Nell’Oceano dei fiumi dei racconti di Somadeva i racconti si generano l’uno dall’altro, con cornici sempre più strette. Spesso i racconti hanno funzione di digressioni e incastri fra le varie cornici.
Tutto è apparenza. Le immagini sfumano l’una nell’altra. Non vi è nessuna permanenza. Il collegamento di questa struttura con le teorie induiste è evidente. Ma in che cosa si può riconoscere l’induismo? Nel miglioramento che lega il passaggio da una forma all’altra, nel fatto che tutte le cose sfumino infine nel divino.
Così L’oceano ha influenzato Le Mille e una notte. Nelle Mille e una notte le cornici non rimandano a una teoria esterna e si limitano a un artificio compositivo. L’islamismo non ha nulla a che fare con i ritorni ciclici, cioè con le reincarnazioni. Molta letteratura medioevale andrebbe riconsiderata a partire da questo punto di vista. Anche certe annotazioni di Borges sulle Mille e una notte e sul doppio in letteratura (Stevenson) cambierebbero così aspetto.
Bisognerebbe indagare il folklore europeo secondo una linea geografica del tipo: India (prima di tutto), Arabia (in modo secondario), Europa.
Si otterrebbe uno schema della trasmigrazione dei racconti di questo tipo:
1. India: Pañcatantra, Vetâlapañcavimsatikâ, Kathâsaritsâgara (le prime due raccolte presenti nell’Oceano).
2. Arabia: Le mille e una notte.
3. Europa: racconti popolari del folklore (dopo la distruzione della fase mitica indoeuropea e l’acquisizione stabile del Cristianesimo).
Apparirebbe allora, in una nuova forma, la domanda fondamentale: “che cosa genera il racconto popolare”?
L’India mantiene ancora la base religiosa. Con Le mille e una notte questa base si dissolve. Infatti lo schema a cornice dei racconti delle Mille e una notte non ha nulla a che fare con la religione islamica. Agostino combatteva la teoria dei ritorni ciclici presente nella religione pagana; la stessa cosa si può dire a proposito delle Mille e una notte nei confronti della narrativa indiana.
Intorno all’anno 1000 in India si produce qualcosa che determina la narrativa europea: perché? con quali articolazioni precise?
Per Novalis la fiaba presenta la trasformazione di ogni cosa in un’altra. Ma la posizione del Cunto di Basile verrebbe allora rivista.
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Considerazione
Io parlo solo del meticcio italiano.
L’accoglienza
Contrariamente a quanto intravisto da Massimo Cacciari ne L’Arcipelago, secondo cui l’Europa dovrebbe riconoscersi sotto il segno dell’accoglienza, come la figura di Zeùs Xénios suggerirebbe, l’Europa dovrebbe riconoscersi nella esclusione da sé, cioè nella cacciata di quei gruppi che, malgrado tutto, non sono autenticamente europei, perché risultato di un meticciato (come indicato dai popoli slavi e latini), nel riconoscimento della nozione di indoeuropeo e nei mille dèi della guerra indoeuropei: allora l’Europa non dovrebbe riconoscersi sotto il segno dell’accoglienza, cioè dell’inclusione di ciò che è ad essa estraneo, ma nella esclusione di ciò che, erroneamente, viene da tempo considerato parte integrante della propria natura.
M. Cacciari, L’Arcipelago, Adelphi, Milano 1997, pp. 148-9.
Terraferma
Gli Italiani sono un popolo di bastardi. Il meticciato di quella razza non-razza è impresso nella lingua in un modo che viene sempre raggiunto da una piena luce abbagliante. Tutte le parole di quella lingua bastarda suonano l’essere meticcio del meticcio italiano. E tutte le brutte parole di quella lingua non-lingua di quella razza non-razza, come in un ritornello punk, suonano e crocchiano: “Meticcio d’Italia, niente futuro! Niente futuro in Europa per te!”
Una nazione di questo tipo è una nazione di predoni di ogni tipo. Una nazione di questo tipo è anche una nazione di predoni di parole.
La parola “terraferma” può funzionare da esempio.
La parola italiana “terraferma” suggerisce un tipo di terra che si oppone a un’altra, la cui caratteristica principale è quella di non essere ferma.
Nel folklore celto-germanico le isole sono spesso indicate come terre inizialmente “non ferme”, e che solo un atto magico di saldatura alla terra ha potuto, successivamente, rendere ferme in modo definitivo. A volte la lingua nomina il continente come “terra principale” (inglese mainland, islandese meginland); altre volte lo nomina come “terraferma” (norvegese e svedese fastlandet). Ma in entrambi i casi, è sempre fondamentale la presenza di un insieme di credenze tradizionali, da cui si proietta il carattere non fermo attribuito inizialmente all’isola, e giustifica la presenza di quella parola nell’insieme delle parole della nazione, che è allora il tesoro del popolo che abita quella terra.
La lingua italiana usa la parola “terraferma” senza quell’insieme di tradizioni che ne giustificherebbero la presenza. L’insieme di tradizioni in essa non presenti, spinge però a ricercare, là dove queste tradizioni sono presenti, la ragione di ciò che, lì, non si riesce a comprendere. A dispetto dei predoni, nelle parole ci sono sempre mille folletti che allacciano trappole pronte a scattare.
Vale la pena fare almeno due considerazioni:
1) L’Italia utilizza una parola che rimanda a tradizioni che non le appartengono.
2) Inconsciamente, l’Italia non si ritiene parte dell’Europa, riconoscendosi invece come terra fluttuante, cioè come isola in opposizione all’Europa. Infatti l’Italia non può riconoscersi come isola, ma può (inconsciamente) segnalare l’anomalia della propria posizione in Europa accogliendo nel suo maledetto vocabolario la parola che rimanda alle tradizioni alla quale essa non appartiene: le tradizioni popolari autenticamente europee e indoeuropee.
Così l’Italia, come “isola che non è”, attraverso una delle sue parole rubate, sembra non potere fare a meno che attendere il colpo che la separerà per sempre dall’Europa. Europa alla quale, per comunità di tradizioni, l’Italia non appartiene, non ha mai appartenuto e mai apparterrà.
Ancora?
Fenomeni come le “Guardie di Ferro” di Codreanu, il rexismo di Degrelle, l’AWB di Terre’Blanche dimostrano quanto ancora, negli ambienti di ciò che si definisce “estrema destra”, il cristianesimo sia visto come un insieme di valori legati alla tradizione e alla difesa della civiltà occidentale.
Naturalmente, non c’è niente di vero in tutto questo. Il cristianesimo è una religione ebraica, strettamente collegato alla razza semita. Se questo legame sembra essere non più presente, è solo per una curiosa illusione.
Il cristianesimo è l’esatto opposto di qualsiasi ideologia di destra. È l’esatto opposto di una ideologia guerriera e l’esatto opposto di una ideologia della razza bianca. Esso deve essere rigettato a partire da una critica intransigente e radicale simile a quella fatta da Nietzsche. Questa critica è infatti perfettamente valida ancora oggi.
Ma quello che dovrebbe saltare agli occhi è la somiglianza tra cristianesimo e socialismo. Entrambe le ideologie partono dall’idea del concetto di uguaglianza. Il cristianesimo è infatti l’esatto opposto di una ideologia basata sul rifiuto del concetto di uguaglianza.
C’è da chiedersi perché il cristianesimo sia riuscito a occupare una posizione del genere. Probabilmente, questo dipende dalla opposizione che si è sempre voluto vedere tra cristianesimo e socialismo. Ma è un malinteso. Il cristianesimo è l’ideologia più letale per la tradizione e la razza bianca.
L’Europa deve rigettare il monoteismo semita e ritrovare nel politeismo la propria religione d’origine.
Il cristianesimo non è solo la più grande catastrofe che abbia colpito il genere umano, ma è anche l’ideologia più difficile da riconoscere in tutte le sue varie ramificazioni. È sempre difficile delimitarlo, forse anche a causa della compenetrazione che ha ottenuto nella civiltà mondiale.
Ma la lotta al cristianesimo è forse ciò che è più lontano dalla mentalità contemporanea. In giro c’è tutto un buonismo che sembra uscito dai maledetti romanzi dell’Eco lumacone.
Ma intanto le cose vanno sempre peggio. E arriverà il tempo in cui gli skinheads faranno collette per aiutare immigrati e indigenti.