Progetto di deviazione scenica

Perché progetto di deviazione scenica? Perché la deviazione qui effettuata serve a evitare il pericolo rappresentato dalla epicizzazione del teatro. Il pericolo che si vuole evitare è l’epicizzazione del teatro, cioè l’adeguamento forzato a una tematica moderna da parte di una tematica pertinente al passato. Il senso della epicizzazione del teatro è fare man bassa di ciò che, nel passato in cui ha avuto origine la epicizzazione del teatro, questo tema suonava come tema di una libertà di scorrimento del mondo. Per cui, ciò che determina la epicizzazione del teatro è ciò che adesso suona in modo più appropriato come sradicamento forzato di un soggetto a un tema del passato al fine di adeguarlo a una tematica del presente.
Il progetto di deviazione scenica è chiamato adesso ad adattarsi alla Tetralogia di Wagner. Tema che diventa una teatrologia.
In che cosa consisteva l’urgenza di Wagner? Nell’opposizione al teatro d’opera francese e italiano. Essendo la radice di entrambe le forme la razza semita.
Qual era la funzione originale della Tetralogia nelle intenzioni di Wagner?
Che ne è della celebrazione dei miti della razza, una volta che essi vengono stretti nei movimenti sporcaccioni del teatro?
Quattro oggetti determinano le quattro giornate della Tetralogia: Anello (Oro del Reno), Casa (La valchiria), Spada (Siegfried), Mondo (Crepuscolo degli dei).
Ogni oggetto è regolarmente sperduto alla fine della rispettiva giornata.
Tranne uno, che è ciò che porta allo scorrimento del mondo. Essendo la sua porta la porta al modo del mondo, cioè ciò che si apre per l’uscita dalla Casa.
I quattro oggetti si rispondono così vicendevolmente: l’Anello ha una controparte nel Mondo, simboleggiato dal recinto, dal garðr, cioè dallo spazio reso chiuso nel Crepuscolo, e che racchiude la scena come Miðgarðsormr la Terra di mezzo nella visione mitologica, ma che qui lo rende pieno e alla fine lo consegna al fuoco. Questo perché la mitologia non impone la chiusura attraverso una pienezza. La Casa cela la Spada, che, svelta dalla trave, sfreccerà nel mondo in mano a Siegfried, diventando il nastro su cui i suoi spostamenti avranno luogo, cioè la sua strada. Ma in un mondo ormai dominato dall’insegna.
Questo perché gli oggetti si impongono davanti all’immagine dell’uomo. Sono simboli che sfuggono dalle mani dell’uomo e gli si impongono davanti allo scopo di dominarlo.
Ma questo è ciò che rimanda alla opposizione tra heimr e garðr.
Il garðr è la rappresentazione del mondo, lo spazio racchiuso nella beffa della rappresentazione del mondo. Nel Crepuscolo si passa dallo heimr della Valchiria e del Siegfried al garðr, perché il mondo è adesso pienamente recintato e rappresentabile in quanto spazio dominato e passibile di rappresentazione (da qui la caduta nel teatro del mondo del meticcio latino). I pezzi della spada riuniti nel Siegfried rappresentano la grande strada che, lanciata a minaccia degli dei, percorre ormai tutto il mondo (perché la minaccia verticale diventa la sicurezza di un mondo che si può scorrere in orizzontale senza pericoli, ma che pure taglia in due): l’Anello dei sentieri (hringveginn), la congiunzione di tutti i piccoli sentieri che si comprendevano intorno alla spada spezzata e che permettevano di raggiungere solo piccoli mondi o case. La rappresentazione del mondo riempie quello spazio che l’Anello, come nota Clarisse, e in base a ciò che poi dirà Heidegger sul vuoto che determina la ruota, deve determinarsi attorno al suo vuoto, al fine di determinarsi in quanto forma univoca, che non ha nulla che vedere con il nichilismo.

Tenebra

La letteratura nasconde pieghe di pensiero insospettabili. Almeno finché non si vuole spingere il pensiero attraverso rotte mai praticate sino ad allora: quando le frasi trite, rese scivolose dalle interpretazioni scontate, suonano musiche inaudite.
Non è questo forse il caso del celebre «Che orrore!» di Kurtz (Cuore di tenebra)? Possiamo infatti affermare di avere fatto suonare quella battuta nel modo ad essa più consono? cioè nella giusta tonalità? Oppure, se non si tratta di scala tonale, nel giusto principio strutturante relativo al tipo di musica?
A che cosa si riferisce quel «Che orrore!», che rimane così impresso tra la giungla di parole del racconto?
Siamo proprio sicuri che quel motto sia lì, nella notte di quella giungla di parole, per confermare le nostre certezze?
Le domande di Conrad in Cuore di tenebra:
Domanda 1. “Che cosa ci fanno i bianchi, adesso, in Africa?” Il colonialismo si rivela infatti senza senso. Questo non vuole dire condannare il colonialismo. Vuole solo dire che il colonialismo si rivela come qualcosa che non ha, ad un certo punto, più nessuno scopo. Anche ammettendo che il colonialismo sia nato con uno scopo (forse uno scopo che non si voleva nominare, forse che è rimasto senza nome perché tutti i nomi erano già stati assegnati), bisogna adesso ammettere che si è ridotto a un qualcosa che viene portato avanti senza uno scopo.
Domanda 2. “Dal colonialismo non ci si poteva aspettare qualcosa di più?”. Perché solo burocrati? La partenza era buona, ma l’arrivo ha presentato il conto peggiore. Si consideri l’episodio del burocrate che permette ai Negri di trattare i Bianchi con arroganza anche in presenza di altri Bianchi: qui è tutta l’inconsistenza del colonialismo, di quel colonialismo che ha permesso – come nota finale – “l’emancipazione dei Negri”.
Cosa dice infatti Conrad, in Cuore di tenebra, dei Negri? come li vede, come li sente, quando li ascolta da lontano, nascosti nella giungla delle sue fitte parole?
I Negri (nel capitolo 2) sono visti come esseri preistorici; tuttavia nel testo ci si stupisce che essi non siano completamente inumani e ci si stupisce persino del fatto che abbiano una certa parentela con il Bianco. Ci si stupisce che siano “umani”, quindi che appartengano al genere umano. Compiendo un viaggio a ritroso nel tempo della terra, si finisce per compiere un viaggio a ritroso nelle idee del tempo; cioè del tempo presente.
Apocalypse Now rappresenta lo scarto epico sul testo di Cuore di tenebra: la stessa cosa che succede nelle messe in scena teatrali, quando i costumi e la scenografia “attualizzano” la vicenda di un testo. È lo sguardo epico brechtiano in azione. Ma Apocalypse Now, proprio come Brecht, mette da parte il pensiero e impedisce il pensiero al suo pubblico. Nel teatro epico di Brecht tutto si svolge a livello del gesto che ieraticamente mostra qualcosa allo spettatore. Lo spettatore fa così a meno di pensare. Il teatro epico mantiene soltanto l’illusione di un pensiero; e regala al suo pubblico l’illusione di avere compreso. Il pensiero, se mai si può parlare di pensiero, è tutto consegnato nella cifra che trasporta un dato testo in una epoca non sua. Il Vietnam di Apocalypse Now non ha le vertigini della giungla di parole di Cuore di tenebra: niente giungla, in Apocalypse Now. Tutto si svolge a livello di un testo che solo un gesto mostra passibile di un confronto a ritroso.
Cuore di tenebra è basato sulla esperienza di una tenebra. Sul suono del viaggio che Marlow compie a ritroso e che giunge a conclusione nel punto di Kurtz. Ma questo viaggio porta proprio a sgretolare i principi umanistici, che, dietro al progetto del colonialismo, e nonostante il crollo del colonialismo, restano ancora ben saldi. Marlow si rende conto che i Negri non sono esseri umani e teme che egli, in quanto Bianco, possa avere una affinità con loro. È lo sgretolamento dei pregiudizi più accreditati che egli qui viene ad esperimentare. Questa esperienza ha l’aspetto di un vento d’eclissi che riempie di tenebra un cuore preso in prestito da un corpo di cane.
Che cosa è infatti il “cuore di tenebra”, il cui incontro minaccia tutti personaggi del racconto? Il battito di un altro cuore, la vertigine che rompe l’attimo quando si ha il crollo dei pregiudizi su cui una persona aveva fondato la propria esistenza. Questi pregiudizi sono qui condensati nel pregiudizio fondamentale: “ogni uomo è un uomo”, mai esposto in quella giungla di parole, ma sempre presente nell’arrancare tra quei tamburi nascosti nella giungla di parole. Questo è il crollo del pregiudizio giudaico cristiano, e ciò che di rimbalzo colpisce Marlow, rimpiattato nell’appena percettibile «Che orrore!» di Kurtz.

Wilhelm Meister e Faust

Gli anni dell’apprendistato di Wilhelm Meister rappresentano il tema concreto della realizzazione dell’individuo attraverso il fallimento del progetto messo in atto dall’individuo stesso. Qui la rappresentazione è applicata al progetto artistico, che, nel romanzo in questione, è destinato al fallimento.
A fianco di questo tema, negli Anni dell’apprendistato c’è pure un altro tema importante: l’artista non è più colui che giunge completamente formato, ma è colui che deve assoggettarsi a una severa preparazione. Il risultato è inequivocabile: il mondo non ha più bisogno dell’artista; l’arte è un sovrappiù e l’apprendistato dell’artista è appunto il percorso che deve condurre alla presa di coscienza dell’individuo che pensava di essere venuto al mondo per adempiere ad una missione artistica: quello che egli deve infatti riconoscere è che non esiste nessuna missione artistica da condurre a termine. In realtà quello che così viene compreso è la totale mancanza di ciò che una volta era l’arte, poiché in quella forma essa allora si configurava.
L’arte è un’abilità che la nostra epoca non riconosce più. L’artista è infatti un diversamente abile che deve solo mettersi da parte.
Ma la costruzione deve uccidere che cosa? La morte dell’arte, perché siamo nell’era della morte dell’arte.
La missione teatrale di Wilhelm Meister si concludeva con la vittoria di Wilhelm Meister proprio perché non era “storicamente” chiaro la necessità del fallimento del progetto individuale. E l’individuo era ancora qualcosa da salvare. Affinché l’individuo potesse autonomamente esistere, esso doveva configurarsi come fallimento: da qui il carattere problematico dell’individuo. L’individuo entra in scena solo quando suona la messa in scena della problematicità dell’individuo.
Gli anni di viaggio di Wilhelm Meister cancellano il progetto di formazione, almeno come delineato negli Anni dell’apprendistato. Quello che Gli anni di viaggio rappresentano non è un nuovo raggiungimento dell’individuo, ma uno sfaldamento dell’individuo. Gli anni di viaggio devono essere considerati come complementari al Faust. Nel Faust l’individuo si rafforzava in quanto riconoscimento dell’individuo come progetto dell’individuo; negli Anni di viaggio l’individuo viene sfaldato, ma ciò che viene sfaldato è il fallimento del progetto inevitabilmente collegato all’individuo. Tuttavia qui si va oltre: il testo teatrale Faust si determina come progetto individuale, che viene mantenuto tale fino alla fine (Faust, anche nel momento della morte, realizza il suo progetto), Gli anni di viaggio vanificano il progetto; questo perché il teatro è estraneo al mondo indoeuropeo, e quindi in quanto tale, esso può prevedere il progetto individuale; l’epica, invece, non riconosce tale progetto. Se Gli anni dell’apprendistato mostravano l’adeguamento di Wilhelm Meister al suo fallimento, Gli anni di viaggio risolvono cancellando l’origine di quel fallimento; cominciando a intaccare il concetto di individuo. Questo perché il romanzo può avere una via d’uscita, in quanto l’epica è un genere indoeuropeo; ma nessuna via d’uscita è prevista per il teatro, che non ha nessuna cittadinanza in Europa.
Quindi abbiamo:
1) il teatro e il romanzo, che hanno a che fare con il progetto dell’individuo;
2) un genere non indoeuropeo (il teatro), un genere indoeuropeo (l’epica, da cui il romanzo proviene);
3) il teatro accoglie il tema del progetto individuale e nel Faust lo porta alla massima esaltazione;
4) il romanzo si forma attraverso il tema del progetto individuale.
Negli Anni dell’apprendistato viene accettato il fallimento del progetto individuale quale adeguamento dell’individuo alla realtà, ma negli Anni di viaggio viene indicata la via possibile di fuga.
L’analisi hegeliana della differenza tra epica e teatro andrebbe quindi reimpostata su queste basi:
Epica: genere autoctono (indoeuropeo).
Teatro: genere non autoctono (non indoeuropeo).

L’epoca delle macchine

È probabile che Gli anni di viaggio di Wilhelm Meister di Goethe e il Faust di Goethe costituiscano una coppia di opere complementari. Uno spinge il teatro alle sue estreme conseguenze, l’altro spinge il romanzo alle sue estreme conseguenze. Per quanto riguarda il teatro, nel Faust il teatro viene ricondotto alla sua origine non europea, passando attraverso la fase romantico-europea. Proprio in quanto opera teatrale, il Faust può intravedere l’epoca delle macchine, cioè la subordinazione dell’Europa a un pensiero che non le appartiene. Gli anni di viaggio si svolgono invece in un mondo non ancora toccato dalla previsione di quell’epoca. Infatti il teatro può guardare nell’epoca delle macchine perché è esso stesso una macchina: il palazzo rinascimentale italiano è la macchina che darà vita all’Orfeo di Monteverdi e il Faust stesso ripresenta il mito di Orfeo nell’episodio di Elena. In quanto elemento non europeo il teatro può presentare la visione dell’Europa nell’epoca delle macchine, cioè dell’epoca in cui l’Europa non è più la terra degli europei. Il romanzo, che deriva dall’epica, non può anticipare l’epoca delle macchine poiché la sua natura, a differenza di quanto accade col teatro, ne è immune.