Il gigantismo è una tendenza della letteratura moderna. Le dimensioni risultano fuori controllo. Lo si nota in scrittori come John Barth e Thomas Pynchon. Diverse volte Heidegger ha indicato nel gigantismo un tratto insistente della modernità (vedere qualche conferenza degli anni Cinquanta, Quaderni neri, Contributi alla filosofia).
È possibile unire narrativa postmoderna e narrativa minimalista? In che cosa consisterebbe l’eventuale specificità? Nel fatto di non mettere a fuoco, evitando il gigantismo. Pensare al Coltivatore del Maryland: l’edizione italiana ha 1027 pagine, il progetto è quello di comporre un romanzo nello stile di un romanzo del Settecento. Non si poteva fermare il progetto in due o tre pagine appena? Per “fermare” intendo qualcosa come “fermare un’idea improvvisa” che passa per la mente, stendere un appunto veloce per una successiva elaborazione. Pensare per aforismi.
Il gigantismo è lo sgambetto che la vecchia letteratura fa all’autore moderno. Più pagine si scrivono, meno si finisce per dire. Più la dimensione è vasta, più il ritmo si rattrappisce.
Un minimalismo postmoderno dovrebbe evitare in modo frattale ogni grande dimensione, puntando invece a un ritmo come germe frattale che si ramifica all’infinito. Non una lunga storia eseguita “alla maniera di”, ma milioni di possibilità ciascuna dotata del proprio ritmo, che tutte insieme non portano da nessuna parte ma arrivano dappertutto. Una grande letteratura deve basarsi su pochi principi. Non tutto un libro, ma appena una frase.
C’è sempre qualcosa di affascinante nei quaderni di appunti, intuizioni geniali che escludono qualsiasi trattazione completa. È il nostro modo di pensare che le uccide. Pensiamo sempre troppo lentamente, compitiamo una logica di cui ogni tanto se ne intravede l’inutilità.
Mettendo un brogliaccio dedicato ad disparati al posto di un lungo romanzo focalizzato su un solo argomento avremmo soprattutto un’opera didattica. Qualcosa chiamato a inaugurare un nuovo tipo di opera didattica. Didattica come possibilità di svolgere quanto accennato nel testo base, quindi schema di combinatorie possibili.
Il romanzo non deve essere la realizzazione finita di una possibilità, ma l’apertura nei confronti di un insieme di possibilità. La possibilità di svolgere storie è il modo migliore per sfuggire alla storia singola. L’opera completa blocca sempre il nuovo pensiero. Un romanzo deve contenere milioni di trame diverse; tutte intraviste, nessuna svolta.