Totalità

Manca uno studio relativo su come l’istituzione della città abbia modificato il comportamento degli esseri viventi. In mancanza di un testo base ci si può riferire ad alcuni libri che affrontano la questione da diverse angolature.
Il modo migliore per fissare una possibile bibliografia è indicare quei libri che hanno trasmesso lo stupore che di colpo si è avvertito quando ci si è resi conto di trovarsi a vivere in una città. Cioè in un qualcosa di diverso da ciò che caratterizzava i precedenti insediamenti umani.
Infatti è proprio questo da affrontare prima di tutto.
La situazione della classe operaia in Inghilterra di Engels è forse il testo che maggiormente trasmette questo stupore, ormai a noi tolto.
I «passages» di Parigi di Benjamin è un testo che collega “città” e “modernità”. Di nuovo, due concetti che stentano a suonare nelle loro rispettive dissonanti novità. Agostino, il “mediocre meticcio africano”, secondo la geniale definizione di Rosenberg, nella Città di Dio apre a una considerazione diversa della città. Qui l’analisi parte dallo scontro fra due città: la Gerusalemme celeste e la Gerusalemme terrena. L’abitante della città terrena può solo dimostrarsi insofferente nel rapporto con quella celeste. Ma in lui non può esserci nessuno stupore.
Nel Tramonto dell’Occidente Spengler confronta invece diverse città in senso verticale, cioè scendendo nel tempo, a partire dall’idea del tramonto della Terra della Sera. Roma e Baghdad vengono così a suonare insieme, cioè a consonare.
Il concetto di città è un concetto semita, prima di tutto; mediterraneo, in un secondo tempo. Ma sempre uguale.
Alla città semita bisogna contrapporre la casa indoeuropea. Il libro di riferimento è, forse ancora adesso, La casa degli Indeuropei di Giangabriella Buti (Firenze, Sansoni 1962). Non città, ma casa. Spengler ha notato l’espansione urbanistica di Roma in senso verticale. La casa tende a sparire, in lontananza c’è già il palazzo (Monteverdi, Basile, ecc.).
L’Europa non ha mai conosciuto in origine qualcosa come una città. Il più antico insediamento europeo è quello di fattorie isolate, non di grandi città. La grande città è un artificio che collega Bibbia, Corano, Mille e una notte, la filosofia del mediocre meticcio africano Agostino e la poesia di Roma “città eterna”. Ma la città è estranea alla natura dell’Europa. In quei testi la città si espande sempre in verticale. Come torri. Minaccia il cielo. Lo assorda con lo schiamazzo dei suoi abitanti sempre più litigiosi e numerosi. Sauron e Babele. Sempre bersaglio di un dio tiranno, che le abbatte per manifestare il suo potere criminale.
Lo stupore di colui che cammina nelle città moderne con disagio è lo stupore del Viandante d’Europa. Che annulla la città, che sa che attraversare l’Europa è camminare nella terra la cui terra non è più la terra degli Europei. Attraversare la strada di una città è allora compiere un viaggio, secondo l’avvertimento di Henry Miller.
L’etologia dimostra come la città modifichi il comportamento di alcuni animali prima solo selvatici, ora parzialmente inglobati nella città. Piccoli animali che prima della costruzione delle città non si avvicinavano agli insediamenti umani.
Baudelaire presenta il caso di una poesia all’interno di una città nella quale la poesia viene cercata, costi quel che costi, a tutti i costi, dal soggetto errante. Da qui il tema del flâneur.
Così il poeta e l’animale sono adesso gli abitanti ai quali è dato muoversi come estranei nella città.
Il cinema, in quanto degenerazione dell’arte del romanzo, presenta il fascino di città pericolose e misteriose. E in questo il cinema si risolve. Fascino scandito da ritmi musicali negroidi, negrosuadenti; ma, secondo l’estetica moderna, proprio per questo degno di giungere alla rappresentazione. Northrop Frye vedeva nella pubblicità l’ironia che permette di accogliere il prodotto finale a scanso di qualsiasi sconcio critico.
Solo il poeta può vedere la bellezza unica di una lontana città che nessuno conosce. Ammantata sui monti ai lati di un mare freddo e senza movimento. Solo il poeta può scrivere la lode in onore degli dei. Solo l’uomo è il testimone della bellezza del mondo. Solo il poeta riconosce nel mondo il ritorno degli dei. Ma il poeta da solo non salva il mondo.
L’animale che si avvicina all’uomo salva il mistero del mondo. Il poeta scrive parole che hanno forma e suoni di animali. Quello che il poeta fa è il mistero del mondo. Quello che chiama il poeta è il grande dolore del mondo.
Fragile è la possibilità del poeta. Senza fragilità il mondo sarebbe triste, lento e solitario nel mese che termina la serie di dodici.

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