Herman Melville, Benito Cereno

Tema: Il tempo

La letteratura del passato, nella forma dei classici della letteratura giunti a noi, deve portare a pensare quello che, dentro la spicciola forma della letteratura moderna, non è più possibile – ormai – portare a pensare; per cui la letteratura moderna soggiace a un tipo di censura tutta moderna quanto tutta letteraria, che noi ancora non siamo in grado di riconoscere in quanto tale, cioè in quanto censura che giunge a noi, ma che una lettura attenta dei classici della letteratura può aiutarci a riconoscere. Così può essere utile rileggere Benito Cereno di Herman Melville partendo da questo punto di vista.

Cominciando a leggere questo testo, vediamo che il protagonista, il capitano nordamericano Amasa Delano, entra nella strana nave alla quale, molto lentamente, a causa della accalmia, si era faticosamente avvicinato a bordo di una scialuppa calata, appositamente per l’occasione, dalla sua nave. La lentezza dell’avvicinamento, complice appunto l’accalmia, gli permette di notare alcune cose relativa alla nave, che riguardano l’apparente trascuratezza, che sembra avvolgere tutta quella nave, in una nuvola di apparente trascuratezza, nel momento in cui egli sa che, in quel tempo e in quel luogo, quella nave è la sua meta finale del tragitto.

Ma quando poi gli è dato salire a bordo, è portato a notare l’inefficacia del comando, rappresentato dal giovane capitano, lo spagnolo Benito Cereno, e la promiscuità di bianchi e neri, in quella nave dominante, che sembra permettere ai neri di aggredire, sempre impunemente, i bianchi, senza che il capitano BC si ritenga in diritto di intervenire.

Solo in un secondo momento, il capitano AD, ragionando su quella situazione, di propria iniziativa, viene portato a temere per la propria vita, pensando che, l’averlo attirato lì, da parte della messa in scena, che quella nave potrebbe avere rappresentato, non sia altro che una mossa per permettere la presa della sua nave da parte di quella ciurma, che sembra costituire la vera natura della nave San Dominick e che l’assenza di quello che potrebbe essere il vero capitano Benito Cereno nasconda in realtà solo la presenza di un pirata che si è avvalso del nome del defunto capitano Benito Cereno per scopi infausti.

Il capitano AD si accorge di qualcosa che non quadra nel racconto che il capitano BC gli ha fatto fino a quel punto, ma in che cosa consiste, questa parte – del racconto – che non quadra? Anche noi, leggendo Benito Cereno, ci accorgiamo, giunti a quel punto, che qualcosa non quadra, perché nel racconto ci sono incongruenze – che suonano incongruenze nell’uso del tempo da parte del capitano BC, ma incongruenze nel racconto da parte dell’autore Herman Melville. Di che cosa non si accorge, il capitano Amasa Delano – dal punto di vista di noi, lettori del ventunesimo secolo, che, leggendolo, lo osserviamo, nei confronti di questo testo scritto nella metà del diciannovesimo secolo? Il racconto che noi abbiamo letto è, fino a questo punto, confuso, mentre raggiunge la forma definitiva solo con la testimonianza del capitano BC, quando la questione della rivolta degli schiavi è parte definitiva del racconto, pensata comunque in quel modo, cioè a partire da quella cesura, che doveva portare alla censura in quanto cosa da censurare ancora, adesso, più di un secolo dopo. Notiamo che questo testo non è diviso in capitoli: il racconto Benito Cereno racconta la possibilità di un racconto presentato secondo la disposizione in due parti, che pure non affronta, una prima parte confusa e inadeguata, perché affidata a un modo di apparire delle cose a partire da ciò che la nave presenta quando il capitano di un’altra nave sale a bordo, perché quella nave nasconde qualcosa; una seconda parte adeguata per completare il racconto vero e proprio, perché riguarda il significato di ciò che la prima parte del racconto era stata composta per tenere nascosta. Che cosa determina questa disposizione del materiale del racconto? È logico che il racconto vero e proprio vive solo in quanto svelamento di ciò che la prima parte del racconto era teso a nascondere, ma questo è proprio ciò che viene lasciato ad altri, più completi, disvelamenti che devono avvenire lungo il tempo.

Così il racconto Benito Cereno si presenta in questa doppia forma: 1) un racconto incompleto, con molte parti non risolte. 2) Un racconto che, di colpo, spiega tutto, quando coincide con la deposizione del capitano BC in qualità di testimone, e non più di falso interlocutore con l’ospite capitano Delano.

Il racconto BC ruota intorno ad una cesura, che ha la funzione, in un primo tempo, di nascondere ciò che è successo, pena la vita, a quelle persone su quella nave, e di spiegare, in un secondo tempo, quanto accaduto, dispiegando così le parti che allora sembravano essere oscure. Questa parte del racconto è ciò che la letteratura moderna non tollera come parte di un racconto da consegnare alla letteratura. La cesura funzionava come cosa da non dire da un personaggio all’altro, cioè il capitano Benito Cereno non doveva far sapere al capitano Amasa Delano, suo omologo e occasionale ospite, quanto su quella nave era accaduto, cioè la rivolta degli schiavi negri che quella nave stava tranquillamente trasportando; ma la cesura funziona adesso come ciò che non deve essere detto al lettore, che è l’ospite che viene accolto grazie all’accalmia del tempo disponibile alla libera circolazione di tutti i testi del mondo, che è sempre la stessa cosa, per quanto riguarda il contenuto, cioè la rivolta degli schiavi, perché la rivolta degli schiavi è proprio ciò che deve essere incoraggiata, o almeno tollerata, in quanto considerata assolutamente legittima – e il lettore accolto allora come l’ospite della nave straniera deve essere predisposto a tollerare quella rivolta in quanto legittima da parte dei negri presenti su quella nave, in quanto i negri hanno diritto a vivere, cioè da parte della comunità nera, che è la stessa cosa che deve essere parte del racconto, mentre il negro è proprio la cosa che deve essere nascosta, perché ciò che il racconto è portato a dimostrare è invece l’Incontro con la Cosa. Il racconto funziona così su due modalità precise, perché si basa sul tempo attraverso cui il racconto è letto: il tema della rivolta degli schiavi, il tema della Rivolta degli schiavi.

Ciò che costituisce la rivolta è sempre la rivolta degli schiavi. Ma che cosa è che costituisce l’epoca moderna in quanto possibilità di leggere in un modo del tutto diverso, ciò che ha definito il nuovo tempo a partire dal tema della rivolta degli schiavi?

Qual è la cosa che costituisce, adesso, la cesura, e che porta infine e adesso alla censura? È il riconoscimento della rivolta degli schiavi, che è avvenuta e che ha preso il controllo, imponendo il proprio modo di pensare, non più soggetto al controllo del negro Babo. Per cui abbiamo “Cesura Censura”.

Questa situazione è rappresentata dal personaggio del negro Atufal, nello stesso modo che il negro Atufal dimostra l’inutilità dello spettacolo, pure rappresentandolo con assoluta pignoleria, fino a quel punto. Chi è il negro Atufal? Il negro Atufal, secondo quanto riferisce il negro Babo, è un negro che, nel suo ambiente di negri, fino a quando non è stato prelevato dai bianchi per occuparlo come schiavo, era un capo, e che, adesso, anche in quella situazione aberrante, posta sotto il controllo del negro Babo, può essere definito un “Re”. In che cosa consiste la manifestazione della regalità, da parte di questo “Re negro”, comunque destituito? soltanto nel comparire, come la figura in un meccanismo ad orologeria, davanti al capitano BC, a sua volta formalmente destituito del suo comando, e manifestare la propria volontà di non volere chiedere perdono – a chi comunque, mai, potrebbe concederglielo. Il negro Atufal è un meccanismo a orologeria inventato dal negro Babo, che mette a disposizione del capitano Benito Cereno, in quanto esibizione della sua destituzione come capitano, e in quanto matematizzazione della terra col suo tempo tranquillo che scorre, la pura comparsa della sua imponente presenza già trascorsa. Atufal è la faccia nascosta di Babo, ma è la parte della sua carcassa destinata al silenzio del fuoco, come si vedrà dopo la condanna, contrariamente alla parte di quella stessa carcassa, cioè la testa maligna, la parte della carcassa del negro riconosciuta come la parte che ha macchinato l’inganno, destinata alla esposizione spiccata sopra un bel palo ritto davanti a tutti secondo la logica che parte dalla matematizzazione del mondo della razza bianca, dal negro Babo imitata fino all’estremo. Atufal comporta, in una sola vivente immagine, le due parti della carcassa, destinate a due compiti diversi: distruzione ed esposizione, ma Atufal suona come una presa in giro della sovranità, come solo il meticcio può impostare. Il meticcio negro Babo ha organizzato quella presa in giro della regalità, con la stessa logica con cui il meticcio italiano Giovanni Boccaccio ha organizzato, nell’ultima giornata del suo triste Decameron, la presa in giro della regalità – infatti il meticcio pensa sempre nello stesso modo, si tratti di un negro o di un italiano.

Bene, ma giacché si parla di letteratura italiana, devo dire che non ho mai capito, al di là di tutto questo, l’importanza che gli italiani hanno conferito a quei vecchi graziosi mucchietti di parole che, secondo loro, costituirebbero la “poesia” di quel meticcio italiano che risponde al fantasioso nomiciattolo di Giacomo Leopardi: me lo può spiegare infine qualcuno? Faccio presente che il falso periodo di accalmia è il bonaccione tempo che mi permette di avvicinarmi ai graziosi mucchietti di parole del meticcio italiano Giacomo Leopardi… nel suo fantasioso nome, per sgretolarli (quanto mi dà fastidio, questo bastardo di italiano, con i suoi vecchi mucchietti di parole, è una cosa che non so dire).

Che cosa comporta la rivolta degli schiavi sulla nave San Dominick? Il ribaltamento di tutto il linguaggio e di tutti i rapporti tra gli umani presenti su quella nave; la depressione davanti a una tale situazione, dove le cose non sono più quello che sono sempre state fino ad allora. Il capitano BC è la vittima di questa situazione perché è colui che, in quanto capitano, ne avverte fino in fondo le diverse implicazioni. Anche quando, una volta finito l’incubo, dopo avere testimoniato su quanto accaduto, BC non riacquisterà più la sua salute, perché sa che quanto accaduto è un avvenimento di portata irreversibile, da qui le due posizioni: il mondo non ha memoria del negro (cioè della Rivolta degli schiavi), che è ciò che compete agli umani: Delano a Benito Cereno «“Ma il passato è passato; perché farci sopra la morale? Dimenticatelo! Guardate, il sole che risplende lassù ha dimenticato ogni cosa, e anche l’azzurro mare, e anche il cielo azzurro, hanno voltato pagina.” | “Perché non hanno memoria” rispose l’altro, sconsolatamente; “perché non sono umani.” | “Ma i dolci alisei che ora vi sfiorano le guance non vengono forse a voi come una carezza risanatrice e umana? Amici caldi, amici sicuri sono gli alisei.” | “Con la loro costanza non fanno che spingermi alla tomba, señor” fu la presaga risposta. | “Voi siete salvo,” esclamò capitan Delano, sempre più sorpreso e addolorato “voi siete salvo; che cosa ha gettato su di voi quest’ombra?” | “Il negro.” | Ci fu un silenzio, durante il quale quel tetro uomo seduto raccolse intorno a sé, adagio e macchinalmente, il proprio mantello, quasi fosse un sudario.» (pp. 80-1), il mondo è la memoria di ciò che ha fatto il negro. Il capitano Benito Cereno ha compreso, attraverso quella semplice avventura che lo ha coinvolto, capitano di una nave a ventinove anni, il significato universale della Rivolta degli schiavi. La rivolta degli schiavi, per quanto soppressa, è ciò che lega la memoria dell’abitante della terra alla presenza della cosa che ha promosso quella rivolta che, per quanto vinta, comporterà sempre l’esistenza di un mondo non più piacevole da abitare come prima da parte della razza che ha diritto di abitare la terra – che è quello che Tolkien riconosceva alla fine del Signore degli Anelli dopo la riconquista della Contea da parte degli hobbit; perché la serenità del vivere, dopo la comparsa della razza degenerata, non può più essere la stessa, per chi abita la terra.

Nietzsche ha riconosciuto, nel cristianesimo, la più grande rivolta degli schiavi mai organizzata, e nella sua vittoria finale la prima trasvalutazione di tutti i valori fino ad allora riconosciuti come tali, per cui ciò che era “buono” è potuto, da allora, diventare “malvagio”. Per contrastare un fenomeno del genere, secondo Nietzsche, era necessario l’allevamento di un nuovo tipo umano, in grado di opporsi ad ogni forma di rinascita del cristianesimo e a tutti i suoi perniciosi effetti, primo fra tutti l’uguaglianza di tutti gli esseri umani, la sacralità della vita umana, e poi via di questo passo in tutte le forme di rinascita dei principi del cristianesimo, cosa che porta all’allevamento del superuomo, cioè della forma che porta al di là dell’uomo.

Il negro Atufal è il negro che non si è adattato alla Rivolta degli schiavi, cioè a prendere il potere dopo che la Rivolta degli schiavi ha avuto luogo; il negro Babo è invece il negro che sfrutta il tema della rivolta degli schiavi per i suoi scopi, cioè per gli scopi della sua razza, che i bianchi degenerati gli hanno offerto, nella loro incredibile stupidità. In realtà tutti e due, il negro Atufal e il negro Babo, sono due negri, che sono solo il modo di pensare dei bianchi degenerati, che porta a distinguere una cosa, come il re negro Atufal in catene, come una cosa ben diversa da quell’altra cosa che invece è il negro Babo.

La San Dominick diventa così la rappresentazione del vero mondo moderno, dominato dal politically correct e dal pensiero unico di cui il santo cristiano domenicano, a cui isola e nave sono dedicati, è il triste portatore, cioè dal tristissimo cristianesimo, che ha portato alla trionfale rivolta di Santo Domingo, vale a dire alla rivolta degli schiavi negri capitanati dallo stupido negro Babo silenziosamente tonante.

Perché, adesso, possiamo dire che quello che l’esperienza della nave San Dominick ha rappresentato nel mondo, è l’esistenza dell’arte degenerata, e la conseguenza che l’arte degenerata esiste perché esiste la razza degenerata? cioè la consapevolezza che viene lasciata esistere nel mondo la razza degenerata, quando appare chiaro che, per eliminare la possibilità dell’arte degenerata, è necessario procedere alla assoluta rimozione della razza degenerata dal mondo che la razza bianca abita e che il meticcio invece solamente occupa, senza che questo processo giunga alla formula appena di una domanda?

La sorte toccata alla carcassa del negro Babo è il simbolo del racconto Benito Cereno di Herman Melville nella sua interezza consegnata al tempo, perché i due tronconi in cui la carcassa del negro Babo viene divisa, alla fine del racconto Benito Cereno, ripropone e ripete l’attento meccanismo con cui Herman Melville ha siglato il suo racconto, fino a raggiungere, a partire da lui, in quanto impavido scrittore del XIX secolo, noi, pavidi lettori del XXI secolo, di cui egli non poteva immaginare alcunché, fuorché l’inconveniente per cui, se storia è storia della razza bianca, allora storia della razza bianca è il risultato dell’incontro funesto con il negro, che è ciò che afferma, nella sua sconfinata tristezza, il personaggio Benito Cereno, senza che nessuno possa accogliere il suo vero messaggio che è quello che il racconto è chiamato a consegnare al tempo, adesso a noi, e poi ancora ad altri oltre noi.

Herman Melville, Benito Cereno, traduzione di Bruno Tasso, Rizzoli, Milano 2011

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