Gli anni dell’apprendistato di Wilhelm Meister rappresentano il tema concreto della realizzazione dell’individuo attraverso il fallimento del progetto messo in atto dall’individuo stesso. Qui la rappresentazione è applicata al progetto artistico, che, nel romanzo in questione, è destinato al fallimento.
A fianco di questo tema, negli Anni dell’apprendistato c’è pure un altro tema importante: l’artista non è più colui che giunge completamente formato, ma è colui che deve assoggettarsi a una severa preparazione. Il risultato è inequivocabile: il mondo non ha più bisogno dell’artista; l’arte è un sovrappiù e l’apprendistato dell’artista è appunto il percorso che deve condurre alla presa di coscienza dell’individuo che pensava di essere venuto al mondo per adempiere ad una missione artistica: quello che egli deve infatti riconoscere è che non esiste nessuna missione artistica da condurre a termine. In realtà quello che così viene compreso è la totale mancanza di ciò che una volta era l’arte, poiché in quella forma essa allora si configurava.
L’arte è un’abilità che la nostra epoca non riconosce più. L’artista è infatti un diversamente abile che deve solo mettersi da parte.
Ma la costruzione deve uccidere che cosa? La morte dell’arte, perché siamo nell’era della morte dell’arte.
La missione teatrale di Wilhelm Meister si concludeva con la vittoria di Wilhelm Meister proprio perché non era “storicamente” chiaro la necessità del fallimento del progetto individuale. E l’individuo era ancora qualcosa da salvare. Affinché l’individuo potesse autonomamente esistere, esso doveva configurarsi come fallimento: da qui il carattere problematico dell’individuo. L’individuo entra in scena solo quando suona la messa in scena della problematicità dell’individuo.
Gli anni di viaggio di Wilhelm Meister cancellano il progetto di formazione, almeno come delineato negli Anni dell’apprendistato. Quello che Gli anni di viaggio rappresentano non è un nuovo raggiungimento dell’individuo, ma uno sfaldamento dell’individuo. Gli anni di viaggio devono essere considerati come complementari al Faust. Nel Faust l’individuo si rafforzava in quanto riconoscimento dell’individuo come progetto dell’individuo; negli Anni di viaggio l’individuo viene sfaldato, ma ciò che viene sfaldato è il fallimento del progetto inevitabilmente collegato all’individuo. Tuttavia qui si va oltre: il testo teatrale Faust si determina come progetto individuale, che viene mantenuto tale fino alla fine (Faust, anche nel momento della morte, realizza il suo progetto), Gli anni di viaggio vanificano il progetto; questo perché il teatro è estraneo al mondo indoeuropeo, e quindi in quanto tale, esso può prevedere il progetto individuale; l’epica, invece, non riconosce tale progetto. Se Gli anni dell’apprendistato mostravano l’adeguamento di Wilhelm Meister al suo fallimento, Gli anni di viaggio risolvono cancellando l’origine di quel fallimento; cominciando a intaccare il concetto di individuo. Questo perché il romanzo può avere una via d’uscita, in quanto l’epica è un genere indoeuropeo; ma nessuna via d’uscita è prevista per il teatro, che non ha nessuna cittadinanza in Europa.
Quindi abbiamo:
1) il teatro e il romanzo, che hanno a che fare con il progetto dell’individuo;
2) un genere non indoeuropeo (il teatro), un genere indoeuropeo (l’epica, da cui il romanzo proviene);
3) il teatro accoglie il tema del progetto individuale e nel Faust lo porta alla massima esaltazione;
4) il romanzo si forma attraverso il tema del progetto individuale.
Negli Anni dell’apprendistato viene accettato il fallimento del progetto individuale quale adeguamento dell’individuo alla realtà, ma negli Anni di viaggio viene indicata la via possibile di fuga.
L’analisi hegeliana della differenza tra epica e teatro andrebbe quindi reimpostata su queste basi:
Epica: genere autoctono (indoeuropeo).
Teatro: genere non autoctono (non indoeuropeo).