Claudio Vergnani, “Lovecraft’s Innsmouth”

Il turpiloquio non è indicato per il fantastico, perché ne spezza l’incanto, ne sprezza l’incanto – eppure Claudio Vergnani riesce a rendere efficace il turpiloquio nel fantastico. Volendo evitare di parlare di personaggi, la coppia Claudio e Vergy, da Claudio Vergnani inventata, rappresenta la stessa scissione che, nella letteratura, passa tra arte come sacro e arte come parodia.

In Lovecraft Country Matt Ruff è più attento nella costruzione dei personaggi, mentre in Lovecraft’s Innsmouth Claudio Vergnani si richiama in gran parte alla mossa dei fumetti, soprattutto nei due suoi personaggi principali, ma, nella messa in gioco del tema “Lovecraft”, il romanzo di Claudio Vergnani supera di gran lunga quello di Matt Ruff. La questione fondamentale consiste nella domanda: “Che cosa è lovecraftiano?”, che poi porta alla domandaCome funziona, realmente, ciò che è lovecraftiano?”.

Tanto Lovecraft Country quanto Lovecraft’s Innsmouth affrontano la questione della letteratura horror all’interno di un romanzo scritto per un indiretto confronto con il lovecraftiano, che è la questione della letteratura come spazio nel quale si può entrare in modo tutto particolare, così come i personaggi di Matt Ruff entrano nella terra che è stata di Lovecraft – visto che il romanzo è ambientato negli anni Cinquanta, mentre Claudio Vergnani mette in gioco la letteratura nella forma di un parco di divertimento a tema ricreato ad arte per gli appassionati dei racconti di Lovecraft.

Tema dell’Autore: così Autore è ciò che non deve più avere a che fare con la stesura di un testo, ma ciò che “ha a che fare con”.

Si può dire che lo scrittore è allora poco più che un dipendente di quel parco raggiungibile tramite l’acquisto di un pacchetto turistico, forse non proprio economico, comprendente il trasferimento nel luogo tramite la sgangherata corriera guidata dal simulacro del sinistro Joe Sargent di HPL? Joe Sargent è la prima figura veramente degenerata che incontra il narratore del racconto di HPL. In CV è invece una comparsa genuinamente stupita dalla strana figura che si vede comparire a un certo punto vicino al bosco quando, in una triste serata di pioggia, traghettava una coppia di turisti e un gruppetto di falsi turisti nella Innsmouth di Lovecraft. Joe Sargent di HPL era un degenerato, il primo degenerato con cui ha a che fare il narratore, e che poi lo intrappola a Innsmouth per la notte, simulando il guasto al motore della corriera che egli guida, quando il luogo della degenerazione, e non del divertimento, era solo lo spazio delimitato dalla sua suggestiva architettura d’epoca antica, che tanto poteva interessare un tipo come il protagonista e narratore del racconto, interessato all’antica architettura del luogo, ma era un luogo dove si poteva andare tramite l’acquisto di un modico biglietto di corriera – mentre il parco di divertimento modellato su Innsmouth porta alla Letteratura di intrattenimento, mentre i due personaggi di CV, che comportano lo sdoppiamento, rimandano a Pierino, il maledetto eroe nazionale del maledetto paese senza eroi: l’Italia. Italia = shitalian, il merdìtalo.

Dall’Italia agli Stati Uniti: Pierino s’infila in ogni pertugio del mondo, ignorante, fracassone, portatore di buonumore idiota. Pierino come colui che nasconde la propria origine perché mostruosa. Pierino è in questo caso la figura complementare di Joe Sargent. Pierino non è un personaggio riconosciuto, ma è la figura più giusta per definire ciò che, impropriamente, viene talvolta chiamato “popolo”, in mancanza di meglio, in presenza del meticcciato. Riepilogo della tematica di HPL esposta in ciò che sembra costituire la reale mitologia di Cthulhu: la terra abitata dai nativi (siano essi nativi americani oppure aborigeni australiani) rimane soggetta a vibrazioni negative, che un degenerato razziale di grandi capacità è in grado di raccogliere per portare alla estrema esposizione, tramite l’aiuto del meticciato amorfo, cioè della massa del meticciato italomongolo-semita, tanto simile alla massa degli insetti, secondo la precisazione di Hillman, che rappresentano la perfetta incarnazione dei Molti contro l’Uno.

Si può parlare di Dichterberuf – professione di oggi come vocazione di ieri. Che cosa evocano i sogni degli scrittori del genere fantastico? evocano i mostri, così abbiamo i mostri di Lovecraft e i “mostri” di Claudio Vergnani. La paura dei mostri, così come la repulsione verso gli insetti indicano lo sconcerto verso i grandi numeri: paura dei mostri, repulsione verso gli insetti sono indicazioni verso la massa (stando a quanto dice Hillman), gli italiani evocano sempre la massa degli insetti, così come gli orientali. La domanda: “ha, Pierino, diritto al riconoscimento?” è la domanda che ne nasconde un’altra: “hanno, gli italiani, diritto alla vita?”

Il parco giochi pensato da Claudio Vergnani è la sfida che nasconde, nella relazione tra tema e maschera, il rapporto tra letteratura e realtà, mentre ciò che deve essere il tema è il gioco che comporta a chi, sulla terra, spetta il diritto di vivere e chi deve essere eliminato, tema che pure non entra, in questo romanzo, mai in gioco – mentre abbiamo il tema del Gioco. La letteratura è un gioco, il parco divertimenti basato sulla letteratura è la messa in scena di un gioco, che non ha più nulla di ciò che ha a che fare con la letteratura, perché la letteratura di genere è il giochino, quando solo la grande letteratura intravede la possibilità del gioco, che deve allora sfociare nel Gioco del mondo, – questo perché, in quanto finzione, la letteratura si stabilisce in quanto “letteratura come menzogna”, ma, in quanto finzione letteraria, la letteratura è ciò che sogna il grande Gioco del mondo, cioè ciò che va al di là della letteratura, vedendo la possibilità di dare forma al mondo come si dà forma ad un progetto letterario, che è ciò che adesso non riguarda ciò che è letteratura. Il concetto stesso di opera letteraria non ha rapporto con tutta questa solfa, perché sfiora l’antiromanzo, dove la descrizione di comparse da quattro soldi eseguono gli episodi che, in un romanzo, dovrebbero invece essere narrati, che è la stessa tecnica straniante che può ricordare quella che è alla base del romanzo Teorema (1968) del finocchietto italiano Pier Paolo Pasolini, – e che in questo il romanzo di CV coglie al lampo di una parabola di freccia letteraria.

Infatti lo scrittore dà forma alla sua opera, mentre lo Scrittore è intento a trasformare se stesso, permettendo all’Opera, da parte di ciò che non riguarda lo scrittore, di raggiungere la forma.

Vediamo che, in HPL, Innsmouth è la degenerazione ad un solo passo di eclissi di distanza, raggiungibile con la corriera, al modico prezzo di un biglietto di corriera, che alla fine trascina con sé, chi non ha voluto evitare ciò che tutti avevano la possibilità di evitare, il passaggio nella degenerata Innsmouth, poiché lo spazio dove ha luogo la degenerazione è ciò che si deve evitare ad ogni costo; in CV Innsmouth è invece il parco divertimento, costruito a modello del racconto di HPL, dove si va per rilassarsi, pubblicizzato con tutti gli standard scintillanti della più moderna industria della pubblicità. In HPL la degenerazione è ciò che ha il suo recinto, così come i negri avevano il loro recinto, come indicato da Heidegger secondo Faye, mentre in CV il recinto è nient’altro che una recinzione di sicurezza a protezione di un parco giochi.

Che cosa si incontra, nella Innsmouth di HPL e nella “Innsmouth” di CV? si incontra il mostro come risultato della degenerazione razziale, con la differenza che, in HPL, si sa che il mostro esiste ed è messo da parte, cioè rinchiuso in un recinto, che è appunto un recinto di negri e meticci, mentre in CV il mostro è esibito in uno spazio protetto perché si sa che i mostri non esistono, ma che il mostro, anche nella forma modesta in cui può esistere, è nient’altro che la stessa cosa di tutto ciò che esiste, cioè una risorsa – nella peggiore delle ipotesi, qualcosa di diversamente abile.

Nel racconto di HPL i narratori con cui ha a che fare il protagonista sono di tre tipi: narratore che racconta per sentito dire (l’impiegato alla biglietteria di Newburyport, che pronuncia per la prima volta il nome “Innsmouth” davanti a lui), narratore che racconta per esperienza indiretta (il ragazzo nel negozio dove il protagonista, ormai consapevole di ciò che rappresenta Innsmouth, si rifornisce del cibo a lui necessario per la giornata), narratore che racconta per esperienza diretta (Zadok Allen, che racconta la Storia vera, cioè ciò che riguarda stare in quel luogo come punto d’incontro tra quanto avvenuto nel passato e quanto permane nel presente, quindi il tramite necessario, per il protagonista, per dare un senso alla sua visita nell’enigmatico e fatiscente villaggio di Innsmouth e nel quale egli ha trascorso tutta la sua vita). Ma tra i narratori va anche annoverata la conservatrice del museo, la signorina Anna Tilton, che spiega, oltre ciò che le consentirebbe il suo proprio orario di lavoro, la particolarità della tiara che costituisce il pezzo più prezioso del piccolo museo locale. La signorina Anna Tilton fa anche riferimento a un culto orientale diffuso a Innsmouth, noto come Ordine Esoterico di Dagon.

Dagon ha la forma del “personaggio defilato” che in Lovecraft’s Innsmouth appare nella forma di Mariko, guerriero ninja appena un poco più abbordabile della Molly del Neuromante, ma sempre nell’ottica di una razor-girl. Dagon può ricordare la divinità cananea metà uomo e metà pesce, ma preso di per sé, democraticamente parlando a livello di parola, ricorda il termine dago, termine dispregiativo con cui negli Stati Uniti erano indicati gli italiani e gli ispanici, rivendicato qui come falso etnonimo, sonoro sberleffo, rivendicazione di un degenerato culto locale. Oriente e Italia vengono così abilmente fusi. Un tema, in un racconto, dà vita a un personaggio in tutto un altro romanzo. Se non si pensa più per personaggi la cosa non sconcerta: basta pensare a ciò che sono le trasformazioni topologiche.

Nel racconto di HPL il vecchio Zadok è colui che dice la verità assoluta su ciò che è Innsmouth, cioè la causa prima della sua degenerazione; in CV è colui che dice la verità facendo credere che non sia la verità, mentre invece sta dicendo proprio la verità, proprio perché Innsmouth è ciò che non è, sembrando ciò che dovrebbe essere: è insieme l’attore pagato per recitare una parte e l’ideatore di tutto l’imbroglio.

Ma il discorso generale verte sempre sul rapporto tra mostro e fantastico in epoca moderna, quando il mostro non viene più visto in quanto “mostro” perché si crede solo nell’uguaglianza tra tutte le forme viventi. In CV il mostro è il nostro fratello più prossimo – che è quanto di meno lovecraftiano si possa pensare. L’atteggiamento da tenere verso il mostro è di umiltà, da qui il paradosso estremo: che, in Italia, porta al paradosso dello scrittore e meticcio italiano Gabriele d’Annunzio come maschera del “superuomo umile”. Il problema è invece ciò che è nocivo per la salute. Il primo vero mostro che incontriamo nel romanzo Lovecraft’s Innsmouth è il poveretto che sembra vivere nascosto dentro una chiesa. È un mostro più simile al lebbroso di Francesco d’Assisi, e Claudio, prima di lasciarlo, gli regala una fiala di morfina per alleviare i suoi dolori; il poveretto è subito apparso terrorizzato dalle armi che i due intrusi, credendo di avere a che fare con un pericolo, avevano spianato contro di lui.

Dalla musica di Olivier Messiaen al ticchettio fastidioso di Gioacchino Rossini, per un comodo vico di ricircolazione si precisa quello che, in questa fase estrema della modernità, deve essere il mostro, e si precisa nel momento in cui i tre personaggi sono davanti al portale, che dovrebbe portare all’incontro con i mostri veri, o con i Grandi Antichi, quando Mariko è intenta a scattare fotografie per documentare la presenza della razza aliena, e Claudio e Vergy concordano tra loro quale atteggiamento adottare con i mostri – e basandosi sul poveraccio incontrato, Vergy distingue: «“Malattia o maledizione, anche loro [cioè i mostri] in quanto a sfiga non scherzano.”» (p. 208). Il tema “mostri come risorse” prevede tanto lo sfruttamento del mostro all’interno di un parco giochi a tema, quanto il luogo dove nascondere rifiuti tossici pericolosi. Il mostro è prima di tutto una risorsa perché garantisce la riservatezza del luogo, perché garantisce, a quella parte di terra “mostruosa”, di rimanere nascosta, ma poi si rileva una risorsa in quanto ricca del tesoro da esibire, cioè i mostri.

Il tema del mostro come malato da accudire, anziché degenerazione da sopprimere, porta ad alcune riflessioni: da Frankenstein (1818) di Mary Shelley a Io sono leggenda (1954) di Richard Matheson a Trilogia dell’Area X (2014) di Jeff VanderMeer, cambia l’ottica con cui la letteratura occidentale guarda il mostro, sfociando in ciò che è lo sguardo sul semplicemente diverso, e solo potenzialmente cattivo, cioè sul tema del diverso che non è cattivo, anche se di aspetto spaventoso, ma che pure ha diritto ad un suo protetto spazio di vita, così come ogni altra forma di vita. Alessandro Dal Lago (Eroi e mostri. Il fantasy come come macchina mitologica, il Mulino 2017) nota la simpatia che, nel Beowulf, sembrerebbe essere presente nei confronti di Grendel: «L’autore sembra quasi provare un moto di simpatia per Grendel. Per rappresentare la condizione di questo essere rintanato nell’oscurità e tormentato dai rumori e dai suoni di una festa da cui è escluso, usa l’avverbio earfoðlice, “penosamente”, “impazientemente”, che comunica l’idea di un’attesa che non può essere soddisfatta. Più oltre, l’orco è definito dreamum bedaeled, “privo di piaceri” o “escluso dalle gioie” (della festa). Ma subito la natura di un essere fuori misura e fuori luogo, un vero e proprio outcast, è riportata alle sue origini maligne.» (p. 163).

Non si pensa più alla possibilità di eliminare il mostro perché non si pensa più alla possibilità di dare forma al mondo, che passa attraverso la possibilità di stabilire chi abbia, tra tutte le forme viventi, il diritto di vivere, e chi debba invece essere eliminato. Quando Claudio, Vergy e Mariko, nascosti nella caverna, vedono entrare i mostri, cercano di evitare a tutti i costi lo scontro, che vorrebbe dire – da parte loro – sparare nel mucchio di una masnada sgangherata e disarmata, perché quello a cui assistono è una sfilata di grilli dolenti: «Eravamo abituati a mostri e criminali feroci, determinati, spesso fieri della loro capacità di esercitare violenza senza farsi scrupoli. […] | Ma la corte dei miracoli di ombre deformi che ora avan­zava socchiudendo gli occhi gonfi e vuoti davanti alle nostre luci non faceva parte di quella categoria. Quelle creature si trascinavano a fatica su appoggi che erano stati piedi e che ora erano poco più di pinne, arrancando per spostare corpi flaccidi e squamati che ormai non erano più in grado di rimanere eretti. | I respiri erano rantoli faticosi, le vestigia di un atto dimenti­cato e inutile ma sopravvissuto nel tempo a ricordo di ciò che era stato. I movimenti goffi e scoordinati li sbilanciavano a ogni passo, e sembrava che solo stando uniti i più riuscissero a rimanere in piedi, appoggiandosi ai compagni. | No, non suscitavano terrore, rabbia e aggressività, ma compassione. Nei loro occhi permaneva una scintilla che nessun patto demenziale e ultraterreno era riuscita a spegnere.» (p. 230). In CV il mostro non è animato da una propria volontà distruttiva, in HPL abbiamo invece una sequenza precisa riguardante il mostruoso: nativi americani che suscitano vibrazioni negative alla terra – che il mago degenerato, di razza bianca, coglie e sfrutta per i propri scopi – che il meticciato amorfo rafforza schierandosi integralmente dalla parte dell’orrore cosmico; strato indigeno, potenze aliene, esoterista come componente degenerato della razza, meticciato, sono le potenze che trovano un immediato collegamento, e nell’insieme, in HPL, il mostro non è mai ciò che suscita compassione, perché è sempre ciò che minaccia la continuazione della vita della specie umana sulla terra. Nel racconto La maschera di Innsmouth la trasformazione in creatura mostruosa è qualcosa di gioioso, che promette una vita futura ricca di incanti, come si evince dal finale: «Preparerò la fuga di mio cugino dal manicomio di Canton e insieme raggiungeremo Innsmouth dalle tenebrose meraviglie. Nuoteremo fino al solitario scoglio e ci tufferemo nei neri baratri sottomarini ove sorge la ciclopica Y’ha-nthlei, dalle mille colonne, e nel rifugio di Quelli-degli-Abissi vivremo per sempre in un mondo di meraviglie e di gloria.» (H.P. Lovecraft, Tutti i racconti, a cura di Giovanni Lippi, traduzione di Claudio De Nardi, Mondadori 2015, p. 1217). Ciò che, all’avvio di questa sequenza, il mostro pone sul terreno è la questione della terra, terra che non può essere condivisa e che deve appartenere o ai mostri o agli umani. In Frankenstein di Mary Shelley la creatura è il diverso in quanto ciò che non si adegua alla norma, che dovrebbe suscitare compassione, soprattutto da parte del suo creatore, ma ispira invece ribrezzo e paura in tutti, fuorché al suo creatore; ma quando il suo creatore, accettando di creare la compagna per la creatura, come la creatura gli aveva chiesto, si rende conto che potrebbe così contribuire a creare la nuova razza di mostri che potrebbe diventare la nuova padrona della terra, allora si ribella e accetta di porre fine a quella particolare forma di vita nociva per la forma umana, scatenando nella sua creatura ciò che porterà, quello che finora era stato il diverso, a diventare mostro a tutti gli effetti. Compito dell’artista creatore è indicare la scelta possibile, relativa a quale forma abbia il diritto di abitare la terra, perché questo è il compito della letteratura, a differenza di quanto può essere classificato come letteratura di genere o paraletteratura, così come ha il compito di indicare il gioco, che, se giocato, diventa allora il Gioco del mondo, che riguarda la forma che ha sempre il diritto di abitare la terra. L’odio contro il mostro è l’odio contro la malattia, che propriamente non è odio, perché la malattia non è ciò che si può odiare per scelta, ma ciò che chiunque dovrebbe volere fuggire e distruggere.

L’insegnamento deve insegnare il disprezzo – ma è possibile insegnare ciò che si dovrebbe già conoscere per natura? Probabilmente c’è una fase in cui l’insegnamento è necessario – meglio ancora: l’insegnamento è prezioso in alcuni momenti di sconforto, è allora che sono necessari i grandi maestri. Il problema non è che cosa c’entra, ma che cosa centra questa frase.

In CV il mostro attacca perché esasperato dalle angherie di coloro che occupano lo spazio dove il mostro tira avanti la sua grama vita nascosta. Il mostro esiste, basta soltanto essere in grado di vederlo. cioè di riconoscerlo, come ha fatto HPL.

In questo romanzo Claudio Vergnani ha il merito di avere portato il parco giochi, ispirato alla letteratura, come ambientazione di un’opera letteraria basata sulla riflessione nel rapporto che passa tra letteratura e realtà, mentre il campo del gioco, in senso figurato, rimane come spazio non esplorato perché non portato nel gioco. C’è da dire che tanto HPL, così privo di umorismo come si ricava dai suoi testi, quanto CV, che pure insiste sull’umorismo, grazie soprattutto al personaggio di Vergy, vedono la possibilità del gioco, ma trascurano la possibilità di dare al mondo una forma qualsiasi in base al diritto del Gioco del mondo. Possibilità che deve passare attraverso il recinto, che sia recinto per negri, per italiani o per mostri mutanti.

Tanto in Matt Ruff quanto in Claudio Vergnani la terra è strato passivo (per quanto in Matt Ruff si arrivi all’eccesso di un anti Lovecraft raccontando di una casa infestata il cui spirito protegge la casa, ormai passata di proprietà a dei neri, contro gli aggressori bianchi, entrati di nascosto allo scopo di incendiarla – Lovecraft Country, capitolo I sogni nella casa di chi), indifferenti a coloro che ne occupano la superficie, siano essi mostri o criminali senza scrupoli e deturpatori dell’ambiente – un semplice racconto di HPL come La strada, dove un tratto di terra percorsa da una strada protegge i suoi abitanti di razza bianca contro un tentativo di attentato progettato da immigrati di origine russa, sarebbe in entrambi gli scrittori semplicemente impensabile; proprio perché entrambi gli scrittori non vedono più la questione razziale che invece costituisce il nucleo della narrativa formante di HPL – e questo vale soprattutto per Matt Ruff, che pure insiste sulle tensioni razziali degli anni Cinquanta nei luoghi dove si svolge il romanzo. In HPL tutta la questione razziale coinvolge il meticciato italomongolo-semita, che non può mai essere dalla parte del bene e il vero scontro è tra razza bianca e meticciato o forme completamente diverse.

Quello che MH non ha compreso, nel suo saggio su Lovecraft, è che, in HPL, la vita diventa non vita e l’odio diventa non odio, ma in nessun caso, ciò che porta a scrivere, diventa, lì, forza contro il mondo e contro la vita, perché affermazione e negazione sono così saldate insieme, dentro l’impulso a scrivere, come in un hegeliano nucleo di affermazione e superamento, che rende impossibile la traiettoria di un movimento senza l’altro, per cui la vita stessa rischia di diventare vita in quanto vita indegna di vivere, che è sempre vita, ma non mai semplice opposizione alla vita. Solo l’incontro con il mito, da un nido di parole, è ciò che chiama il ritorno e il nuovo Incontro.

La domanda: cosa c’è, nel mostro, che è così irriducibile, tanto da giustificare l’immediata sua uccisione, quindi la domanda fondamentale, con cui adesso abbiamo a che fare, è: “che cosa è che determina il mostro inevitabilmente come mostro, tanto da giustificarne la sua immediata uccisione?” nel momento in cui sappiamo che il mostro non si determina più nello stupore della sua forma, che determina una volta ancora di più la grandezza di Dio, quando Dio era il Dio del nemico, ma nemmeno nelle creature di alcuni racconti di HPL, appartenenti ai “grandi testi”, secondo la definizione di Michel Houellebecq, che appaiono come ridicoli assemblaggi di specie diverse (come i mostri che compaiono in Colui che sussurrava nelle tenebre), a noi rimane il nucleo della domanda: dove riconoscere il mostro? Assuefatti a secoli di cristianesimo, per noi il mostro non è nient’altro che il nostro fratello: ma spogliati di questo il mostro è l’essere appena poco più simile che ci appare davanti, cioè il meticciato italomongolo-semita, che compare nei testi di HPL, lì, sì, in tutta la sua forza di mostro, cioè l’essere appena più simile a ciò che ci appare davanti, vale a dire il meticciato italomongolo-semita, che compare nei testi di HPL, poiché non solo i “grandi testi” di HPL, ma anche i primi testi degli anni Venti di HPL contrappongono la razza bianca (tedeschi, inglesi, scandinavi, olandesi, celti) e il meticciato (l’impasto ottuso costituito da spagnoli, italiani, francesi, greci, slavi, che fa sì che il meticciato sia allora lo strato cuscinetto). A proposito degli orchi presenti nelle sue opere, Tolkien precisava: «Gli orchi sono degenerazioni della forma umana degli elfi e degli uomini. Sono (o erano) tozzi, larghi, con il naso piatto, la pelle giallastra e bocche larghe e occhi obliqui: una versione in brutto dei tipi mongoli meno gradevoli a vedersi (per gli Europei).» (J.R.R. Tolkien, La realtà in trasparenza. Lettere 1914-1973, Rusconi, Milano 2001, lettera 210 a Forrest J. Ackerman, giugno 1958, p. 309).

La questione è: “Che cosa fare di Pierino?”, che in questo romanzo, pierinamente, risorge? Il poliziotto che, all’ospedale di Boston, quando Claudio voleva dire la verità, deve raccogliere la deposizione di Claudio, espone sinteticamente quello che è la situazione degli italiani in Lovecraft’s Innsmouth: «“Lei mi fa schifo”, esordì. “Viene qui, combina le sue por­cate e poi si fa coprire le spalle da qualche organizzazione di emi­nenze grigie. Comodo. Con voi italiani se non è la mafia è qualche pezzo grosso ammanigliato con il governo. Lei è un vi­gliacco e se potessi le insegnerei come si sta al mondo. Ma non posso. Per cui avanti. Dica in fretta quello che ha da dirmi, io lo trascriverò e lei sarà libero di tornarsene in giro a vantarsi della sua bravata.”» (p. 312). Quello che era un pericolo, il pericolo del meticciato, diventa una litania di luoghi comuni che chiunque può snocciolare. Gli italiani sono solo dei vivaci fracassoni combinaguai ma non rappresentano il vero pericolo schierandosi, come razza, cioè come antirazza, dalla parte delle forze ostili al genere umano, cioè con il meticciato al quale, secondo la visione di HPL, essi appartengono. Così la domanda sui mostri presenta la variante: sono, gli Italiani, la fuffa presentati nel romanzo di CV, nella coppia Claudio e Vergy, o il pericolo presentato nei racconti di HPL?

Che forza è quella che CV riconosce negli italiani e che esprime tramite le coppia/sdoppiamento Claudio e Vergy? È una forza cieca, che trasforma il mondo, ma che niente sa della sua capacità di trasformare il mondo. Incontriamo Claudio nel primo capitolo, intento a trasportare sacchi di cemento per una ditta che dà lavoro in nero a stranieri e italiani che accettano di lavorare fuori delle regole. Claudio mette la sua capacità lavorativa a beneficio di una impresa fantasma e Vergy lo tira fuori, inserendolo in tutt’altro ambito lavorativo, senza che l’energia di Claudio, dimostrata nel suo umile lavoro come manovale, si dissolva. Questa energia minima di trasformare è ciò che Jünger ritraeva nel suo saggio L’operaio. Dominio e forma e Heidegger vedeva in questa energia la rappresentazione più elementare della volontà di potenza di Nietzsche. C’è da dire che l’energia rappresentata da Jünger era un principio cieco, senza una direzione guidata da una volontà, una semplice estensione di un principio vitale, colta al limite più basso. «Pioveva a dirotto; fango misto a cemento e intonaco goccio­lava dalla struttura in costruzione, rendendo scivolosi i pavi­menti sconnessi. Non per questo i lavori si erano fermati. No­nostante indossassi il mio pesante Stockman australiano, sotto i vestiti erano fradici. Andare su e giù per le scale di un palazzo di quindici piani in costruzione con un sacco di cemento in spalla, se non altro, mi manteneva caldo. Il che non significa che la rottura fosse minore. Il mio Casio – che a onta di tutti gli sbattimenti degli ultimi anni funzionava ancora – mi diceva però che il turno di lavoro stava finendo.» (p. 12). Questa energia elementare, che modifica il mondo, può essere vista sotto l’aspetto di Jünger e Heidegger, vincolata a un principio di forma e dominio, ma anche come pura energia distruttiva atta a rovesciare un sistema costituito, e si ha allora il principio dell’operaismo di Mario Tronti. In Jünger e Heidegger viene cancellato il principio di gioco presente nella volontà di potenza di Nietzsche, se considerata nella forma più alta, quella del superuomo, che nobilita il gioco; in Mario Tronti il gioco non è considerato in assoluto, poiché quello che conta è la trasformazione rivoluzionaria della società, che inevitabilmente deve spettare solo al proletariato. In entrambi i casi, il punto di partenza è lo stesso: l’operaio.

Il personaggio rimanda al rapporto tra ciò che, di vivente, sta sulla terra e l’abitante della terra del sacro. Ho sempre giudicato quello che, impropriamente, viene chiamata la poesia di Leopardi, come “graziosi mucchietti di parole”.

Tema dell’arte e della razza degenerata: i turisti che frequentano Lovecraft’s Innsmouth impestano quel luogo come gli italiani che dall’Italia sono emigrati in tutto il mondo impestando così tutto il mondo, non con mafia e spaghetti, ma con Dante e Boccaccio sotto il braccio. Claudio e Vergy, il professore Brandellini e Mariko raggiungono la città-set (cioè il parco divertimento) dopo una ricognizione notturna oltre la collina, in quella che dovrebbe essere la vera Innsmouth dei tempi di HPL: «La pioggia battente aveva reso le strade sterrate un unico pantano. Prima che il vento li portasse via, facemmo in tempo a vedere per terra qualche fiaccola spenta, carte di patatine e per­sino un berretto da baseball. Volevamo tutti credere si trattasse di ciò che rimaneva del divertimento serale.» (p. 99). La ricognizione notturna li aveva appena fugacemente portati nella vera Innsmouth dei tempi di HPL. Infatti il bastardo non può che imbastardire, dovunque esso vagoli nel mondo.

Quando andare nella terra è solo andare nella Terra del Sacro, allora andare nella Terra del Sacro non è più andare nella terra come terra dove andare – questo perché andare nella terra non è mai solo andare, perché è la terra a chiamare il suo abitante; ma quando andare nella Terra del Sacro come terra del Sacro Nord allora andare nel nord non è altro che andare nella Terra del Sacro, che è ciò che fa la differenza – perché il mostro è ciò che deve essere eliminato dal mondo, ma da quando il cristianesimo ha legittimato il mostro, per cui il mostro è il nostro fratello e l’idea di stabilire a chi spetti il diritto di abitare la terra, dando così forma al mondo, è una cosa che ripugna, come ormai ripugna vedere un adulto, che, tutto da solo, e con la massima concentrazione, è intento ad un gioco che è gioco di bambini, o forse questa visione crea solo un leggero imbarazzo, che è già compassione – così, quando un meticcio italiano si comporta in un modo appena appena un po’ strano, bisogna sempre porsi la domanda fondamentale relativa a ciò che non è il nostro fratello, domanda che allora suona come ciò con cui bisogna fare i conti: “Che cosa vuole, questo bastardo di italiano?” perché vedere un italiano in Europa deve suscitare la stessa impressione che Mein Kampf comunica nell’incontro con il primo portatore di caffettano in quel punto riconosciuto come terra della razza bianca, cioè l’Europa. Quando un italiano procede in Europa, dovrebbe sempre suscitare la domanda: “Che cosa vuole, questo bastardo di italiano?”, così come quando un italiano viene sorpreso a stare in Europa, deve suscitare la domanda: “Che cosa vuole, questo bastardo di italiano?” perché un italiano deve sempre suscitare la domanda: “Che cosa vuole, questo bastardo di italiano?” questo perché un bastardo può solo imbastardire, indipendentemente dalla volontà che può animare quello sputo di singolo individuo, sia o non sia, quella cosa lì, un bastardo di italiano, perché un bastardo è sempre un bastardo di italiano, cioè un meticcio, che va eliminato. Per cui, quando si parla di ogni punto della terra come di una cosa con cui si ha a che fare, bisogna sempre avere pronta la domanda: “Che cosa vuole, questo bastardo di italiano?”.

Narrare è tutto fuorché raccontare una storia con delle parole scelte fra le tante possibili – ma quando chi narra è solo ciò che è stato lasciato solo fra tutte le parole del mondo, che cosa rimane delle parole?

Claudio Vergnani, Lovecraft’s Innsmouth, Dunwich Edizioni, Roma 2015