Il film tratto da un romanzo appassisce cose che in un romanzo sono presenti. Ma questo dipende dal fatto che, nel film, ci si accanisce a seguire una grammatica di racconto stabilita a livello di azione. Di per sé il film tratto dal romanzo potrebbe ricreare il romanzo in altri modi, arricchendo anzi il romanzo. Si è scelto di limitarsi a ciò che si intende come azione – dando per scontato che il romanzo sia costituito da una serie di azioni. E stando così le cose, il film sarebbe chiamato a riassumere ricordando azioni. Il film ha l’effetto di una serie di tableaux vivants, che ripropone i momenti in cui l’azione ha meglio imbrigliato i personaggi nel romanzo, intervenendo dove lo scrittore poteva dal canto suo soltanto agire sull’immaginazione del lettore. Il film si pone come aggiornamento tecnologico del genere romanzo.
Immaginiamo un film tratto da Moby Dick di Melville, che presenti non solo l’azione legata alla caccia alla balena di nome Moby Dick, ma anche tutta la parte enciclopedica sulla balena, che costituisce il tratto caratteristico del romanzo di Melville Moby Dick. Vale a dire: immaginiamo il film che da Moby Dick non è mai stato tratto.
Un romanzo comprende parti narrative e parti sceneggiate – queste ultime sempre più insistenti. Il film dovrebbe tenere presente questa alternanza, così come ogni film dovrebbe basarsi sul rapporto tra film e cinema – in questo devo dire che il detestabile finocchietto e meticcio italiano Pier Paolo Pasolini aveva perfettamente ragione nel richiamare il rapporto che la linguistica strutturalista ha stabilito tra “lingua” e “parola”.
Margaret Doody ha fatto notare (Dare un volto al personaggio, in Il romanzo, I, Einaudi 2001) come gli illustratori dei romanzi si siano sempre concentrati sui momenti fondamentali della trama come momenti che si possono riassumere in una singola scena di azione. Come poi i registi cinematografici, essi volevano mostrare i personaggi in azione o al centro di una scena di grande azione.
Al punto in cui siamo, trarre un film da un romanzo vuole dire permettere al lettore di vedere quello che il lettore si sarebbe aspettato di vedere come ciò che avrebbe veduto se fosse stato lo spettatore, anziché il lettore, di quel testo.