Il grande disprezzo

Quasi certamente Heidegger ha formulato la più profonda interpretazione moderna di Nietzsche. Una linea distingue i testi di Nietzsche da quelli di Heidegger. Nietzsche redigeva i suoi testi in base a quello che Klossowski definiva le “intensità”. Heidegger si muove invece su una linea puramente accademica. Niente è più lontano dai testi di Heidegger quanto un testo come Ecce homo. Eppure qualcosa collega Nietzsche e Heidegger, e fa sì che Heidegger possa essere considerato il più grande interprete moderno di Nietzsche. Io credo sia riconoscibile in qualcosa come la teoria del grande disprezzo. Il richiamo a qualcosa che spiazza l’essere umano; “l’uomo”, secondo la terminologia di Foucault. Ma in un modo più devastante di quanto non abbia mai fatto Foucault. In questo aspetto Heidegger è pura dinamite, così come pura dinamite era stato Nietzsche col suo stile. L’ermeneutica del soggetto di Foucault è un testo che ruota attorno a un bersaglio che non riesce mai a raggiungere pienamente; Heidegger fa a pezzi la teoria del soggetto. Anche Nietzsche l’aveva fatta a pezzi, ma in Nietzsche e Heidegger, quello che conta, è la linea del grande disprezzo, e non più la linea della verità. E questo, cioè il grande disprezzo al posto della verità, è quello che adesso è da pensare. (Inutile poi dire che questa riflessione si pone contro l’accademismo.)

Heidegger e il nazismo

La questione “Heidegger e il nazismo” non deve essere posta sulla base della adesione di Heidegger al nazismo, ma sulle sincronie possibili tra la teoria della fine della metafisica e il nazismo. La teoria della fine della metafisica indicava uno spostamento del pensiero, che dalla ubicazione in un mondo al di là del mondo, per usare la frase di Nietzsche, veniva a posarsi sulla terra in un modo sino ad allora al di là del pensiero.
Ma questa azione smascherava in automatico il mondo ebraico latino alla base dell’epoca della metafisica e poneva il mondo germanico come base della nuova epoca. L’azione della teoria di Heidegger viene così a convergere con alcuni tratti del nazismo, ed è su questo che bisognerebbe dirigere l’analisi.
La nostra epoca è l’epoca che vede lo scontro tra civiltà latina e civiltà germanica. È appunto tale scontro ciò che permette di accedere all’epoca della fine della metafisica nella sua integrità.
Quindi, più che di “Heidegger e il nazismo”, si dovrebbe parlare di “il pensiero di Heidegger e il pensiero dell’ideologia nazista”, o meglio ancora: “il pensiero di Heidegger e lo svolgimento inevitabile del pensiero occidentale”.

Miguel Serrano, la terra, la fine della metafisica

Miguel Serrano: «Ogni aristocrazia terrestre è un tema di razza, di etnia.» (Adolf Hitler, l’ultimo Avatara, 2 voll., Edizioni Settimo Sigillo, Roma 2010, II vol., p. 423).
Il giudeo «odia la natura» (ibid.), e non ha alcuna predisposizione per l’agricoltura. Il campo dove riesce meglio è la finanza, la creazione e la direzione di banche. È questo il mezzo con cui i giudei aumentano il loro potere e causano il crollo delle società presso le quali si installano.
Se ne deduce una tendenza all’astrazione da parte di questa razza, e, insieme, una ideologia dello sradicamento: il giudeo odia la terra, non la vuole lavorare e non la vuole sentire sotto di sé.
L’aristocrazia è invece legata alla terra; deve poggiare sulla terra.
Tutto il pensiero giudaico-cristiano può essere il risultato di una simile astrazione, e prima ancora di uno sradicamento dalla terra: non voler riconoscere la terra sotto di sé, sfuggire in un mondo di concetti astratti e maneggiare solo quelli, come nella gestione di una banca. Per gli stessi motivi, ne consegue, questo pensiero è anche un pensiero ostile a ogni aristocrazia.
Potrebbe riconoscersi qui l’epoca della metafisica come descritta da Heidegger. La fine della metafisica sarebbe il riconoscimento di una terra sotto di sé. Ma questo comporta una terra diversa, cioè diversa dalla terra giudaico-latina che era stata ripudiata da quel pensiero. E questa nuova terra sarà la terra dell’aristocrazia germanica.
L’Hitlerismo Esoterico di Miguel Serrano e la fine della metafisica di Heidegger possono essere collegati come un richiamo alla terra (la nuova epoca che deve arrivare) e come un segnale di ciò che non ha terra (il pensiero giudaico-cristiano). Il tema di “ciò che non ha terra” e di “ciò che richiama a una terra” sarebbe così un tema che insiste nella catena della nostra modernità.

Oltre la Grecia

Un pensiero nuovo, in grado di abbandonare, finalmente, le odiate sponde del levantino sud d’Europa, è diverse volte sembrato vicino. È accaduto con Nietzsche, poi con Heidegger, e ancora con Dumézil. Ma non è mai stata affrontata la questione fino in fondo: e allora il pensiero, come un animale fin troppo domestico, è tornato a raggomitolarsi nel suo nido di parole del sud dell’Europa.
“Affrontare la questione fino in fondo” vuole qui dire andare oltre un pensiero che vede nella Grecia la sua giusta e inevitabile origine.
Heidegger è importante anche per le possibilità di pensiero che apre oltre la Grecia (come poi Dumézil); ma perché, nel suo pensiero, tutto si chiude sempre intorno alla Grecia (come anche avviene in Dumézil)?
Con l’espressione “possibilità di un pensiero oltre la Grecia” si intende una possibilità riservata al pensiero occidentale tale da poter esercitarsi al di fuori di ciò che è stato il pensiero greco. Ma al di fuori della Grecia, per come l’Europa è stata stabilita prima ancora che si potesse parlare di Europa, c’è la Germania. Intendendo con “Germania” quella parte dell’attuale Europa che Roma ha cercato di sottomettere e che solo con la “battaglia di Arminio” si è svincolata parzialmente da questo dominio. Vale a dire: la civiltà germanica.
Una prima considerazione può essere fatta a proposito della Allocuzione per la cerimonia del solstizio d’estate (24 giugno 1933) di Heidegger.
Che cosa dice Heidegger in questo discorso? «I giorni declinano», e lo ripete tre volte in un testo brevissimo. Dopo il solstizio d’estate le giornate si accorciano. Gli Indoeuropei celebravano i solstizi: quello gioioso d’inverno (gioioso perché, pur nel buio delle giornate, si riconosceva il ritorno della nuova luce), quello malinconico dell’estate (perché nella piena luce si riconosceva il punto massimo raggiunto, oltre il quale c’era solo discesa). Heidegger riconosce un fatto comune al gruppo indoeuropeo. Ma l’epoca del solstizio d’inverno è la notte senza dèi in cui avviene l’annuncio dei nuovi dèi. Che è quello che viene trovato nella poesia di Hölderlin.
Cristiano Grottanelli ha tracciato delle corrispondenze tra il Discorso di Rettorato di Heidegger e la teoria della tripartizione funzionale di Dumézil: «È facile riconoscere nei tre doveri del Rettore Heidegger le tre funzioni nell’ordine inverso: III, II, I, ma anche le due figure jüngeriane del Combattente e del Produttore, più una terza figura qui presentata come dovere-funzione del sapere, che è lo stesso Heidegger in quanto “sapiente” tedesco.»
In tutti e due i casi, Heidegger accetterebbe antiche strutture germaniche (se non indoeuropee), che l’epoca contemporanea aveva ormai diminuito di valore.
Se l’esperienza del Rettorato consistesse proprio in questo: nella messa in pratica, intravista da Heidegger, di poter andare oltre la Grecia? Questa possibilità può concretizzarsi solo attraverso una rinascita della germanicità. Doveva toccare alla germanicità agire nell’epoca contemporanea allo scopo di rinnovarla. La germanicità così stabilita poteva essere ripresentata dal movimento politico di Hitler. Heidegger aderisce alla germanicità (perché vede in essa un qualcosa di autenticamente profondo – oltre la Grecia). La germanicità era un legame tra i vari gruppi che componevano il popolo tedesco: era il passato di questo popolo e ne avrebbe costituito il futuro. Il futuro così determinato sarebbe stato il riconoscimento, da parte del popolo tedesco, del proprio passato inteso come germanicità – oltre la Grecia: in questo Heidegger poteva vedere il nuovo compito della Università tedesca. Da qui il riconoscimento da parte di Heidegger di alcuni elementi fondamentali: la tripartizione indoeuropea; la struttura Führer–Gefolgschaft; la celebrazione del solstizio d’estate.
La struttura Führung/Gefolgschaft indica l’antica struttura germanica del Capo e del suo Seguito. Se il Seguito riteneva il Capo indegno di essere seguito, gli si ribellava contro; la stessa cosa si aveva anche a proposito degli dèi.
Se Heidegger seguisse degli antichi usi germanici? Se il suo interesse per il nazismo fosse stato deciso proprio da questo possibile ritorno di antiche consuetudini? Considerare l’origine contadina di Heidegger. Evola vedeva nel corpo della SS il ritorno di un’antica struttura germanica (in realtà indoeuropea): la banda di guerrieri che si organizza spontaneamente intorno a un Capo.

     C. Grottanelli, Ideologie miti massacri, Sellerio editore, Palermo 1993. Il discorso riguardante Heidegger «erede inconscio del trifunzionalismo indoeuropeo» occupa le pp. 92-5. Il brano citato sopra è alle pp. 93-4.

     Allocuzione per la cerimonia del solstizio d’estate (24 giugno 1933) e Discorso per il Rettorato, in M. Heidegger, Scritti politici (1933-1966), Edizioni PIEMME, Casale Monferrato 1998.

     L’interesse del giovane Nietzsche per la mitologia e la letteratura degli antichi popoli germanici è adesso contenuta in F. Nietzsche, Scritti giovanili 1856-1864 (Opere di Friedrich Nietzsche, vol. I, tomo I, Adelphi, Milano 1998).

Il senso della terra

«Coloro che abitano un mondo dietro il mondo sono, in tedesco, gli Hinterweltler (il titolo di questo terzo discorso suona in originale: Von den Hinterweltlern). Ma gli Hinterweltler sono, in italiano, coloro che abitano un mondo dietro il mondo solo se si tiene presente che il termine è ricalcato su Hinterwäldler. Gli Hinterwäldler sono coloro che abitano dietro i boschi, cioè al di là di essi, dalla parte che non comunica con la civiltà, faccia non illuminata della luna. Sono uomini primitivi, zotici, che vivono “fuori del mondo”, una vita solitaria e bestiale.» (S. Giametta, Commento allo “Zarathustra”, Bruno Mondadori, Milano 1996, pp. 21-2.)

Il bosco germanico è diverso da quello latino. Pensare al bosco delle fiabe. Nelle fiabe dei Grimm il bosco è vicino alle case. In Basile il bosco esiste solo nella forma di un giardino attorno al palazzo dove vive l’orco come un qualsiasi altro abitante della città. Ogni filosofia costituisce un rapporto tra le parole di una lingua e i concetti che essa formula a partire da quella lingua. La lingua tedesca crea un termine per indicare ciò che vive aldilà della civiltà, e questo termine è appunto ciò che la filosofia, a un certo punto, deve modificare per segnare una frattura con la filosofia ad essa precedente. La civiltà latina parla più genericamente di “mondo”. La civiltà germanica parte dalla terra; e dalla terra dove c’è il bosco, che divide diverse terre. La civiltà latina crea un vocabolario filosofico che ignora tutto ciò che è del Nord, perché per essa il mondo germanico poteva esistere solo in quanto terreno di una conquista. La civiltà germanica crea un vocabolario che si oppone al mondo del Sud, perché ormai, a partire da Nietzsche, creare un nuovo vocabolario filosofico vuole dire opporsi alla civiltà latina: «Più onesto e puro parla il corpo sano, nella sua perfezione tetragona: ed esso parla del senso della terra.» (F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, in Opere di Friedrich Nietzsche, volume VI, tomo I, Adelphi, Milano 1973, p. 33.)
La metafisica è intessuta di pensiero giudaico-cristiano, che a sua volta è un tessuto della terra del sud. Questa è la tessitura inconsapevole della filosofia occidentale dalla quale essa origina i propri concetti, che solo in apparenza sono slegati da una terra, relativi soltanto a un mondo dello spirito, ma che in realtà sono collegati a un mondo di una terra precisa. Un mondo che vedeva un mondo dietro il mondo. L’espressione “fine della metafisica” smaschera questa larva di mondo opponendogli un altro mondo, quello germanico, ma evitando appunto il salto della messa in maschera. Nominando, prima di tutto. Non corpo e anima, quindi, ma corpo e terra.
La filosofia non ha mai parlato della terra, ma parlare della terra è appunto il nuovo compito che attende la filosofia.
Il tema è indirettamente presente in Perché restiamo in provincia? di Heidegger. La filosofia, si fa lì notare, può nascere solo da quel preciso e ristretto ambiente: dai discorsi con i contadini, dagli animali che accompagnano il lavoro dei contadini, dalle tempeste improvvise di neve che sorprendono il lavoro del filosofo. È una filosofia che deve nascere da altre parole. Tutto questo non determina solo l’ora della filosofia, ma l’era diversa dove il pensiero e il suo  vocabolario devono infine arrivare.