Dove può condurre Nietzsche?

«La gente non sa e non intuisce abbastanza dove io possa condurre. Sono un animale pericoloso e non sono fatto per essere venerato.» (F. Nietzsche, Epistolario. V. 1885-1889. A Elisabeth Nietzsche, 7 maggio 1885, p. 50).
Qual è il luogo dove il pensiero di Nietzsche può condurre? Questo non è mai stato fatto oggetto di una riflessione. Nietzsche stesso avvertiva la pericolosità del suo pensiero. Deve trattarsi di un luogo dove l’uomo di oggi non può assolutamente trovarsi di casa, ma nel quale egli è chiamato a costruire la propria casa futura. Deve allora essere un luogo che evoca una trasformazione subita dall’uomo che oggi viene vista come impensabile.

La corda dell’impiccato

«[…] quest’anno ho molto riflettuto sulla qualità e sull’indole del popolo russo, grazie all’eminente psicologo Dostoevskij che, per quanto riguarda l’acume nell’analisi, non ha nessuno che possa stargli al fianco nemmeno nella modernissima Parigi.» (F. Nietzsche, Epistolario V, 1885-1889, Adelphi, Milano 2011, lettera 812, intorno al 4 marzo 1887, p. 339).
Notare che, parlando di Dostoevskij, Nietzsche lo definisce “psicologo” e non romanziere. Il discorso sulla forma del romanzo non lo interessa. Nei libri di Dostoevskij egli vede solo la capacità psicologica. Questa però si manifesta attraverso una certa forma che attiene al romanzo. Nietzsche, per esporre il suo pensiero, ha urtato le forme classiche del discorso filosofico, cioè dello scrivere libri di filosofia. Purtroppo non ha fatto altrettanto Dostoevskij con il romanzo.
Ma parlare di forma a proposito del romanzo è come parlare di razza nel romanzo, cioè come parlare di corda in casa dell’impiccato.

Lo sciamano e il superuomo

Contrapporre lo stile di vita modesto e nascosto di Nietzsche a quello plateale di d’Annunzio. Sono due atteggiamenti che la dicono lunga sul superuomo e i suoi fraintendimenti.
Nietzsche vedeva la propria attività come un lascito inevitabile per il futuro, da comporre in sciamanica solitudine, in accordo con la serenità della terra.
Paul Deussen, amico di Nietzsche, dopo avergli fatto visita a Sils-Maria nell’agosto del 1887, descrive così la stanza abitata da Nietzsche: «Era una modesta stanza in una casa di contadini, a tre minuti dalla strada maestra; Nietzsche l’aveva affittata per tutta la stagione a un franco al giorno. L’arredamento era quanto mai semplice. Da un lato stavano i suoi libri per la maggior parte da me ben conosciuti da tempo, poi c’era un tavolo rustico con una tazza da caffè, gusci d’uovo, manoscritti, oggetti per la toilette, il tutto in un variopinto disordine che continuava, oltre un cavastivali con uno stivale infilato, fino al letto ancora disfatto. Tutto faceva pensare a un servizio trascurato e a un padrone paziente, che accettava tutto.» (P. Deussen, Erinnerungen an Friedrich Nietzsche, Leipzig 1901, cit. in F. Nietzsche, Epistolario, V. 1885-1889, Adelphi, Milano 2011, p. 1161).

Il mago

La mia vita in Germania prima e dopo il 1933 di Karl Löwith contiene un curioso ritratto di Heidegger: «Tra di noi Heidegger era soprannominato “il mago di Meßkirch” … Era un piccolo grande uomo misterioso, un sapiente incantatore, capace di far sparire dinanzi agli astanti quel che aveva appena mostrato. La sua tecnica espositiva consisteva nel costruire un edificio concettuale che poi lui stesso demoliva per porre l’ansioso ascoltatore dinanzi a un enigma e lasciarlo sospeso nel vuoto […] La sua conoscenza era sconfinata quanto la diffidenza dalla quale essa scaturiva. Il frutto di questa diffidenza era una critica magistrale di tutto ciò che della tradizione restava ancora in piedi. […] Intanto egli stesso sorvegliava sospettoso le entrate e le uscite della sua tana di volpe, nella quale tuttavia non si trovava affatto a suo agio …» (cit. in Antonio Gnoli e Franco Volpi, L’ultimo sciamano. Conversazioni su Heidegger, Bompiani, Milano 2006, p. 7).
Che cosa se ne può dedurre?
L’esposizione di Heidegger tendeva a creare un edificio concettuale che subito dopo egli stesso demoliva. In questo consisteva la tecnica di Heidegger come «sapiente incantatore», vale a dire di Heidegger in quanto “mago”.
Egli aveva una forte diffidenza nei riguardi della tradizione, che lo portava a porre quelle domande che di solito, fino ad allora, a nessuno era mai venuto in mente di porre.
Egli stesso non si trovava a suo agio nel proprio pensiero e ne frugava con ansia la struttura, alla ricerca di una possibile via di uscita, se mai ce ne fosse stato bisogno.
Questo ritratto restituisce a Heidegger qualcosa di nietzscheano. Heidegger vi appare come un distruttore del discorso filosofico in una misura analoga a quanto lo è stato Nietzsche.
Quindi: il pensiero tradizionale del passato viene visto come un territorio estraneo nel quale è difficile abitare; un pensiero del tutto nuovo deve isolarsi da quello del passato, per stabilire, faticosamente, la propria fisionomia.

Sporcizia razziale

Nietzsche in una lettera del 2 gennaio 1886 a Bernhard Förster ed Elisabeth Förster-Nietzsche a proposito del progetto di fondazione di una colonia tedesca in Paraguay nel quale i due destinatari erano impegnati: «Da parte svizzera sono stato indotto a pensare che i numerosi, quasi sistematici fallimenti delle colonie tedesche o svizzere negli stati attorno a La Plata abbiano origine nel mescolamento delle nazionalità, vale a dire nella vita promiscua di elementi tedeschi e latini. Non si riesce ad avere un sentimento patrio, la sensazione di una casa, se si ha nelle immediate vicinanze la sporcizia italiana ecc.»
Raramente Nietzsche affronta la questione della casa, dell’abitare sereno nella propria terra. La sua filosofia si è andata costruendo pezzo per pezzo lontano da una “casa”. Per questo essa deve essere sempre affrontata come complementare a quella di Heidegger – e viceversa. Tuttavia, nel brano citato centra perfettamente la questione.
L’Europa non deve ricostituirsi in una nuova sede geografica o inglobando in sé elementi non europei, ma deve riconoscersi scacciando da sé la sporcizia razziale.
(Ma il Nord aspetta ancora il suo filosofo, e il Sud il suo boia!)

F. Nietzsche, Epistolario . Volume V, Adelphi, Milano 2011, p. 136.