«L’italiano è infido, bugiardo, vile, traditore, si trova più a suo agio col pugnale che con la spada, meglio col veleno che col farmaco, viscido nella trattativa, coerente solo nel cambiar bandiera a ogni vento – e ho visto che cosa è accaduto ai generali borbonici non appena sono apparsi gli avventurieri di Garibaldi e i generali piemontesi.»
Questa frase, tratta dal secondo capitolo del Cimitero di Praga di Umberto Eco, si potrebbe collegare alla storiella ebraica più volte ricordata negli Scritti di Lacan: «”Perché mi menti? ‒ vi si esclama con un filo di voce – Sì, perché mi menti dicendomi che vai a Cracovia perché io creda che vai a Lemberg, quando in realtà vai proprio a Cracovia?”».
È modo di fare che rivela molto della strategia del postmoderno; e istruisce pure sulla dinamica del romanzo postmoderno come genere. Naturalmente, bisogna evitare l’intervento di un soggetto calcolante.
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Musica olistica
È un errore contrapporre la musica popolare, in quanto musica creata da una collettività, da un popolo, alla musica d’autore, cioè alla musica creata da un solo individuo. La musica è sempre creata da una sola persona. Una musica creata da più persone è invece da collegarsi a una musica creata secondo schemi industriali, cioè creata “a tavolino”, da più persone raccolte intorno a un progetto.
A creare la musica è sempre un individuo, ma ciò che cambia è la posizione dell’individuo all’interno della società, che di volta in volta lo esprime con la particolarità, sempre in movimento, dell’individuo. Nella musica popolare l’individuo è parte integrante del popolo; nella musica non popolare l’individuo crea secondo il proprio capriccio, o secondo gli intenti di un’industria; nel migliore dei casi secondo lo Zeitgeist. La sua musica è così una musica che nessuna società può riconoscere come propria. È una musica che viene da fuori, come una moneta straniera – che ha valore, ma in tutta un’altra parte del mondo. Viceversa, nella musica popolare, l’individuo, che è parte integrante del popolo al quale appartiene, crea una musica che ricade in quel popolo come una freccia scagliata in alto e destinata a cadere in un raggio preciso, e nella quale il popolo si riconosce per sempre.
Non esiste un’epoca della musica popolare; né, tantomeno, una fine di essa. Chiunque può creare musica popolare. È la posizione dell’individuo all’interno di una società a rendere possibile la comparsa di una musica popolare. E questa posizione, a quanto sembra, non è data una volta per tutte in modo definitivo. Nel caso della musica popolare il compositore è parte del popolo; nel caso della musica non popolare il compositore si separa dal popolo. È per questo che, nel caso della musica popolare, sembra che a comporre la musica sia stata una totalità. Invece, nella musica popolare individuo e popolo sono un tutt’uno e il compositore è testimone di questa compresenza. Nel caso della musica non popolare il compositore si pone come un soggetto di fronte a un oggetto e suona (nella migliore delle ipotesi, cioè nel’ipotesi si mancanza di una industria culturale) questa separazione.
La musica popolare è un salto nella maschera che è comunque sempre possibile per l’individuo. È in questo il mistero della musica popolare, sempre morta e sempre viva. Quindi anche la musica popolare è una possibilità che continuamente si apre.
Abbiamo allora il caso di una musica olistica e di una musica esercitata attraverso diversi livelli di individualismo. La musica olistica è la reale creazione di un genio individuale; la musica individualistica è la reale creazione di una collettività grigiamente anonima.
Sullo sfondo c’è sempre il soggetto, che si configura come una fase in un ciclo, che ne ammette la comparsa così come la sparizione.
Nell’epoca della modernità, niente è più fragile della modernità.