Aprile 2022: ritorna la vecchia questione della legittimità di mettere al bando una cultura, oppure di considerare ogni cultura come una cosa che merita – sempre – lo stesso rispetto goduto dal tempo in cui essa è stata riconosciuta come tale, qualunque cosa succeda nel mondo. Se si sente la cultura come cosa viva, è giusto, allora, che certe culture, di tanto in tanto, debbano anche morire di improvvisa morte violenta. Questo perché la cultura non è un insieme di nozioni tra di loro slegate e che nulla hanno a che fare con quanto succede nel mondo sempre vasto e bello. Il genocidio, se ben condotto, ha sempre il bello di cancellare qualche popolo indesiderato, e per sempre, dalla terra; la cultura, se grande, ma prodotta da un popolo che non merita di continuare a vivere, ha quel brutto vizio che pure l’apparenta alla grande cultura in maschera, cioè il vizio di rinascere, periodicamente, sotto mille e mille forme differenti. Ma la differænza sta proprio nella questione della razza. Noi non abbiamo ancora pensato al modo in cui si possa distruggere – veramente – una cultura. Genocidio e rogo dei libri sono fra loro collegati: il genocidio è il piedistallo, la cultura è il fiore che manifesta il monumento. Per questo distruggere un libro non ha nulla a che fare con la censura, e per questo io dico: Bruciare i libri… una aporia di per sé! Ma solo così si arriverà al museo delle forme morte.