“Banalità del male” è un concetto che può essere funzionale, e quindi opportuno da osservare nelle sue capillari articolazioni, nell’arco di un progetto di sterminio (a ben guardare: realmente deprecabile?), ma che si sgonfia in mille altri rivoli di occasioni.
Cosa resta della banalità del male in ciò che lega la fissità dello sguardo del Negro omicida alla smorfia sprezzante del meticcio italiano mafioso? Forse la banalità della degenerazione della razza? (Mi sa proprio di sì!) Ma è legittimo, poi, parlare ancora di “banalità”, in questo caso? Il cinema ha fissato più volte, tanto lo sguardo quanto la smorfia, sornionamente, in modo da immortalarli, l’uno e l’altra, nel volto, sempre disponibile, dell’attore più di moda in quel momento, ma – essendo questa settima arte stramalefica un esempio dell’arte della degenerazione di tutto ciò che è stramoderno – li ha, lì, al contempo, elevati a qualcosa, di volta in volta, giustificabile e degno sempre di “umana” comprensione.
Contro tutto ciò si contrappone la grandiosa frase del Mein Kampf: “combattendo l’Ebreo, io miglioro l’opera della creazione divina”.
Rimane il ghigno sottile, la malvagia stupidità che unisce il desolante Negro omicida al tronfio meticcio italiano mafioso, che sembra ghignare qualcosa di vero – ma solo una piccola verità da tenere bene nascosta – verso tutti i “bianchi” di sinistra: il male è prima di tutto questione di razza inferiore.
Tag: Europa
Romanzo del giorno e romanzo della notte
Romanzo della modernità.
Finnegans Wake vi è largamente implicato.
Non sapere come uscire da un luogo, non avere ricordo di come ci si è entrati: questo è il sogno della razza. L’avere razza è proprio ciò che sveglia da un sogno in cui ci si trova intenti a muoversi in un luogo – tanto estraneo quanto familiare – non avendo idea di come ci si è entrati.
Ulisse è il romanzo della razza straniera che va e che viene e che occupa l’Europa. Finnegans Wake è il riscatto della razza nel campo della razza. Cioè solo nel sogno. È il sogno stesso della razza che sogna se stessa in quanto farsi sogno e farsi razza del sogno. Non in quanto “soggetto che ha un sogno”, ma in quanto interpretazione dei sogni del gioco. Per questo era necessario dissolvere una lingua tra tutte.
Romanzo del giorno e romanzo della notte.
Il romanzo del giorno è il romanzo della razza straniera che è presente in Europa. È il suo andare in una terra straniera per non ritornare mai a casa che si fa romanzo. Ma non si possiede mai casa, se l’alingua non è la casa dello scrittore.
Il romanzo della notte è il romanzo del riscatto della razza. È il sogno della razza che sogna l’eterno ritorno della razza del sogno.
Europa indoeuropea
Quando io dico che gli Italiani non sono un popolo europeo, intendo dire che gli Italiani non sono un popolo indoeuropeo – a tutti gli effetti. È sempre più vicino il tempo di abbandonare il concetto di “europeo” per ritrovare quello di indoeuropeo.
Europa
Che l’Europa non abbia mai riconosciuto e fatto i conti il meticciato al suo interno, comporta che possa adesso tollerare il fatto che l’Europa non sia più la terra degli Europei.
Se l’Europa, a partire dagli anni ’50, avesse riconosciuto come elemento estraneo all’Europa e respinto – perché elemento estraneo all’Europa – il meticcio italiano, l’Europa non si troverebbe – adesso – a dover fare i conti con il Negro, con l’Arabo, con l’Indio.
L’agone omerico di Nietzsche
Nietzsche affronta la Grecia in un modo diverso. Ma questo impegna la modernità circa domande improponibili.
«Così i Greci, gli uomini più umani dell’epoca antica, hanno in sé un tratto di crudeltà, di desiderio di annientamento che li rende simili a tigri; un tratto che è assai visibile anche nell’immagine grottescamente ingrandita dell’uomo greco, cioè in Alessandro Magno; un tratto, peraltro, che in tutta la storia greca, come pure nella sua mitologia, reca un turbamento a noi, che ci accostiamo ai Greci con il molle concetto moderno di umanità.» (p. 245).
Ciò che si vede della Grecia in questa immagine di Nietzsche è qualcosa di diverso dall’immagine che l’uomo vuole riconoscere come proprio passato. Ma si va ben oltre Foucault, che pure aveva riconosciuto in Nietzsche la capacità di andare oltre le soglie delle grandi fratture.
La Grecia di Nietzsche è una terra di gente abituata al sospetto, alla difesa, all’attacco.
1) In Nietzsche manca una riflessione sull’abitare. Nietzsche è il pensatore dell’arte di trascorrere il mondo, di darsi al mare. Nietzsche è comunque il fondatore del sigillo del luogo di nascita dei pensieri. I suoi pensieri nascono dalle passeggiate sulle vette. I pensieri dei cattivi filosofi nascono dalla puzza di chiuso delle loro cellette monacali. Nietzsche non è riuscito a stabilire l’origine nazionale dei pensieri. Ci si è appena avvicinato con la precisazione che il cristianesimo ha in sé la puzza del deserto.
2) Nietzsche determinerà in seguito il concetto di “aristocrazia dello spirito”, ma in questo scritto giovanile sfiora una questione fondamentale: il modo in cui è stato creato il miracolo artistico greco. Miracolo basato sull’invidia, sulla diffidenza, sull’insofferenza reciproca. L’Europa ha creato parte della sua civiltà su queste fondamenta, cioè sul miracolo greco. E ora più che mai c’è da chiedersi: “È questa Europa?”
Infatti l’uomo moderno deve affrontare due questioni fondamentali:
Prima questione: “L’Europa non è più la terra degli europei.”
Seconda questione: “Perché l’Europa è, adesso, questa Europa?”
In Grecia si è avuto il primo inizio del pensiero in Occidente. Ma questo implica “con la Grecia”. Il pensiero e le arti occidentali hanno sempre dovuto confrontarsi con quanto accaduto in Grecia in quei tempi aurorali. Nietzsche ha gettato una luce diversa su quell’aurora. Eppure la questione è ancora più sfuggente di quanto non abbia pensato Nietzsche. Bisogna avere chiaro quanto quell’aurora sia estranea a ciò che si è delineato come terra della sera. E la Terra della Sera deve sentire come estranea alla sua natura quanto accaduto in quell’aurora. Solo così, in un nuovo canto della sera, potrà avere luogo un nuovo pensiero.
Cinque prefazioni per cinque libri non scritti, Agone omerico, in La filosofia nell’epoca tragica dei Greci e Scritti dal 1870 al 1873. Volume III, tomo II delle “Opere di Friedrich Nietzsche”, Adelphi 1980, a cura di Giorgio Colli, pp. 207-255.