Insiemi plurali

Maneggiare in modo diverso le categorie della forma del romanzo è una cosa che non riusciamo ancora a fare con disinvoltura. Questo perché non riusciamo a pensare al di fuori delle solite, acquisite caratteristiche che, per noi, costituiscono il romanzo, cioè l’arte massima della narrazione. “Finnegans Wake”: A Plot Summary di John Gordon (Gill and Macmillan, Dublin 1986) è un esempio di questa assenza di disinvoltura. In questo libro vengono ripercorsi i diciassette capitoli di Finnegans Wake riassumendone la trama, cioè allineando gli eventi sulla base del naturalismo; ma la domanda da porre è: a quale livello si pongono questi “eventi”? L’intento sembra essere quello di considerare Finnegans Wake un romanzo “normale”, semplicemente mascherato da cosa strana, ingarbugliata come la trama di un sogno – poiché di un sogno infine si tratta. La tesi fondamentale del libro di John Gordon è che Joyce, scrivendo Finnegans Wake, non abbia per nessun motivo abbandonato il naturalismo, forma che, precisa John Gordon all’inizio, ha sempre contraddistinto la sua arte, a partire da Dubliners: «From beginning to end, Joyce remained a mimic in the root sense of the word.» (p. 1). Lungo tutta la produzione di Joyce l’arte di mimare (cioè di fornire uno specchio della realtà) cambia notevolmente e in Finnegans Wake giunge a livelli sino ad allora inimmaginabili. Ma si tratta sempre della stessa arte – secondo Gordon. E forse è proprio così. Quello che sembra mancare è la possibilità di uscire da un’arte che si presenta come multiforme copia della realtà (“multiforme copia” quanto si vuole, ma pur sempre copia). Al posto dell’individuo dovremmo vedere qualcosa come “oggetti plurali”, che probabilmente è più simile a ciò che ha guidato Joyce lungo la composizione di Finnegans Wake, aprendo così l’avvicinamento a quell’aggregato che può essere infine rintracciato come insiemi plurali. Quindi non si dovrebbe riassumere la trama riducendola agli individui, ma seguire il gioco d’espansione degli insiemi plurali. L’esplorazione di Finnegans Wake dovrebbe avvenire proprio facendo a meno dei soliti parametri. Quindi, anziché vedere la vicenda naturalistica sotto la superficie caotica, bisognerebbe considerare il caos come modo utile per abbandonare il naturalismo. Sono sempre stato dell’idea che l’arte di scrivere debba preventivamente tendere a una distruzione di qualsiasi lingua. Ma che, nel caso particolare, è la lingua che lo scrittore si trova a usare. Perché la lingua è proprio ciò che lo scrittore deve violentare, prima di ogni altra cosa, come ben sapeva Sade. Qualunque cosa si possa dire di Finnegans Wake, bisogna partire da questo principio: Finnegans Wake è un testo che non prevede il discorso. È probabile che Finnegans Wake sia proprio il primo testo composto nell’ottica del rifiuto del discorso razionale. Che è come dire il rifiuto all’allineamento razionale. Questo perché il richiamo deve essere verso ciò che è il disprezzo. Del disprezzo della ragione, prima di tutto. Al metodo di Joyce (pur sempre fondato sullo stream of consciousness) bisognerebbe contrapporre il metodo messo all’opera nei Canti di Pound, vale a dire un metodo che prevede un romanzo non più fondato su di un personaggio – in quanto equivalente a ciò che prevede una teoria intermedia del soggetto. Il risultato è che in Joyce è sempre il personaggio a parlare. Bisognerebbe invece arrivare a un romanzo in cui sia il linguaggio a parlare e a dettare la trama, costruendo di tanto in tanto – ma mai secondo la forma di una necessità – qualcosa come un individuo parlante. E quindi a parlare attraverso gli individui.

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