La terra lavata

Uffa! Si è mai notato quanto l’italiano sia una lingua brutta, rozza e pesante? Eppure, quante cose si possono dire con questa brutta lingua ad essa opposte. Si può immaginare un sistema critico che funzioni in base a valori diametralmente contrari a quelli attuali (ad esempio secondo la gradevole legge del “come se…”) e conformarsi ad esso, in un ozio irresponsabile, per la redazione di testi prima di allora mai pensati. Una certa lettura dei testi di Jung può confermare l’abitudine a vedere nei racconti popolari il resoconto del raggiungimento di una personalità soggettiva a seguito del confronto con alcuni ostacoli. Per quanto Lo hobbit di Tolkien non appartenga alla categoria dei racconti popolari, questa narrazione ne sfrutta le articolazioni. Ma il vero tema è ciò che viene rivelato alla fine: il processo di avveramento delle leggende, vale a dire il processo attraverso cui le leggende giungono ad avverarsi chiamando quegli insiemi di sottoinsiemi costituiti dai personaggi e dai racconti – e quindi il contributo dei personaggi al compito finale, che supera l’interpretazione degli stessi personaggi in quanto individui. Ma le leggende si avverano perché trovano nella verità la loro casa, nello stesso modo in cui i personaggi sono mossi dagli eventi al fine di riconquistare la propria casa. Quando alla fine del racconto Bilbo commenta che le vecchie canzoni si sono rivelate vere, gli viene infatti risposto da Gandalf: «“Ma certo!” disse Gandalf. “E perché non dovrebbero rivelarsi vere? Certo non metterai in dubbio le profezie, se hai contribuito a farle avverare! Non crederai mica, spero, che ti sia andata bene in tutte le tue avventure e fughe per pura fortuna, così, solo e soltanto per il tuo bene? Sei una bravissima persona, signor Baggins, e io ti sono molto affezionato; ma in fondo sei solo una piccola creatura in un mondo molto vasto!”» (J.R.R. Tolkien, Lo hobbit, Adelphi, Milano 1979, p. 342). Proprio questa precisazione aiuta a cercare al di là della tendenza psicologistica di intendere il materiale di origine fiabesca, e al di là della tendenza che porta alla sopravvalutazione o alla sottovalutazione dell’io – che è poi la stessa cosa, partendo dalla stessa origine. Vale a dire di un individuo distaccato dall’insieme della razza di appartenenza, cioè da un destino di razza – che è ciò che concerne la narrazione.
Infatti Lo hobbit non si basa sulla formazione di un individuo tipo, quanto sulla necessità della distruzione di un’altra razza, apertamente mostrata in quanto inferiore. Così questa necessità si sviluppa attraverso un movimento che sembra possibile indicare in questo schema:

Introduzione La formazione della Compagnia (cap. 1)
Avventura 1 I tre troll (cap. 2)
Soccorritore 1 Il breve riposo presso Elrond (cap. 3)
Avventura 2 Il passo in montagna e l’agguato degli orchi (cap. 4)
Stazione Bilbo incontra Gollum (cap. 5)
Scorciatoie I lupi mannari e le aquile (capp. 6 e 7)
Soccorritore 2 Beorn (cap. 7)
Sequenza 1 I ragni (cap. 8)
Sequenza 2 Il re degli elfi (cap. 9)
Sequenza 3 La riconquista del tesoro (capp. 10-17)
Epilogo La svolta verso il luogo d’origine (capp. 18-19)

           

Stazione: il luogo dove Bilbo ottiene qualcosa, un oggetto magico (l’anello), da cui deriva un prestigio
Sequenza: un insieme di situazioni a cui Bilbo deve fare fronte
Scorciatoie: il luogo dove Bilbo è soltanto un peso

 Il capitolo iniziale (1. Una riunione inaspettata) e quello finale (19. L’ultima tappa) hanno funzione complementare: l’abbandono della casa per le multiformi avventure, nel primo capitolo; la riconquista della casa al termine delle avventure, nell’ultimo capitolo.
Beorn ha funzione di crocevia tra i due movimenti. E questo per varie ragioni:
1. È un personaggio collegato all’antica civiltà germanica. È un berserkr. La sua fattoria ricorda l’antica casa germanica (vedere il disegno della “Sala di Beorn” a p. 141, che riproduce il salone della tipica “casa lunga” di epoca vichinga).
2. Vive in una casa di tipo germanico, e si serve di animali domestici. La domesticazione degli animali ha però lì funzione accessoria, che scade a decoro, come si vede negli animali che apparecchiano la tavola per il pranzo.
3. Divide il romanzo in due parti: prima dell’incontro con Beorn, Bilbo è stato solo un peso per i suoi compagni. Dopo l’incontro con Beorn, Bilbo si dimostrerà un valido aiuto per la compagnia. Il cambiamento di prospettiva è rimarcato dalla partenza di Gandalf alla fine del capitolo di Beorn. Dopodiché Gandalf verrà ritrovato solo nel cap. 16 (Un ladro nella notte). La posizione di Bilbo all’interno della Compagnia riflette quindi tre momenti diversi dell’azione: il momento in cui l’azione viene avviata (e Bilbo è soltanto un peso fuori luogo); il momento in cui l’azione tocca il culmine (e Bilbo riassume in sé la posizione del guerriero e del raziocinante); il momento in cui l’azione viene risolta (e quindi Bilbo deve farsi da parte, non essendo egli un guerriero, in modo da lasciare il posto al vero guerriero, cui spetterà la conclusione della vicenda).
Elrond ha una funzione simile a quella di Beorn (è infatti stato compreso nella categoria Soccorritori). Anche Elrond è una figura che vive tra due mondi. Rappresenta una sosta per la Compagnia e divide due momenti importanti nel modo di fare di Bilbo: prima dell’incontro con Elrond, Bilbo se la deve vedere, anche se in modo piuttosto impacciato, con i tre troll; dopo l’incontro con Elrond, Bilbo ha a che fare con Gollum, ma ormai potrà dimostrarsi all’altezza della situazione, tenendo testa al nemico e riuscendo a conquistare l’anello, anche se in modo casuale, oggetto che tanto prestigio in seguito gli conferirà. All’uscita dalla Casa di Elrond è quindi quella di Beorn che attende per convalidare la posizione di Bilbo.
Le tre grandi sequenze nelle quali si manifesterà l’abilità di Bilbo hanno infatti il loro successo grazie all’uso dell’anello da parte di Bilbo. Queste tre sequenze comprendono: il combattimento contro i ragni di Bosco Atro (Mirkwood); la fuga dalla dimora del Re degli Elfi Silvani in cui sono prigionieri i nani della Compagnia; e, ultima, lo scontro con Smog.
Queste tre sequenze ruotano intorno alla possibilità della presenza di un ordine sociale: nella Sequenza 1 (i ragni) l’ordine sociale è del tutto assente; nella Sequenza 2 l’ordine sociale concerne un ordine di tipo sovrannaturale (gli elfi); e nella Sequenza 3 l’ordine sociale concerne l’ordine umano nella doppia forma della distruzione di Pontelagolungo (Lake Town) ad opera di Smog e della costituzione di un nuovo ordine attraverso la ricostruzione della nuova città su cui regnerà Bard. Questo ordine sociale non prevede l’esistenza di ciò che può essere definito come una razza inferiore. Anzi, ne prevede l’assoluta soppressione. Si intende per “razza inferiore” quella razza (o quelle razze) che un progetto della creazione permette di identificare come nocive al progetto della creazione e quindi degne di essere soppresse, ai fini di un ripristino della consonanza originaria della creazione. Questa interpretazione delle razze inferiori è tipica delle opere composte da Tolkien. L’epistolario riporta una diversa possibilità di composizione dei testi, volta non a dimostrare la giustezza della eliminazione delle razze inferiori, ma a riportarne un possibile avvicinamento nella forma di una celebrazione per capovolgimento. È ciò che Tolkien ha liberamente escluso dalla realizzazione: «Ho iniziato una storia che si svolge circa cento anni dopo la Caduta (di Mordor), ma si è rivelata sinistra e deprimente. […] Ho scoperto che anche in epoche così antiche ci fu un fiorire di trame rivoluzionarie, incentrate su una religione satanica segreta; mentre i ragazzi di Gondor giocavano a travestirsi da orchi e andavano in giro a fare danni. Avrei potuto ricavarne un thriller con il complotto e la sua scoperta e la sua sconfitta – ma non ci sarebbe stato altro. Non ne valeva la pena.» (J.R.R. Tolkien, La realtà in trasparenza Lettere 1914-1973, lettera del 13 marzo 1964, Bompiani, Milano 2001, p. 387).
L’assenza di un ordine sociale (nel cap. 8) è segnalata dal fatto che i nani e lo hobbit, ormai alle strette, cercano di far parte di un ordine, dapprima solo intravisto da Bombur in qualità di sentinella come insieme baluginante di luci. Grazie al fatto di far parte di quell’ordine, essi potrebbero (secondo i loro intendimenti) ottenere il cibo di cui hanno urgente bisogno in quel momento. L’impossibilità di farne parte li relegherà nel non-ordine rappresentato dai ragni. Notare che il tentativo della Compagnia è rivolto verso un ordine diverso dalla propria appartenenza di razza, cioè verso l’ordine degli elfi (e quindi verso un ordine sovrannaturale). Quindi l’azione di Bilbo è l’azione di tendere alla fusione con un ordine sociale pertinente.
Più si va avanti, più le sequenze diventano complicate. Questo si vede nella parabola delle armi di Bilbo, la quale si esplica secondo una suddivisione che identifica: spada, in un primo tempo, contro i ragni; pietre e canzoni di dileggio, in un secondo tempo, contro i ragni; astuzia silenziosa contro gli elfi; dialogo astuto con Smog. Il lancio di pietre contro i nemici è un elemento presente nelle saghe islandesi. Colui che le tirava era un abile lanciatore e poteva uccidere un nemico con un tiro, come dimostra la Grettis saga.
Smog è il vero nemico contro cui la Compagnia deve confrontarsi. È il drago come è rappresentato dal Medioevo latino, ma non dall’antica civiltà germanica: che vedrà il drago come una specie di rettile volante con ali di pipistrello. Il drago antico-germanico era invece una specie di enorme verme o serpente (parola usata in antico nordico: ormr), senza zampe e senza ali, che poteva solo strisciare. Tuttavia il colpo di Bard sembra scagliato in ottemperanza dell’antico resoconto germanico. Il drago è sopra la città, Bard è infossato in un punto della città in fiamme. Ha sopra di sé il ventre indifeso del mostro. Gli basta alzare l’arma per colpirlo a morte. Il riferimento a Sigurðr uccisore di Fafnir è quindi tutt’altro che lontano. Ma è un lampo – come il suggerimento lanciato da Bilbo attraverso il messaggio del tordo.
Solo dopo la distruzione della rappresentazione latina del mostro si ha la riconquista della casa. La riconquista della casa ha avuto l’importante aiuto da parte di Beorn, personaggio che, anche attraverso il nome, si collega alla civiltà germanica. Il sottotitolo originale del romanzo precisa questo movimento: There and Back Again. Si tratta di andare “là” e poi di “tornare indietro”. La riconquista del tesoro – in sé – è quindi un elemento di secondaria importanza. Infatti gran parte del tesoro rimane nel luogo dove Smog lo custodiva. Così come gran parte del tesoro è stato costituito accumulando il frutto di tante rapine diverse effettuate in più luoghi. Anche la riconquista agisce in punti diversi, riguardando un insieme diverso. Ma quello che è da riconquistare è – sostanzialmente – la casa. Vale a dire: ciò che già si possiede; cioè la razza, che è la saga. Ricomponendo lo strappo dalla casa e facendo in modo che il mondo si costituisca come ciò che non fa più paura.
Notare infatti il cammino opposto delle armi usate da Bilbo: la spada (arma germanica) contro i ragni; l’astuzia silenziosa nella caverna degli Elfi Silvani; il linguaggio ingannatore con Smog nella forma della dialettica volta, non a convincere, ma a frastornare, impedendo di comprendere la verità. A Smog, che vuole sapere il suo nome, Bilbo risponde: «“Io sono colui che scioglie gli indovinelli, colui che strappa le ragnatele, la mosca che punge. Io fui scelto per il numero fortunato. […] Io son colui che seppellisce vivi i suoi amici e li affoga e li ritira vivi fuori dall’acqua. Venni dal fondo di un vicolo cieco, senza esserci mai caduto. Io sono l’amico degli orsi e l’ospite delle aquile. Io sono il Vincitore dell’Anello e il Fortunato; e sono il Cavaliere del Barile”» (p. 254).
Così lo scontro finale è una battaglia che coinvolge razze diverse. E che ne distrugge quasi completamente una (quella degli orchi). La diversità delle razze è segnalata, in Tolkien, dalla successione entro i vari momenti dei movimenti della creazione, in quanto processo non cristianamente unitario, bensì di tipo polifonico, secondo uno schema – di tipo gnostico – che Il Silmarillion precisa. La grande battaglia tra le cinque razze (Orchi e Lupi, da un lato; Elfi, Uomini e Nani, dall’altro) lava la terra e la rinnova.
Ma ancora, per quanto riguarda le armi, è da considerare l’ultima freccia di Bard, quella che uccide il drago: la freccia proveniente «dalla fornace del vero Re sotto la Montagna» (p. 283) e dotata quasi di vita propria, mossa dalla vendetta nei confronti dell’uccisore del suo forgiatore.
Gli arrivi differiti presentati nel primo capitolo e nel capitolo di Beorn si ritrovano nella battaglia finale, con i rinforzi che giungono in momenti diversi: prima i nani, poi le aquile, infine Beorn in forma di orso. In questo ritrovarsi attraverso tappe differite c’è una sequenza essenziale, e infatti tale sequenza compare nei momenti fondamentali del libro: all’inizio, nella casa di Bilbo; verso la metà, nella casa di Beorn; alla fine, nello spazio della battaglia dei Cinque Eserciti. Gli “arrivi differiti” indicano la stretta nei confronti della razza inferiore, ghigno nella creazione, razza che deve essere eliminata, quando il modo di pensare dell’azione ne indica – finalmente – i tempi. Ma che meno che mai prevede il soggetto in quanto forma contenitore dell’azione.
«I canti tramandarono che tre quarti dei guerrieri degli orchi del Nord morirono in quel giorno [il giorno della battaglia dei Cinque Eserciti], e le Montagne ebbero pace per molti anni.» (p. 326). Così la soppressione delle razze inferiori rigenera la terra. Non a beneficio di tutti gli oggetti della creazione, ma solo di quello principale. Poiché la razza inferiore, secondo quando concerne un progetto che parte dallo gnosticismo e arriva a Miguel Serrano, non è il risultato dell’atto divino della creazione, ma del demiurgo demoniaco.
Allora propriamente, la domanda “che cosa ho in tasca?”, colta per errore come uno degli indovinelli nell’oscurità, può suonare nella forma più consona al rivolgersi della sua oscurità: “che cosa ho in mente?”

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