La nozione di “Capitale Vortice” di Pound richiama il Rinascimento italiano. Ogni forma di rinascimento è plasmata sulla forma del Rinascimento italiano. Tutto in Pound nasce sempre da una visione italiana. Non per niente Pound ha passato gran parte della sua vita qui vicino, nella maledetta Italia. Quello che adesso serve è un Nuovo Inizio a partire da una Grande Germania dello spirito. Vale a dire da una base di civiltà germanica, che deve escludere tutto ciò che è legato alla civiltà latina. Prima di tutto alla civiltà italiana. Come parlare – adesso – di civiltà germanica, se tutto ciò che era germanico è stato inquinato dalla invasione della civiltà latina? L’idea di “Grande Germania” è qualcosa che può essere pensato in Europa a partire da Heinrich Himmler. Questo è anche qualcosa che prevedeva la scomparsa della piccola Germania a favore di una più grande Germania. Appunto una Grande Germania dello spirito. Con il risultato di salvare l’Europa dalla minaccia che già allora la attendeva. Dove va a parare il Vortice di Pound? Dove si muove, questa previsione di un “arcobaleno della gravita”, cioè di una traiettoria? Nel multiculturalismo della civiltà multirazziale. Che dire poi di Frobenius, richiamato da Pound? Dal concetto di “Capitale Vortice” di Pound si può facilmente arrivare a quello di civiltà multirazziale, che è alla base della nozione di multiculturalismo – stranamente imperante oggi. Goethe ne sapeva qualcosa. Mai sentito parlare di Weltliteratur? Questo perché da una nozione (il Rinascimento) che ha la sua origine nella stramaledetta Italia – vale a dire tra il meticciato italiano, come giustamente lo stesso Goethe aveva riconosciuto – deve sempre derivare una nozione degenerata. Sempre più avviata nella degenerazione (secondo la fisica che sostiene l’arcobaleno della gravità nella sua traiettoria). Deve ancora arrivare il periodo del grande disprezzo. Ma quello che dico io è che serve un “ControVortice”, un movimento che si opponga al vortice che Pound fissava nella “Grande città” della maledetta Italia. Questo deve soprattutto implicare un contro-rinascimento che sia anche fissato in una saggistica anti-Montaigne.
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Mito e romanzo
Joyce è stato lo scrittore che, più di tutti, ha presentato una riflessione completa sui rapporti tra mito e letteratura nei tempi moderni. Lo strumento di indagine usato da Joyce è la parodia.
Ma già il romanzo nasceva con tratti che lo ponevano come una parodia dell’epica. Le risse del Tom Jones suonano come una parodia delle battaglie dell’Iliade.
Con la sua scelta, Joyce ha in parte chiamato avanti, e in parte posto un freno al romanzo.
È possibile una letteratura che rifletta sul mito facendo a meno della parodia? Perché Joyce ha scelto la parodia? La scelta di Joyce era una scelta fatta per calare – finalmente! – il mito tra gli uomini.
Ma la domanda che adesso si pone riguarda il mito, e questa domanda deve suonare in questo modo: “sono gli uomini a maneggiare il mito, o è il mito a maneggiare gli uomini?”
La scelta di Joyce è stata la scelta giusta – per i tempi. C’era infatti altro tempo per pensare. È poi arrivato il romanzo postmoderno, che ha ingarbugliato tutto. Ma che permette di vedere meglio, adesso, i romanzi di Joyce.
Quando ci si pone dalla parte degli uomini, si vedono gli uomini che usano il mito e si deve scegliere la parodia; che è la scelta di Joyce. Manca l’altra scelta.
Un nuovo romanzo dovrebbe partire dalle cose, vale a dire dal modo in cui le cose usano simbolicamente gli uomini per rendere possibile – ancora una volta – il mito. Il romanzo è infatti il genere artistico che mostra come tutto si colleghi a tutto.
Ma allora gli uomini non sarebbero altro che appendici di simboli?
Bisogna innanzitutto precisare il rapporto tra il flusso di coscienza utilizzato da Joyce e la tecnica, relativa a tutta un’altra diversa memoria, utilizzata da Pound nei Canti.
Sarà allora chiaro il progetto di un’arte disantropomorfizzante, in cui l’uomo è solo un lampo in una catena, un bagliore non sempre necessario e non indispensabile nell’intreccio delle cose.
Ma sarà allora chiaro che è proprio la tecnica seriale che ha in sé la microserie fondamentale, l’alingua, a costituire il fulcro dell’opera.
Un verso di Pound
«Let the Gods forgive what / I have made»
Gli dèi devono perdonare quello che il poeta ha costruito
1. Carattere nefasto del costruire.
2. Il poeta come colui che deve solo dare impulso a cose sempre fra loro diverse, astenendosi dal costruire.
3. Goethe su Hafis: «Daß du nicht enden kannst, das macht dich groß, / Und daß du nie beginnt das ist dein Lost». L’età di Pound di Hugh Kenner è un grandissimo libro che non ha nulla a che vedere con Deleuze, ma che può essere inglobato nel metodo seriale di Deleuze. Il personaggio Pound non è costruito nel libro come meta finale di una biografia. Ogni capitolo lancia delle serie, nelle quali Pound è implicato in un modo sempre diverso. Pound è soltanto il punto di partenza di serie che non hanno punto di incontro. Differenze e ripetizioni.
4. Il “non costruire” come abbandono all’arte del divenire.
5. Il poeta come testimone del silenzio.
6. Il poeta può solo segnalare qualcosa che si avvicina. Il carattere di questo qualcosa è al di là della rappresentazione.
7. Lo scarto segna la caduta del poeta nella parola, ciò che gli dèi devono perdonare.
E. Pound, I Cantos, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1985 [Lascia che gli Dei perdonino quel / che ho costruito (trad. di Mary de Rachewiltz, p. 1493)].
J.W. Goethe, Il divano occidentale-orientale, Rizzoli, Milano 1990 [Non potere finire / ti rende grande. Non cominciare mai / è il tuo destino. (trad. di Ludovica Koch, p. 115)].
H. Kenner, L’età di Pound, Il Mulino, Bologna 2000.