Guido Almansi, nella Prefazione a “V.” di Thomas Pynchon, inserisce Henry Miller fra i romanzieri enciclopedici. Il romanzo diventa, in queste opere, una enciclopedia del mondo.
È probabile che tutta la struttura dell’Arcobaleno della gravità, con i vari pezzi separati da uno spazio bianco, derivi dalla struttura di Tropico del Cancro e di Tropico del Capricorno: una struttura che (soprattutto nel Tropico del Cancro) comprende brevi capitoli, quasi appunti, separati da uno spazio bianco. I capitoli saltano da un argomento ad un altro, spesso ne riprendono uno già trattato, secondo un procedere che può ricordare onde musicali. In Tropico del Capricorno compare anche la divisione in parti, come sarà nell’Arcobaleno.
Nei Tropici niente inizia, niente finisce e niente si sviluppa – eppure nessun lettore, arrivato alla fine, può dubitare di avere letto un romanzo compiuto. Stessa impressione a proposito dell’Arcobaleno. L’alto livello di queste opere è indiscutibile.
È anche probabile che L’arcobaleno della gravità abbia recepito dai Tropici di Henry Miller l’insistenza sui dati pornografici. Un capitolo come il 14 di Tropico del Cancro può aver ispirato i capitoli più “allucinati” dell’Arcobaleno, come il viaggio di Slothrop lungo il tubo del gabinetto (prima parte, frammento 10); tutte cose che in Henry Miller ci sono benissimo.
I rapporti tra Henry Miller e Thomas Pynchon andrebbero studiati. Pynchon ha indubbiamente reso la forma più “romanzesca”. In Henry Miller il romanzo si incrina. Basta considerare la sua ammirazione per Whitman per comprendere come egli rifiutasse un’arte staccata da colui che la produce. Il suo libro era una fusione alchemico-strindbergiana di vita e arte. Pynchon recupera invece il romanzesco e compone romanzi.
Questo recupero del romanzesco da parte di Pynchon, se è giusto che tale recupero avvenga a seguito delle opere di Henry Miller, è ciò che si chiama romanzo “postmoderno”. Anche così Umberto Eco dimostra di non avere capito niente e di avere ingarbugliato tutto. Da Henry Miller si può anche far partire una corrente anarchica che percorre tutta la sua arte del romanzo, ma che in Pynchon sarà poco presente.
Nell’Arcobaleno (1973) si può sentire la penultima eco dello stile hard-boiled. Che forse si continuerà ad avvertire nel cyberpunk (anni Ottanta). Perché questo ripescaggio? Indubbiamente, quello che manca, è uno stile. Cioè uno stile autentico, originale. In letteratura, volendo dare una definizione essenziale al massimo, stile è soltanto questione di mettere insieme delle parole. Ma forse non serve nemmeno uno stile, quanto uno schema di contenimento, un abbozzo, una griglia che prenda il posto della storia.
Il romanzo postmoderno è appesantito dallo stile “hard boiled”. Il romanzo postmoderno presenta, nei suoi protagonisti, quello stile “duro”che si oppone ai più fragili ma intensi protagonisti del romanzo modernista, come Marcel, Leopold Bloom, H.C.E.
Sarà Umberto Eco, nella narrativa postmoderna, a porre fine alla corrente anarchica, ricreando il romanzetto educativo da compitare sui banchi di scuola. Nei romanzetti di Umberto Eco nessun lettore si smarrisce mai, come invece avviene nei lunghi testi di Pynchon. È possibile la presenza di una tendenza illuministica che parte, ad esempio, dai romanzi di Leonardo Sciascia per giungere ai romanzi di Umberto Eco?
Henry Miller è un esempio della giusta inutilità della costruzione del romanzo. Esattamente l’opposto di Umberto Eco, stando almeno a quanto da lui raccontato nelle Postille a “Il nome della rosa”. Henry Miller non costruisce un romanzo a poco a poco, non studia gli effetti, non stabilisce i percorsi dei suoi personaggi passo per passo da un punto all’altro di un tragitto. Controlla le intensità. Pynchon procederà nei suoi romanzi per allontanamento da un centro che rimane sempre delocalizzato.
Notare questi titoli: Tropico del Cancro, Tropico del Capricorno. Titoli del genere non indicano un evento particolare, come spesso avviene nel romanzo con impianto novellistico, e nemmeno un nome proprio, come avviene nel romanzo centrato sulla biografia del protagonista; indicano invece un fascia che comprende sottoinsiemi di elementi. Lo stesso con il titolo complessivo Crocifissione in rosa (e quindi con i singoli titoli: Sexus, Plexus, Nexus).
Henry Miller raggiunge l’effetto enciclopedico ricorrendo a un richiamo alle “fasce climatiche”. L’effetto enciclopedico è un qualcosa di ciò che Conrad otteneva ricorrendo a una narrazione basata su discorsi riportati da altri personaggi e sul montaggio di materiale eterogeneo (lettere, resoconti, diari). Uno di questi mezzi di Conrad è ottenuto tramite l’intervento del personaggio di Charles Marlow. In entrambi gli scrittori l’obiettivo è lo stesso: accedere a un tempo “mitico”. Per tempo mitico si intende qui la vicenda che porta oltre il tempo dell’evento singolo, quindi un tempo superiore a quello degli avvenimenti della quotidianità, che si possono raccontare in modo agevole con un filo unico di voce. Quello che Miller racconta è un insieme di insiemi di avvenimenti, delimitati da una fascia immaginaria. Per Conrad questo può avvenire tramite un racconto che può essere condotto fino a sfiorare il mito.
Jim di Lord Jim non è il punto in cui converge una narrazione per delineare un personaggio (appunto quello a cui è dedicato il titolo, “lord Jim”), ma è il punto di fuga da cui si apre una molteplicità di discorsi. Lord Jim, in quanto personaggio, rimane così nel suo stato di enigma lungo tutto il romanzo.
La forza di Marlow sta nella evocazione del «mistero di ere senza storia», presente in Cuore di tenebra e in Lord Jim. Raccontato da Marlow, quindi non raccontato nel momento in cui l’avvenimento sta accadendo, l’avvenimento acquista una dimensione diversa. Cioè una dimensione differita. Non vediamo lo svolgersi degli eventi, ma ne percepiamo il mistero che, dal momento in cui l’evento ha avuto luogo, si è creato nel suo intorno. Conrad mostra così la formazione dei miti e il movimento dei miti tra loro. La vicenda è sempre decisamente irrealistica. Marlow non parla, per quanto racconti con la sua voce – sono i miti a parlare tra loro grazie alla presenza di Marlow. Questo perché esistono i miti, che si parlano fra loro attraverso gli uomini, ma non esistono le mitologie, che sono creazioni artificiali di persone che non prendono la parola, come fa Marlow, in quanto narratori di quanto avvenuto.
Marlow ha un senso infallibile per il mito. Seleziona d’istinto i tipi che permettono il passaggio del mito, da qui la sua simpatia per Jim e il suo disgusto per tipi come Cornelius o Brown.
In Conrad è da affrontare il tema del colonialismo. Come affrontarlo?
Conrad lascia aperte due possibilità: il colonialismo non viene condannato. Il romanzo può riprendere il mito solo come ambiguità. Il mito non era ambiguo. Il romanzo che recupera il mito deve costituire un testo ambiguo.
Conrad era contrario al colonialismo, eppure qualcosa in ciò che ha scritto non condanna il colonialismo. L’ambiguità della grande letteratura consiste nei dettagli.
Pensare alle parole di Chinua Achebe contro Conrad, che accusava di una visione razzista ed eurocentrica. Conrad era contrario al colonialismo, eppure qualcosa in ciò che ha scritto non condanna il colonialismo. L’ambiguità della grande letteratura consiste in dettagli di questo genere. Umberto Eco era uno scrittore e un partigiano schierato da una parte precisa; a Chinua Achebe, probabilmente, i libri di Umberto Eco sarebbero piaciuti, anche se, come scrittore, Chinua Achebe era superiore a Umberto Eco (ma per questo non ci vuole molto, basta essere scrittori).
Le quattro lettere sull’Amleto di Shakespeare incluse in Max e i fagociti bianchi di Miller sembrano riassumere le questioni sin qui trattate. L’argomento Amleto di Shakespeare viene sfiorato – mai affrontato – nemmeno lontanamente. È un mondo nuovo di affrontare un argomento. È sulla linea dei Tropici e della Crocifissione. Il soggetto non rischiara, ma è allacciato all’oggetto che però mai domina, né mai vuole dominare. È ciò che viene determinato dalle serie. L’oggetto non viene chiarito ma il soggetto può fruire di una schiarente penombra. L’azione si basa su di un mettersi in gioco con l’intento di dimenticare sempre più le regole del gioco. È il vecchio progetto scientifico a farne le spese. Più che mai deve cadere il progetto di farsi comprendere dal pubblico. Non si tratta soltanto di accettare di non comprendere l’oggetto del proprio mettersi in gioco (Amleto), ma di accettare di non farsi comprendere del tutto. Che non è assolutamente un rischio. È nell’azione di questo progredire di ciò che non è da comprendere – in quanto proprio ciò che non vale la pena comprendere – che il progetto rivela la sua specificità e quindi la sua natura irriducibile, di carezza ad Amleto. Ma questo dovrebbe valere per ogni approccio critico. È allora chiaro che ogni gioco, così inteso, consiste nel mantenere integra la non chiarezza di ciò che si sarebbe dovuto chiarire, trasportandola in un luogo diverso, dove più che mai ha possibilità di avvolgersi nella sua oscurità. Ogni atto di scrivere, scrivere un romanzo o un saggio, pone la questione di che cosa sia l’oggetto di cui si scrive. Più si dà per scontata la risposta, più il progetto perde di interesse e si fa questione di routine.