Nella conferenza di Heidegger intitolata Il pericolo il punto centrale è rappresentato dalla frase in cui si ricordano i morti nei campi di concentramento, e anche i morti nella lontana Cina. In entrambi i casi si tratta di morti che suonano in modo smorzato. Per cui si pone più volte la domanda: “muoiono?”. Prima di porre questa domanda, il testo aveva ricordato il pericolo rappresentato da un ordinamento di cose che nella modernità vengono sistemate come cose tutte uguali tra loro, secondo un ordinamento che avanza pretesa di oggettività. Quindi come cose tra le quali non si pone più nessuna distanza. Vale a dire che rinuncia a un ordinamento selettivo. Dopo questa domanda, cioè dopo la domanda relativa alla possibilità di morire, l’attenzione si sposta sulla tecnica.
Si può allora porre la domanda relativa a ciò che fa sì che l’attitudine di presentare le cose come un insieme senza spazio tra loro, di cose tutte uguali tra loro, possa condurre alla domanda riguardante i morti nei campi di concentramento, e poi alla domanda relativa alla questione della tecnica.
Ritorniamo alla frase sui morti nei campi di concentramento. Solo l’essere umano giunto alla costituzione filosofica di un principio di essere umano può morire – dice il testo. Eppure il concetto di “essere umano” è un concetto accettato universalmente. Dove si insinua la differenza? Adesso noi riceviamo la notizia della morte di persone lontane nella conta delle carcasse dei migranti che vengono pescate nei vari mari a sud dall’Europa. Per arrivare ad avere una fine bisogna avere avuto un inizio. Avere una fine richiede avere comunque un inizio. Ma dove? Carcasse di migranti e oggetti biologici è quanto propone la vicinanza offerta dalla modernità. Che è quanto la modernità propone quando propone la vicinanza tra informazione e filosofia. Ma appunto in questo c’è da porre la domanda centrale posta nel punto di mezzo della conferenza: sono morti? La domanda deve aggirare l’ostacolo della vicinanza, che pone sullo stesso piano il puro oggetto biologico e l’essere umano. Se la filosofia non riesce a determinare una definizione precisa di “essere umano”, allora la filosofia è inutile. Ma nel testo di Heidegger abbiamo a che fare con una filosofia che scavalca questa inutilità e che stabilmente pone la differenza.
Questo perché a porre il luogo della domanda è la terra dove la domanda ha il suo reale inizio, cioè l’Europa.
Ma che cosa comporta l’accettazione dell’era della tecnica, su cui la parte finale della conferenza, quella dopo il passaggio sui morti nei campi di concentramento, consiste, ma non insiste?
In una ipotetica terza parte, la tecnica dovrebbe imporsi come tecnica di allevamento e tecnica di selezione. Che è appunto quello che spaventa gli sparuti esegeti di Nietzsche e di Heidegger che si sono avventurati da quelle parti. Losurdo e Faye primi fra tutti.
Così la conferenza di Heidegger richiama su tre questioni: il pericolo riconosciuto attraverso la vicinanza di tutte le cose; la questione della morte, che separa un essere umano da un puro oggetto biologico; la questione della tecnica al servizio della creazione di una nuova casta di schiavi, e della soppressione di quanti, tra gli oggetti biologici, non sono più in grado di funzionare come schiavi.
Il tempo del nazismo è ciò con cui l’Occidente deve essere portato a confrontarsi. Perché in questa sfida è ciò verso cui l’Occidente è portato nel suo nuovo inizio. Questo è appunto ciò che il pensiero dell’Occidente ha rifiutato di fare, ma che appunto la filosofia di Nietzsche e di Heidegger richiama a fare.
Solo il fuoco accompagna il pensiero. Nel fuoco l’uomo è messo di fronte alla responsabilità dei pregiudizi che gli franano addosso.
Perché questo è ciò che è necessario per accettare la sfida fondamentale che l’attende, cioè l’antisemitismo: cuore d’Europa.