Due aforismi di Nietzsche

I due aforismi che concludono il terzo capitolo, L’essere religioso,  di Al di là del bene e del male di Nietzsche, il 61 e il 62, sono strettamente collegati tra loro e complementari. Riguardano la religione, ma lo fanno in due modi diversi: il primo affronta la religione da un punto di vista dei vantaggi che essa può offrire all’interno di una società; il secondo la considera a partite dagli svantaggi che essa può concretamente provocare.
Più precisamente: l’aforisma 61 affronta la religione come mezzo per dominare gli uomini, quindi la religione come strumento di plasmazione in mano a una élite; il 62 indaga invece le conseguenze che si manifestano quando una cosa come la religione viene lasciata a se stessa, libera di agire tra gli uomini senza alcun tipo di controllo sociale: il risultato è, in molti casi, quello di permettere ai malati, intesi come persone non degne di vivere, di continuare a vivere e di impedire la formazione di un tipo superiore di uomo.
Questi due aforismi rivelano come in Nietzsche ci sia tutta una parte di pensiero che sovente l’esegesi nietzscheana ha tralasciato o ha considerato con sufficienza, giusto quanto basta per permettersi di tralasciarla.
È chiaro a chiunque che qui non si tratta di appunti abbozzati da Nietzsche in uno dei suoi tanti taccuini, in attesa di una rielaborazione e di una collocazione finale, come ad es. gli appunti che dovevano confluire nella Volontà di potenza – progettata e mai realizzata – ma di testi completi, inseriti all’interno di una delle opere fondamentale di Nietzsche e del pensiero occidentale, dove essi svolgono la loro piena funzione.
Ecco l’inizio del primo aforisma: «Il filosofo come lo intendiamo noi, noi spiriti liberi –, come l’uomo che ha la responsabilità più vasta e per cui il completo sviluppo dell’umanità è un fatto di coscienza: questo filosofo si servirà delle religioni per la sua opera di plasmazione culturale ed educativa, allo stesso modo con cui utilizzerà le condizioni politiche ed economiche del momento.»
Questo è invece l’inizio del secondo aforisma: «Indubbiamente, per mostrare anche il bilancio negativo di tali religioni e di mettere in luce la loro sinistra pericolosità, occorrerà infine dire che si paga sempre a caro prezzo e in maniera terribile il fatto che le religioni non siano nelle mani dei filosofi come strumenti di plasmazione culturale e di educazione, bensì governino a loro talento e in guisa sovrana, e vogliano essere per se stesse gli scopi ultimi e non mezzi accanto ad altri mezzi.»
Ad una prima lettura, sarebbe giusto chiedersi: “Veramente la religione può essere ridotta a una cosa di questo tipo?” È probabile che qui Nietzsche sia troppo riduttivo nel considerare le religioni. Le religioni non possono essere solo strumenti in mano a poche persone, «mezzi accanto ad altri mezzi», poiché hanno una loro storia e una loro vita. Ma è un atteggiamento giustificabile, nel senso che Nietzsche era premuto da una cosa molto importante, per lui, da esporre. Che cosa? Il fatto che una élite avrebbe dovuto padroneggiare una ideologia a esclusivo consumo di certe masse. E, contemporaneamente, il fatto che una religione era dilagata talmente nel mondo moderno in un modo tale da impedire la formazione di tipi superiori e di mantenere in vita ciò che invece doveva essere condannato a morire.
Allora che cosa indicano queste considerazioni di Nietzsche sulle religioni? Semplicemente uno spostamento. Il discorso non riguarda tanto le religioni, che Nietzsche dimostra qui di non comprendere come fenomeno antropologico inscindibile dal fenomeno umano, ma la creazione di gruppi umani tenuti in vita per uno scopo preciso (quello di svolgere certi compiti) e ai quali deve essere fornita una ideologia particolare, costruita in modo tale da fare accettare loro una sorte estremamente gravosa. Questa, più che essere la religione che noi conosciamo, è un qualcosa che viene creato a modello della religione, perché è provato che la religione ha anche un effetto palliativo verso i dolori del mondo, ma che non è, in tutto, una religione. È infatti un pensiero creato “a tavolino”, e il “filosofo” citato da Nietzsche in questi due aforismi non è un filosofo a sé stante, come, ad es., poteva essere il filosofo Nietzsche, che componeva i suoi libri e se li faceva stampare a proprie spese, in totale solitudine, ma un componente attivo di un gruppo dominante (sia essa una élite o una nuova casta). Ma componente di quale gruppo dominante?
L’attenzione deve quindi spostarsi sui due punti estremi della catena: i creatori di questa “religione” e i fruitori della stessa. Il discorso può essere meglio affrontato se si parte da ciò che permette il lancio della catena.
Il pensiero di Nietzsche è un pensiero antidemocratico. Questa affermazione è stata fatta molte volte in diverse occasioni, sempre con intento di biasimo; più con l’intenzione di chiudere, anziché impostare un discorso. Infatti raramente si è cercato di pensare che cosa possa significare un “pensiero antidemocratico” e che cosa possa mettere in gioco come nuovi valori, alternativi a quelli del presente. Questo perché non si vede niente di sano al di fuori della presente modernità democratica.
Dal punto di vista della modernità il cristianesimo, prima di essere una religione, è l’ideologia che massimamente riproduce e tiene insieme tutta la modernità. È l’ideologia più rappresentativa della modernità. Il cristianesimo è quindi quella ideologia la quale, una volta avviata, ha fatalmente trascinato con sé tutto il pensiero e tutti gli esseri umani nella modernità nella quale, ancora adesso, essi si trovano invischiati e sballottati.
Il discorso di Nietzsche sul cristianesimo è quindi un discorso che, in Nietzsche, trascina con sé il discorso sulla modernità. Affrontando così il discorso sulla religione, Nietzsche poteva affrontare nello stesso modo il discorso sulla modernità
Il pensiero di Nietzsche è antidemocratico perché riconosce nel cristianesimo l’ideologia più dannosa per il genere umano, e perché riconosce questa estrema dannosità nel fatto di essere la vera ideologia dispensatrice del concetto di “uguaglianza” tra tutti gli esseri umani, concetto cardine della modernità. Il superamento del cristianesimo è quindi possibile, nel pensiero di Nietzsche, attraverso progetti che devono suonare come inconcepibili nella compagine cristiana. E – di riflesso – in tutta la modernità. Questa fase e la fase dell’affermazione “Dio è morto!” sono quindi inscindibili.
Il primo aforisma mostra la situazione della religione quando essa è dispensata da una élite, cioè dai nuovi dominatori del mondo; la seconda mostra il funzionamento in occasione dell’assenza dei nuovi dominatori.
Il guaio è che si vuole adattare Nietzsche alle proprie convinzioni: un Nietzsche “di sinistra” per Foucault, un Nietzsche “epurato” per Heidegger… In realtà bisognerebbe cominciare a cercare il pensiero di Nietzsche in un terreno sconosciuto, dove si sgretola e frana senza fine il bozzolo angusto della modernità.
Quello che costituisce lo sfondo del pensiero di Nietzsche è un uso diverso del pensiero, diverso da quello cui la modernità ci ha lentamente e inevitabilmente abituati. Su questo sfondo, cioè su un pensiero che funziona in base a una diversa ripartizione dei gruppi sociali rispetto alla modernità democratica, tutti i grandi temi del pensiero nietzscheano – volontà di potenza, eterno ritorno, superuomo – sono progettati e articolati. Quindi in questo aspetto andrebbero analizzati.
Ma seguire questo pensiero non vuole dire seguire un pensiero che urta la democrazia, quanto seguire un pensiero che cerca di farsi pensiero a partire da una uscita della democrazia così come è praticata nell’Occidente della modernità. Tutto il pensiero maturo di Nietzsche si costituisce infatti a partire da uno “sfondo” frattale che prevede l’avvio di una nuova epoca. Questa nuova epoca è caratterizzata grazie alla fissità di lampi frattali. Ma questi lampi fissano come punto fermo il possibile ritorno di ciò che la nostra modernità non può più accettare per nessun motivo e che il cristianesimo, germe suo malgrado della modernità, ha avuto come suo principale nemico. Tutto il pensiero di Nietzsche è sostenuto dalla certezza di un possibile quanto inevitabile ed auspicabile ritorno della forma della schiavitù: di una formazione di nuovi schiavi da una parte, e di nuovi proprietari di schiavi dall’altra; dall’innalzamento e dall’inabissamento di gruppi umani. Quindi di una forma di pensiero sbiadito, sia esso religioso o no, per gli schiavi. E questo non avverrà per sopraffazione, ma per consolidamento di un nuovo modo di pensare, preciso e leggero come il passo di una colomba.
Non è questo un modo più complesso di leggere Nietzsche, un modo che evita le insidie dei “nietzscheani inselvatichiti” quanto quelle di un “Nietzsche epurato”?
Soprattutto, non è questo ciò che porta a rivelare ciò che Nietzsche ha intravisto come futuro dell’Occidente e come sua più grande prossima fase? C’è da chiedersi perché non ci sia stata una riflessione filosofica seria su questi temi e su altri del tutto analoghi. Perché Heidegger non si è mai soffermato su questi due aforismi? Probabilmente, tutta l’interpretazione di Heidegger di Nietzsche è da ripensare a partire da considerazioni del genere.

F. Nietzsche, Al di là del bene e del male. Genealogia della morale, in Opere di Friedrich Nietzsche, volume VI, tomo II, Adelphi, Milano 1976, pp. 66-70.

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