Solo un facitore di parole

Mai dire di uno scrittore: «È nostro!» È sempre la gabbia che scatta intorno a tutti!
Il bello delle idee di un filosofo sta nella pericolosità. Tutte le idee dell’uomo hanno la bellezza di molte diverse pericolosità. Qualunque idea è pericolosa. L’appropriazione di una idea da parte di qualcuno fa perdere sempre qualcosa di questa pericolosità indefinita. Allora sopraggiunge la piattezza della interpretazione.
Uno scrittore, un filosofo, un poeta dovrebbe essere caratterizzato proprio a partire dalla sua insofferenza verso un sistema ordinato di uso delle parole.
Filosofia e poesia sono ciò che permette di sfuggire alla gabbia che condiziona la vita di tutti i giorni. Infatti, poesia e filosofia sono un inciampo nella vita di tutti i giorni.
Ma il filosofo e il poeta possono sfuggire alla gabbia che condiziona l’uomo comune proprio in quanto possono sfuggire alle leggi della psicologia comune. Che è quanto la critica di tutti i giorni tende loro a negare.
Il poeta rende vere le parole di una lingua quando, solo per gioco, in una luce che è appena d’alba polare, ne illumina l’aspetto di crepuscolo del gioco. È stato più volte detto che la parola usata dal poeta non è la stessa parola usata dal giornalista, nel momento in cui il giornalista usa quella stessa parola.
Il poeta è solo “un facitore di parole”, “ein Worte-macher”, per usare le parole lontane di Nietzsche.
Però niente deve ricordare la parola del poeta, perché poeta è colui che affida la propria parola al mondo che rigetta la memoria.
Allora uno scrittore non deve essere un punto dove tutte le linee di una personalità coincidono, ma un insieme teorico da cui serie sempre diverse si dipartono per disperdersi. La fantasia di una metodologia di questo tipo è stata applicata da Hugh Kenner nello studio L’età di Pound.
Da qui l’importanza del post-strutturalismo.
Tolkien è un comodo caso. Due esempi tratti da La realtà in trasparenza. Lettere 1914-1973 (Bompiani, Milano 2001):
Lettera 45: Tolkien scrive di aver cominciato a studiare germanistica «come reazione contro i “classici”» (p. 65). Continua accusando Hitler (la lettera è del 9 giugno 1941) di distruggere il vero spirito nordico.
Lettera 53 (al figlio Cristopher): Tolkien parla del mondo che sta diventando tutto uguale, e conclude: «Ad ogni modo, questo dovrebbe essere la fine dei grandi viaggi. Non ci saranno più posti dove andare. E così la gente (penso) andrà più veloce» (p. 76). Poco dopo dice: «non sono del tutto sicuro che una vittoria americana a lunga scadenza si rivelerà migliore per il mondo nel suo complesso piuttosto della vittoria di –».
Notare: che cosa si può lanciare a partire dalla frase “fine dei grandi viaggi”? La «reazione contro “i classici”» richiama la contrapposizione civiltà germanica/civiltà latina.
Quanto si potrebbe collegare partendo da queste frasi! La critica ha detto di Tolkien: “Questo è nostro!”. Oppure: “Questo invece è nostro!”
Ma anche Mishima suona al caso. L’era degli scudi non chiamava più la penna da portare con sé.
Questo quando parlare non è scambiare parole come monete, ma chiamare alla parola.
Come l’infedele secondo il Corano, il poeta è simile al ragno, che costruisce la propria casa nel vuoto.

          ich bin nur ein Worte-macher:
          was liegt an Worten!
          was liegt an mir!

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