Alcuni primi piani del profilo di Lukács ricordano le caricature dell’Ebreo in voga nella Germania nazista.
Non si è mai considerato il volto di un intellettuale in rapporto alle sue teorie. (Che Lukács fosse un usuraio del pensiero?)
Da qualche parte, Lombroso aveva analizzato i volti dei capi della Rivoluzione francese dal punto di vista dell’antropologia criminale…
Nel Diario di un genio Salvador Dalì contrapponeva i suoi baffi, leggeri e rivolti in alto (indice, a suo avviso, di carattere euforico), a quelli di Nietzsche, pesanti e rivolti in basso (indice, a suo avviso, di carattere depresso).
Pasolini aveva i lineamenti sottili e scattanti della checca nevrotica. Umberto Eco ha l’aspetto di un lumacone che sbava sugli scaffali delle biblioteche su cui striscia con parsimonia. In certe fotografie, Bertrand Russell sembra una scimmia. Heidegger ha quasi sempre l’aspetto di un mastro birraio bavarese.
In Arcipelago Gulag Solženicyn accusava Sartre di avere idee molto confuse sul comunismo. In una fotografia, che lo sorprende, insieme a Foucault, nel corso di una dimostrazione a Parigi nel 1972, Sartre ha l’aspetto di un vecchio un po’ confuso, capitato lì per caso. (La fotografia si può vedere e gustare in G. Gutting, A Very Short Introduction to Foucault, Oxford University Press, Oxford 2005, p. 22.)
Una antropologia della persona e delle idee è ancora tutta da fare, ma probabilmente è possibile. E riserverebbe anche delle belle sorprese. Con quali risultati? Sorprese tutte da ridere!
In certi casi il rapporto tra volto e opera è fin da adesso già plausibile; in altri rivela invece un qualcosa che stride.
L’intellettuale è infatti qualcuno che non è ancora pienamente di casa qui. È un qualcosa che si muove confusamente, che non ha una vera terra su cui poggiare.