Dio Padre?
– Più che in un Dio Padre, credevano in un Dio Padrino. Lo rappresentavano con le fattezze di uno dei tipi più primitivi della loro razza stramaledetta, già di per sé abbastanza primitiva: basso di statura, tarchiato, sempre tutto ingrugnito, vestito in modo sommario, con la coppola in testa calata sulla fronte e la lupara pronta sulla spalla destra. Una figura molto poco rassicurante. Secondo alcune teorie, fu appunto questo bel generino di divinità a farli fuori tutti, uno per uno, percorrendo il maledetto territorio e sparando a tutti quelli che incontrava. Probabilmente avevano avuto da ridire su qualcosa tra di loro. Quelli facevano presto ad accopparsi. Lo chiamavano: “uno sgarro”. Dia retta a me, è una grande fortuna che siano scomparsi.
– Non lo metto in dubbio! Solo, adesso dovremo aggiornare le nostre mappe e anche i nostri databases relativi a popolazioni e credenze religiose. Sa cosa significa?
– Mi dispiace. Non so che dirle. Io parlo dal mio punto di vista.
– In qualche modo faremo. Lei è stato molto gentile. Spero non averle fatto perdere troppo tempo.
– No, assolutamente. Faccia buon viaggio.
– Grazie. Arrivederci!
– Arrivederci!
– Vada pure, se vuole. Io devo mettere in moto.
– Ci mancherebbe. Aspetto volentieri. Bene, è ripartito! Certo, è stato uno strano incontro… Chissà, lo potrò raccontare? Però, che incubo che erano, quelli là! Erano odiati da tutti e presi in giro da tutti. Infatti se ne poteva sempre incontrare qualcuno in ogni angolo del mondo. Aspetta… aspetta… A proposito di “raccontare”… Mi viene in mente un personaggio di fantasia, creato a loro somiglianza, che aveva anche avuto una certa notorietà… Doveva essere il protagonista di una serie di filmetti polizieschi. Roba squallida, ma che rappresentava bene il tipo: era antipatico, puzzolente, prepotente, sporco lurido lercio, schifoso, servile, arrogante, malvisto, trafficante, ignorante, meschino, trasandato, sempre con una fame da orbi, sempre dappertutto, sempre fuori posto dappertutto, sempre pronto a fregare il prossimo, spione, abbarbonato, brutto, miserabile, cencioso, pezzente, straccione, poveraccio, maligno, poco intelligente ma astuto nel fregare chi gli capitava a tiro, diffidente, maldisposto verso tutti, che seminava zizzania dappertutto: una vera muffa ambulante di sottouomo, un vero rappresentante di quel popolo maledetto di bastardi. E… (ora mi ricordo!) aveva sempre l’abitudine di dire: «Quando lo racconterò a mia moglie…»
Il nuovo Arminio che verrà
La differenza tra Nord e Sud d’Europa non richiama una differenza tra popoli ricchi e popoli poveri (come vorrebbe la visione del mondo italo-semita), ma una differenza tra razza bianca e meticciato.
Pinocchio
Pinocchio come fallimento del Bildungsroman in Italia.
L’Italia non può avere un romanzo che mostri la formazione dei propri cittadini attraverso un personaggio fittizio di romanzo, come ad esempio è avvenuto in Germania, dove il Bildungsroman è nato.
Un Bildungsroman in Italia è possibile solo come accettazione passiva di un codice educativo. Che si presenta soprattutto come codice punitivo. Codice, quindi, sospinto dentro con forza. Codice che non si riferisce a un libero cittadino in una libera nazione, ma che impone il passaggio, mai onestamente espresso, da burattino a marionetta. Non c’è nessuna sorpresa. Così il romanzo diventa un modo per mettere in ordine i conti sporchi. Tutte le male azioni di Pinocchio giungono al pettine e Pinocchio deve sempre capire, al termine delle sue azioni sconsiderate, che avevano sempre ragione gli educatori.
Ma perché? In realtà, proprio in questo andare indietro nel tempo sta la truffa, perché l’Italia è solo una cagata recente.
La Germania, paese dove il Bildungsroman è nato, ha dato la nascita a uno dei più strani romanzi che esistano: il Parzival di Wolfram. Il Parzival di Wolfram è indicato come il romanzo che ha segnato la nascita del Bildungsroman.
C’è una grande differenza tra lo strano Parzival e il geometrico Pinocchio. Quindi c’è da chiedersi: che cosa compone la formazione di un romanzo in grado di mostrare la formazione di un individuo?
Infatti, quello che Pinocchio diventa non è un qualcosa di diverso da quello che era in principio, ma un qualcosa che lo riconcilia col suo popolo di marionette, cioè un burattino, per quanto egli, all’inizio della storia, non fosse neppure un burattino, ma qualcosa di simile a una marionetta.
L’Italia non può avere una letteratura perché non ha un popolo al quale la letteratura può funzionare da insegnamento in quanto rivelazione del proprio destino in quanto destino della razza. Qualcosa come una letteratura italiana deve avere lo spirito della sonata surreale di fantasmi su un palcoscenico di periferia putrescente. Che è quanto Pinocchio fa egregiamente. Un’orchestra da camera che suona sguaiatamente in sottofondo, fuori scena, lontano dalla scena dove si situa la scena sgangherata dello spettacolo fondamentale. Come nella Lulu. Che è quanto Pinocchio sembra offrire.
Notare il sottotitolo: Storia di un burattino. È un sottotitolo che dice tutto: Pinocchio è un burattino. È un burattino che però ha una storia. Questa storia lo porterà a essere qualcosa di diverso da un burattino. Ma che cosa? Appunto qui sta la questione. L’inghippo è proprio nella definizione fornita all’inizio della storia, cioè nell’indicazione “burattino”, che è una indicazione sbagliata per quanto riguarda l’azione, ma che è una indicazione più che esatta per quanto riguarda il meccanismo dell’azione. (Tutta l’arte degenerata diventa grande arte in base a queste apparenti distrazioni.)
Il romanzo Pinocchio riporta la storia del burattino Pinocchio, che da burattino, diventa infine un’altra cosa. Ma che cosa diventa? Il romanzo Pinocchio mostra che, da “burattino”, Pinocchio diventa infine bambino umano, cioè essere umano. Pinocchio nasce come burattino. Il testo è ambiguo su questo termine. E questo, da parte del testo, è una strana ambiguità, Questa ambiguità è pari a quella che accompagna la cagata dell’Italia come nazione. Conosciamo Pinocchio come un burattino appena abbozzato. Vale a dire: come un burattino da rifinire, da precisare, da rimpinzare. Quello che manca in questo burattino è il ripieno della cultura.
La cultura italiana è il ripieno adatto al burattino Pinocchio. Geppetto ha fame di fortuna. Cioè ha fame di soddisfare la propria fame. Pinocchio nasce all’insegna della fame. Gli animali sono proprio come gli Italiani: pensano sempre a mangiare. E come sa chiunque si diletti di culinaria, il ripieno è qualcosa che si infila nel didietro di una carcassa pronta e in posa per essere rimpinzata.
È infatti la mano di un burattinaio a dare la vita al povero burattino.
Notare che la parola italiana “culinaria”, l’arte della cucina, deriva da “culo”, perché nell’antica Roma i gabinetti erano vicini alle cucine. Quando si tratta di “arte del culo”, si scopre sempre che gli Italiani (che Dio li stramaledica!) ne sanno sempre più di tutti.
Pinocchio ha così qualcosa della pornodiva. Si esibisce su un palco. Ma come per certe pornostar, la sua fama specifica dipende dalla disponibilità che dimostra nel… “recitare di schiena”.
In questo caso particolare, nel farsi compenetrare dalla maledetta cultura italiana, che come un’onda maledetta di ladri, entra, silenziosamente, nel mezzo della notte più nera della cultura europea, dal didietro.
(Maledetta Cul Tura italiana. Maledetta cultura italiana TuraCul, TuraCul. Dio vi stramaledica tutti, Italiani bastardi! Dio vi stramaledica tutti, soprattutto quando, scarafaggi impolverati, sguisciate affannati dalle rovine dei vostri maledetti tanti terremoti. Dio vi stramaledica tutti, Italiani bastardi! Dio vi stramaledica tutti ancora una volta di più!)
Quello che alla fine Pinocchio diventa, non è un essere umano, ma una marionetta, cioè un perfetto equivalente dei suoi maledetti connazionali. Questo perché Pinocchio, fin dall’inizio, non era un burattino, ma era una marionetta. E questo perché l’Italia non è una nazione, e non può avere una formazione per i propri cittadini, né, tantomeno, può avere un Bildungsroman. In Italia non si può diventare uomini, si può diventare soltanto marionette. Si nasce burattini e si diventa marionette.
Jung sosteneva che ciò che gli alchimisti volevano raggiungere non fosse l’oro materiale, ma un oro (per così dire) “spirituale”, cioè il raggiungimento della personalità individuale in rapporto alla collettività.
Che è appunto quanto Pinocchio si sforza di presentare.
Alcuni alchimisti miravano a ottenere oro dagli escrementi. I Massoni della Carboneria sono andati ben oltre, e dal Nulla hanno ottenuto la Merda, cioè hanno realizzato, a tutti gli effetti, la Cagata dell’Italia, e, grazie alla Cagata dell’Italia, la presenza di un nuovo Paese nella vecchia Europa. Dopo il loro intervento, chiunque, in ogni luogo del mondo, sa che l’Italia è stata cagata. Sa che l’Italia è stata ufficialmente, storicamente cagata: è stata cagata in un certo tempo; è stata cagata in un certo luogo; è stata cagata con una certa, precisa forma geometrica e geografica. Dio stramaledica la cagata dell’Italia!
E chiunque sia in grado di contare, sa che sono passati 150 anni dalla cagata dell’Italia.
Ma che cosa si può dire della cagata dell’Italia, volendo evitare il termine “cagata”?
Gli Italiani sanno che il loro spazio è uno spazio artificiale, asettico, dove non c’è spazio per gli estranei o per gli animali. La migliore rappresentazione dell’Italia (questo maledetto spazio artificiale che ha impestato l’Europa, prima di tutto; e poi tutto il mondo) è proprio nella mancanza di animali al suo interno.
L’Italia è la cagata massonica per eccellenza. La cagata del maledetto Tempio di Gerusalemme adattato ai nuovi tempi e ai nuovi luoghi.
In quanto territorio inesistente, l’Italia è legata a un “clic”, cioè a un battito tra territori la cui contiguità è assolutamente inesistente, perché l’Italia è un territorio inesistente. Ma che dal punto di vista della possibilità, fosse anche solo quella del sogno, è tutt’altro che inesistente, proprio perché l’Italia è l’esistente inesistenza di un territorio.
È quanto rivela la corriera per il Paese dei Balocchi, che tutte le notti, regolarmente, ferma a una certa fermata.
Probabilmente, il canto dell’usignolo registrato su disco, come compare nei Pini di Roma di Respighi, è il più bell’esempio di animale all’interno della cultura italiana. “Bello” per modo di dire. È infatti un esempio di pacchianeria tecnologica. Una cialtronata. Una ripetizione golemica schiaffata lì, a spregio dell’arte musicale. Gli Italiani sono un pugno di Massoni stretti a pugno tra loro. Niente può entrare in quel pugno, meno che mai un animale.
Da qualche parte ho letto che qualcuno, forse uno scrittore (non italiano, ovviamente) dell’Ottocento, viaggiando per l’Italia, si era meravigliato di come gli Italiani (che Dio li stramaledica, tutti quanti e per sempre!) maltrattassero gli animali. Forse di trattava di Gobineau. Non ricordo. Voglio ritrovare il brano e inserirlo in uno di questi articoli. In segno di disprezzo verso il popolo italiano!
Pinocchio riserva un grande spazio agli animali e presenta un vero e proprio bestiario.
C’è tutto un bestiario di Pinocchio da determinare.
Il bestiario di Pinocchio va dalla balena semita al drago-serpente germanico.
Si potrebbe tentare una analisi precisa di questo bestiario:
Il serpente germanico.
La balena semita.
Il colombo italico [l’animale da soma del meticcio italiano. Il “pio bove”.]
Il grillo parlante [l’Italiano che è stato all’estero. L’Italiano Saccente. L’Illuminista.]