A.S. Byatt, Ragnarök

L’immagine è più della somma delle parti. Qui l’immagine è la composizione delle due parti in cui il libro è diviso. Che pure non dice niente dell’insieme. Giustamente, secondo quanto si è detto subito. La prima parte comprende la campagna, dove la famiglia vive in tempo di guerra; la seconda parte comprende la città, dove la famiglia riprende a vivere in tempo di pace alla fine della guerra. Il tempo di guerra è il tempo del mito, della corrispondenza tra mito e natura che si presenta come corrispondenza di una scoperta che avviene lungo una linea orizzontale. Ma il mito afferra come vento di tempesta e fa ruotare nella guerra. Dove non c’è più orizzonte, ma solo altezza da cui cadere. Il libro si apre con l’immagine della Caccia selvaggia e la didascalia: “La Caccia selvaggia di Wotan”, descritta subito dopo nel testo con attenzione d’inizio. Così il tempo della guerra è collegato al senso della fine. Più niente ritornerà. Primo fra tutti non ritornerà il padre di famiglia, aviatore, afferrato dal vento della tempesta e destinato a perdersi dentro la schiera urlante. Il vento che afferra, afferra infatti tutti. Perché il vento, come i libri, è un labirinto di tempi e sospiri. E un labirinto soffia dappertutto per confondere le idee. Ma il mondo che si presenta è anche fatto per essere lasciato. Così come il libro con le sue idee di labirinti. Il complicato sistema di fiori e larve del mondo verrà quindi osservato da tanti altri. E adesso si tratta di pensare la fine. Il mito non è storia. Il mito è pluralità di versioni e di interpretazioni; storia è cancellare qualcosa di ciò che è stato allo scopo di reinterpretare. Non c’è più amore per il caos quando, come adesso, c’è solo derisione. Nessuna consacrazione della casa, nel tempo del ritorno del neoclassico. Meticciato e fraudolenza. La musica è una diversa velocità di pensare – che pure è quanto è stato detto a proposito dell’ultima sonata di Schubert. La musica è pensiero a una più potente velocità. Ma da tempo è stato notato il rapporto tra musica e mito. Se musica è un modo più veloce di pensare, allora questa velocità è appunto ciò che può uccidere. Cose che avvengono nel tempo della Caccia selvaggia, quando tutto è trasportato in vento di tempesta. Che cosa è allora la fine della vita? La domanda si pone contrapponendo i miti nordici a quelli cristiani. L’insieme dei miti cristiani è ciò che la bambina impara al catechismo. Che è la contrapposizione tra mito nordico europeo e mito semita – che viene da lontano. Ma lontano è qui ciò che viene da fuori. La Caccia selvaggia è la bestemmia che mastica terra. Che però è lo schiaffo al dio straniero. Il dio straniero è il dio della razza semita. Tra tutti gli dei, il più ingombrante. Chi è lo straniero che viene trovato a ingombrare la casa? Ancora una volta il dio del vento si scaglia contro il bianco Cristo dei semiti. Il mito semita vince. La schiera volante cade abbattuta per sempre a terra, non più dei ma folletti che corrono a nascondersi negli angoli della casa. Rilasciato dal vento di tempesta che lo aveva afferrato, il padre può fare ritorno a casa e la famiglia ricomposta può fare ritorno nella grande città abbandonata nel tempo di guerra. Il tempo di pace è il tempo della fine della scoperta che ha sognato segnando il mondo. Il tempo incantato dei racconti è allora giunto alla fine. La quotidianità avanza gelando le cose. Il mondo non è più ciò che si segna in orizzontale, ma ciò che si deve imparare a conoscere e delimitare sognando in profondità. I piccoli giardini delle case sono recintati. È una brutta forma di Europa che ormai, a guerra finita, si prepara. Con la sconfitta del mito è venuta fuori una brutta Europa; ma se il mito non ci fosse stato, l’Europa di adesso sarebbe ancora più brutta. Solo sono forme vuote. Dal mito si passa al romanzo del più grigio realismo. Così la conoscenza è solo sapere scientifico, che insegna come maneggiare le cose del mondo. Della schiera urlante che aveva trascorso il mondo si salva qui solo quello che più di tutti ne aveva abituato i margini, inafferrabile e maligno, dannoso infaticabile masticatore di intrighi. Si salva per la sua intelligenza che suona precorritrice di quella moderna – ora altrettanto dannosa come allora. Intelligenza affascinata dal caos e dalle leggi che regolano un caos riscattandone la caoticità in una scienza moderna capace di salvare il mondo tanto quanto di affrettarne la distruzione. Dove porta l’interesse per il semidio Loki? Il pensiero raccolto in quel mezzo dio è come il pensiero raccolto in un meticcio che si sforza di pensare per ottenere soltanto un tornaconto. Ma un meticcio è sempre qualcosa come un qualunque altro meticcio. Ed è ciò che ci si sforza di volere vedere, quando noi cominciamo a non vedere più. Perché forse questo è l’inizio: l’occhio non è fatto per vedere. Il buio non è fatto per nascondere. Nella quotidianità, dove tutto si nasconde nel settore del fantasma, si sceglie di vivere tutti insieme come bufali placidi dentro una placida paura. Ma la fine degli dei porta i fantasmi del Nord. Quando c’è solo terra dove andare, allora non c’è più terra dove andare, perché così non c’è più tempo per la Terra del Sacro, che è la terra dove andare. Questo è il canto della terra, quando terra è solo ciò che può essere messa nel canto tra tutti più sguarnito. Per quanto nel Nord non ci siano fantasmi. Nessuno spettro ha mai avvolto, là, di un lenzuolo la tomba dell’anima semita. Ma la morte – a volte – scherza a trasformare i sopravvissuti in fantasmi. Che è quello che a noi ci rimane.

[Il Capo]
A.S. Byatt, Ragnarök. La fine degli dèi, Einaudi, Torino 2013

[La Schiera]
R. Musil, L’uomo senza qualità, Mondadori, Milano 1998
K. Koffka, Principi di psicologia della forma, Boringhieri, Torino 1970
C.G. Jung, “Wotan”, in C.G. Jung, Opere, 10/1, Boringhieri, Torino 1985
F. Nietzsche, Sull’utilità e il danno della storia per la vita (Considerazioni inattuali, II), in Opere di F. Nietzsche, III/1, Adelphi, Milano 1976
Cl. Lévi-Strauss, Mitologica, III: Le origini delle buone maniere a tavola, Il Saggiatore, Milano 1999
Th.W. Adorno, Filosofia della musica moderna, Einaudi, Torino 1959
F. Hoyle, La nuvola nera, Feltrinelli, Milano 1979
R. Safranski, Heidegger e il suo tempo, Longanesi & C., Milano 1996
R. Boyer, Il Cristo dei barbari, Morcelliana, Brescia 1992
D.A.F. de Sade, I romanzi maledetti, Newton Compton, Roma 2011
G. Dumézil, Du mythe au roman, la saga de Hadingus et autres essais, Puf, Paris 1987
J.R.R. Tolkien, La realtà in trasparenza. Lettere 1914-1973, Bompiani, Milano 2001
G. Dumézil, Loki, Flammarion, Paris 1986
J. Evola, Sintesi di dottrina della razza, Edizioni di Ar, Padova 1978
F. Nietzsche, Genealogia della morale, in Opere di F. Nietzsche, VI/2, Adelphi, Milano 1976
A. de Gobineau, Saggio sulla disuguaglianza delle razze umane, Rizzoli, Milano 1997
J.-C. Schmitt, Spiriti e fantasmi nella società medievale, Laterza, Bari 1995
B.B. Mandelbrot, Gli oggetti frattali, Einaudi, Torino 1987

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