L’epoca senza libri

Da tempo si avverte che nel libro c’è qualcosa che non va. Si può essere in grado di scrivere libri in modo continuo e si può decidere di non scrivere più libri.
Questa è l’epoca senza libri. L’epoca senza libri è l’epoca nella quale, ormai, non si scrivono più libri. L’epoca senza libri è anche l’epoca nella quale delle cose diverse, chiamati ancora libri, vengono scritti. Queste cose diverse chiamati libri sono i libri accademici e i best-seller. Cose diverse chiamate libri, perché, in quanto libri, da tutte le parti rigettano il loro compito di sempre.
I libri accademici sono libri timidamente chiari per tutti. Quindi i libri accademici sono libri tristi. Libri che non spingeranno mai a nessun tipo di fanatismo.
Un libro deve essere pieno di spunti oscuri. Per prima cosa, un libro non deve essere chiaro. Un libro chiaro è sempre qualcosa da respingere. È questo che faceva di un libro un dono per tutti e per nessuno.
Un libro è qualcosa che si parla nella mente di chi legge, il quale ha così l’impressione che tutta un’altra persona stia leggendo in lui quel libro. Ma meno che mai un libro è un ladro nella notte. Un libro è ciò che viene per arricchire.
L’epoca senza libri parte da lontano, da ciò che il libro è sempre stato incapace di controllare.
Nietzsche aveva capito che ci si stava avvicinando a un’epoca in cui i libri non sarebbero più stati possibili.
Adesso la diffusione di un pensiero autenticamente originale sembra ritornare al puro insegnamento orale.
Certi libri sono una collezione di stati d’animo. Un libro non dovrebbe mai essere l’esposizione di un ragionamento.
Non si scrive un libro affinché lo si legga, ma per creare una possessione.
Falsi maestri scrivono e cessano di scrivere. Perché senza posa un libro deve migrare in genti ben radicate al suolo.
Ma il libro è quel qualcosa che il concetto di autore sembrava poter tenere insieme e che l’epoca senza libri segna come fallimento.

Il grande disprezzo

Quasi certamente Heidegger ha formulato la più profonda interpretazione moderna di Nietzsche. Una linea distingue i testi di Nietzsche da quelli di Heidegger. Nietzsche redigeva i suoi testi in base a quello che Klossowski definiva le “intensità”. Heidegger si muove invece su una linea puramente accademica. Niente è più lontano dai testi di Heidegger quanto un testo come Ecce homo. Eppure qualcosa collega Nietzsche e Heidegger, e fa sì che Heidegger possa essere considerato il più grande interprete moderno di Nietzsche. Io credo sia riconoscibile in qualcosa come la teoria del grande disprezzo. Il richiamo a qualcosa che spiazza l’essere umano; “l’uomo”, secondo la terminologia di Foucault. Ma in un modo più devastante di quanto non abbia mai fatto Foucault. In questo aspetto Heidegger è pura dinamite, così come pura dinamite era stato Nietzsche col suo stile. L’ermeneutica del soggetto di Foucault è un testo che ruota attorno a un bersaglio che non riesce mai a raggiungere pienamente; Heidegger fa a pezzi la teoria del soggetto. Anche Nietzsche l’aveva fatta a pezzi, ma in Nietzsche e Heidegger, quello che conta, è la linea del grande disprezzo, e non più la linea della verità. E questo, cioè il grande disprezzo al posto della verità, è quello che adesso è da pensare. (Inutile poi dire che questa riflessione si pone contro l’accademismo.)

Poesia e verità

Alla domanda che la gente si pone: «Chi è Zarathustra?», Zarathustra ricorda diverse risposte date dalle persone stesse.
Due di esse chiedono: «È un poeta? O uno che dice la verità?» (p. 170).
Alla fine del capitolo, Zarathustra, pieno di spavento, evita di insegnare quello intorno al quale tutto il capitolo gira: il pensiero dell’eterno ritorno.
È questo il «parlare gobbo» (p. 173) di Zarathustra, impegnato, fin dall’inizio del capitolo, in un dialogo con un gobbo (p. 168).
Perché il testo contrappone poesia e verità in modo così netto? Contro che cosa si scaglia Zarathustra? Zarathustra colpisce la poesia come obbligo al non pensiero. Zarathustra è un grande poeta che sa di essere un poeta e, sapendo di essere un poeta, ha paura di essere tacciato come persona menzognera.
Ma perché la poesia è sospettata di menzogna? Perché attraverso la poesia si è da tempo accettato l’obbligo al non pensiero: Zarathustra è anche colui che restituisce alla poesia l’obbligo del pensiero. Ma restituire alla poesia l’obbligo alla verità del pensiero vuole dire restituire al discorso della verità l’obbligo alla svagatezza. Cioè alla poesia. Zarathustra è colui che mischia poesia e verità, ma è anche colui che crede ancora a un segno della poesia e a un segno della verità e che nel momento in cui ne vengono compromessi i rispettivi confini, prova paura.
Noi possiamo osservare gli effetti dell’obbligo della poesia al pensiero a partire da due posizioni contrastanti e lontane nel tempo: la poesia di Dante e la poesia di Brecht. Dante è colui che richiama la poesia all’obbligo del pensiero; Brecht è colui che accetta definitivamente l’obbligo della poesia al non pensiero. Entrambe le posizioni richiamano una medesima falsità, come scopre Zarathustra.

     F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, in Opere di Friedrich Nietzsche, volume VI, tomo I, Adelphi, Milano 1973, parte seconda, Della redenzione.

Heidegger e il nazismo

La questione “Heidegger e il nazismo” non deve essere posta sulla base della adesione di Heidegger al nazismo, ma sulle sincronie possibili tra la teoria della fine della metafisica e il nazismo. La teoria della fine della metafisica indicava uno spostamento del pensiero, che dalla ubicazione in un mondo al di là del mondo, per usare la frase di Nietzsche, veniva a posarsi sulla terra in un modo sino ad allora al di là del pensiero.
Ma questa azione smascherava in automatico il mondo ebraico latino alla base dell’epoca della metafisica e poneva il mondo germanico come base della nuova epoca. L’azione della teoria di Heidegger viene così a convergere con alcuni tratti del nazismo, ed è su questo che bisognerebbe dirigere l’analisi.
La nostra epoca è l’epoca che vede lo scontro tra civiltà latina e civiltà germanica. È appunto tale scontro ciò che permette di accedere all’epoca della fine della metafisica nella sua integrità.
Quindi, più che di “Heidegger e il nazismo”, si dovrebbe parlare di “il pensiero di Heidegger e il pensiero dell’ideologia nazista”, o meglio ancora: “il pensiero di Heidegger e lo svolgimento inevitabile del pensiero occidentale”.

Oltre la Grecia

Un pensiero nuovo, in grado di abbandonare, finalmente, le odiate sponde del levantino sud d’Europa, è diverse volte sembrato vicino. È accaduto con Nietzsche, poi con Heidegger, e ancora con Dumézil. Ma non è mai stata affrontata la questione fino in fondo: e allora il pensiero, come un animale fin troppo domestico, è tornato a raggomitolarsi nel suo nido di parole del sud dell’Europa.
“Affrontare la questione fino in fondo” vuole qui dire andare oltre un pensiero che vede nella Grecia la sua giusta e inevitabile origine.
Heidegger è importante anche per le possibilità di pensiero che apre oltre la Grecia (come poi Dumézil); ma perché, nel suo pensiero, tutto si chiude sempre intorno alla Grecia (come anche avviene in Dumézil)?
Con l’espressione “possibilità di un pensiero oltre la Grecia” si intende una possibilità riservata al pensiero occidentale tale da poter esercitarsi al di fuori di ciò che è stato il pensiero greco. Ma al di fuori della Grecia, per come l’Europa è stata stabilita prima ancora che si potesse parlare di Europa, c’è la Germania. Intendendo con “Germania” quella parte dell’attuale Europa che Roma ha cercato di sottomettere e che solo con la “battaglia di Arminio” si è svincolata parzialmente da questo dominio. Vale a dire: la civiltà germanica.
Una prima considerazione può essere fatta a proposito della Allocuzione per la cerimonia del solstizio d’estate (24 giugno 1933) di Heidegger.
Che cosa dice Heidegger in questo discorso? «I giorni declinano», e lo ripete tre volte in un testo brevissimo. Dopo il solstizio d’estate le giornate si accorciano. Gli Indoeuropei celebravano i solstizi: quello gioioso d’inverno (gioioso perché, pur nel buio delle giornate, si riconosceva il ritorno della nuova luce), quello malinconico dell’estate (perché nella piena luce si riconosceva il punto massimo raggiunto, oltre il quale c’era solo discesa). Heidegger riconosce un fatto comune al gruppo indoeuropeo. Ma l’epoca del solstizio d’inverno è la notte senza dèi in cui avviene l’annuncio dei nuovi dèi. Che è quello che viene trovato nella poesia di Hölderlin.
Cristiano Grottanelli ha tracciato delle corrispondenze tra il Discorso di Rettorato di Heidegger e la teoria della tripartizione funzionale di Dumézil: «È facile riconoscere nei tre doveri del Rettore Heidegger le tre funzioni nell’ordine inverso: III, II, I, ma anche le due figure jüngeriane del Combattente e del Produttore, più una terza figura qui presentata come dovere-funzione del sapere, che è lo stesso Heidegger in quanto “sapiente” tedesco.»
In tutti e due i casi, Heidegger accetterebbe antiche strutture germaniche (se non indoeuropee), che l’epoca contemporanea aveva ormai diminuito di valore.
Se l’esperienza del Rettorato consistesse proprio in questo: nella messa in pratica, intravista da Heidegger, di poter andare oltre la Grecia? Questa possibilità può concretizzarsi solo attraverso una rinascita della germanicità. Doveva toccare alla germanicità agire nell’epoca contemporanea allo scopo di rinnovarla. La germanicità così stabilita poteva essere ripresentata dal movimento politico di Hitler. Heidegger aderisce alla germanicità (perché vede in essa un qualcosa di autenticamente profondo – oltre la Grecia). La germanicità era un legame tra i vari gruppi che componevano il popolo tedesco: era il passato di questo popolo e ne avrebbe costituito il futuro. Il futuro così determinato sarebbe stato il riconoscimento, da parte del popolo tedesco, del proprio passato inteso come germanicità – oltre la Grecia: in questo Heidegger poteva vedere il nuovo compito della Università tedesca. Da qui il riconoscimento da parte di Heidegger di alcuni elementi fondamentali: la tripartizione indoeuropea; la struttura Führer–Gefolgschaft; la celebrazione del solstizio d’estate.
La struttura Führung/Gefolgschaft indica l’antica struttura germanica del Capo e del suo Seguito. Se il Seguito riteneva il Capo indegno di essere seguito, gli si ribellava contro; la stessa cosa si aveva anche a proposito degli dèi.
Se Heidegger seguisse degli antichi usi germanici? Se il suo interesse per il nazismo fosse stato deciso proprio da questo possibile ritorno di antiche consuetudini? Considerare l’origine contadina di Heidegger. Evola vedeva nel corpo della SS il ritorno di un’antica struttura germanica (in realtà indoeuropea): la banda di guerrieri che si organizza spontaneamente intorno a un Capo.

     C. Grottanelli, Ideologie miti massacri, Sellerio editore, Palermo 1993. Il discorso riguardante Heidegger «erede inconscio del trifunzionalismo indoeuropeo» occupa le pp. 92-5. Il brano citato sopra è alle pp. 93-4.

     Allocuzione per la cerimonia del solstizio d’estate (24 giugno 1933) e Discorso per il Rettorato, in M. Heidegger, Scritti politici (1933-1966), Edizioni PIEMME, Casale Monferrato 1998.

     L’interesse del giovane Nietzsche per la mitologia e la letteratura degli antichi popoli germanici è adesso contenuta in F. Nietzsche, Scritti giovanili 1856-1864 (Opere di Friedrich Nietzsche, vol. I, tomo I, Adelphi, Milano 1998).