La timidezza delle parole

La questione dell’olocausto non si pone. Il revisionismo ha avuto il merito di dare una scrollata alla questione, ma sembra ossessionato dalla priorità di assolvere il nazismo.
La questione dell’olocausto deve semmai essere impostata da un punto di vista completamente diverso. Questo punto di vista deve essere appunto, una volta di più, ciò che elimina il punto di vista.

Anche con la parola “razzismo” è la stessa cosa. Spesso si sente accusare di razzismo gruppi che storicamente sono stati vittima del razzismo. (Succede in Sudafrica dopo la fine dell’apartheid.) Ma questo è un cattivo uso del termine “razzismo” assunto solo in quanto parola. Vale a dire in una dimensione puramente di cronaca giornalistica. Si è spesso più timidi con le parole che con le persone. In realtà, il razzismo è una corrente filosofica e antropologica che concerne la razza bianca. La sua messa in gioco globalizzata non può essere passata di mano in mano come una moneta, cioè come una “parola” divenuta valore di scambio valido solo per convalidare un disvalore.
È appunto questo aspetto che riguarda anche l’olocausto.

Lacoste

C’è qualcosa di perverso nell’impulso allo studio. Senza volontà di fare a pezzi non c’è attività di studio. Lacoste: sogno di una antropologia della Terra della sera. Come in una biblioteca, riunire i campioni delle razze che portano al piacere della classificazione. Béla Bálasz diceva che uno dei meriti del cinema sarebbe stato quello di fare conoscere i volti delle razze più lontane e diverse. Il cinema ha fatto conoscere solo i volti tutti uguali e belli dei divi. Sono tutti belli i volti degli uomini, ma senza volontà di fare a pezzi l’oggetto dello studio non c’è attività di studio. C’è qualcosa di perverso nell’impulso allo studio. Ricordi ancora la poesia che Gilbert Lély ha dedicato a Lacoste?
Mancano i veri studiosi, i fanatici che vivono solo per la perversione dello studio; non le cavie (nell’epoca del mondo in cui le distanze si sono per magia contratte, non mancano mai le cavie).
Quando la classificazione è completa, passare alla eliminazione degli oggetti dello studio. Come fenomeno umano, un degenerato merita lo stesso interesse di una qualsiasi altra forma umana. Ma come forma degenerata, il singolo degenerato deve poi essere soppresso. Avere molto materiale a disposizione per i propri studi sconcerta lo studioso, lo fa delirare fino ad abbandonare la via giusta. Lo diceva Robert J. Lifton a proposito di Mengele. Mengele come il signore delle parole che soggiace alla sfida della totalità? La sfida che la letteratura pone al nuovo autore è di leggere tutti i libri del mondo e scriverne uno che li contenga tutti. In cosa ha fallito Mengele? Perché studiare il criminale, se non per potere poi, alla fine, eliminarlo? Non è la soppressione del degenerato ciò che pone fine all’ansia di conoscere irrimediabilmente tutto?
Non è l’attenzione a ciò che è degenerato la perversione dello studio? e non è la eliminazione del degenerato ciò che inaugurerà una forma diversa di conoscenza e uno studio privo dell’ansia di conoscere tutto?
Lacoste: il dominio ereditario. Silling: l’Enciclopedia al servizio dell’impulso estetico. Auschwitz: lo schiaffo ai pregiudizi moderni.
(La poesia rende liberi.)